Accordo Ue-Cina: che impatto avrà sul fotovoltaico europeo?

L'accordo sulla disputa commerciale tra Europa e Cina sul fotovoltaico sembra scontentare tutti. Che effetti avrà sull'industria europea del FV? E sul raggiungimento della grid parity? Sembra improbabile che i dazi da soli possano aver causato un fallimento o potranno evitarne altri, come credono rispettivamente AFASE e Eu Prosun.

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L’accordo raggiunto con la Camera di Commercio cinese dal commissario europeo Karel de Gucht, che scongiurerà l’imposizione dei dazi definitivi sul solare made in China – ma del quale ancora non c’è alcun dettaglio ufficiale – ha scontentato entrambe le parti. Le due lobby pro e contro i dazi, rispettivamente Eu Prosun (rappresentata in Italia dal Comitato IFI) e AFASE, hanno infatti commentato con parole amare l’accordo ritenendolo dannoso per l’industria fotovoltaica.

Secondo Eu Prosun l’unico prezzo minimo accettabile per il fotovoltaico cinese sarà quello che era già stato stabilito nell’ambito dell’indagine antidumping. Cioè il prezzo fatto normalmente dai cinesi con una maggiorazione che va dal 47% al 67% in base ai singoli casi e ai singoli prodotti importati sottocosto. Qualunque prezzo diverso non “rimuoverà il pregiudizio e il danno provocato dal dumping cinese” e, di conseguenza, non interromperà la drammatica catena di fallimenti delle aziende del fotovoltaico alla quale stiamo assistendo da ormai due anni.

Secondo AFASE, invece, “L’aumento dei prezzi non farebbe che accelerare quello che abbiamo visto nei mesi scorsi, la distruzione di una significativa quantità di posti di lavoro lungo tutta la filiera dell’energia solare”. Parola di Thorsten Preugschas, amministratore delegato di Soventix e presidente dell’associazione contraria ai dazi.

Gehrlicher Solar AG, una delle ultime aziende tedesche del fotovoltaico ad aver iniziato la procedura di insolvenza, ha espressamente affermato che il suo fallimento dipende direttamente dai dazi preliminari imposti dalla Commissione Europea: “La procedura è una risposta diretta e immediata all’annuncio da parte del consorzio di banche di chiudere la linea di finanziamento da 85 milioni di euro. Con l’introduzione a livello europeo di tariffe antidumping sui moduli cinesi e con il conseguente deterioramento delle condizioni di mercato in Europa, l’azienda non può più rispettare il business plan in base al quale l’accordo di finanziamento biennale era stato firmato appena tre mesi fa”. A conferma di questa tesi ci sarebbe l’annuncio che solo la casa madre tedesca è insolvente, mentre i rami d’azienda internazionali non hanno problemi finanziari e continueranno a produrre e vendere fotovoltaico nel resto del mondo.

Pare opposta, invece, la situazione che ha portato alla bancarotta un’altra grande tedesca del solare: Conergy. L’azienda ha perso negli ultimi sei anni quasi 2,2 miliardi di valore di mercato, arrivando a vendere nel 2012 pannelli fotovoltaici per 473 milioni di euro con perdite pari a 83 milioni a causa del crollo dei prezzi dovuto all’ingresso nel mercato dei produttori cinesi. Anche in questo caso alla base della procedura di insolvenza c’è un mancato accordo finanziario: un investitore asiatico voleva il 30% delle azioni della società versando 50 milioni di euro (al momento del fallimento Conergy ne valeva 57 milioni in tutto), ma i numerosi creditori non hanno accettato la transazione preferendo far fallire la compagnia. Ancora una volta a portare i libri in tribunale è stata solo la casa madre e non anche le filiali estere.

Più complessa la situazione di una terza tedesca, Bosch Solar Energy, che ha da tempo annunciato di voler chiudere lo stabilimento di moduli fotovoltaici di Arnstadt in Turingia mandando a casa 1.200 operai, anche se, pochi giorni fa, ha raggiunto l’accordo con il potentissimo sindacato IG Metal in base al quale alcuni lavoratori verranno riallocati in altre fabbriche del gruppo. Ma non è ancora chiaro se Bosch continuerà nel lungo periodo a produrre fotovoltaico.

Ancora in Germania Aleo Solar AG a inizio luglio ha pubblicato i dati finanziari del primo semestre 2013, e non sono affatto buoni: ricavi per 23,5 milioni di euro e perdite per 29,4 milioni. Se nel 2013 ha ricavato 166,4 milioni di euro quest’anno potrebbe scendere ad appena 68,3 milioni. L’azienda afferma che le cause di questo crollo sono principalmente due: il taglio degli incentivi statali al fotovoltaico in Italia, Grecia e Belgio, che ha fatto scendere la domanda del 50% anno su anno e, di nuovo, la concorrenza cinese che ha fatto scendere i prezzi di vendita dei pannelli solari del 25% rispetto al primo semestre 2012.

Non è tecnicamente in procedura di insolvenza, ma di “ristrutturazione”, la spagnola Isofoton che ha ben 284 milioni di debiti nei confronti di banche e creditori. Di questi, ben 100 milioni vengono classificati dall’azienda come “passivo imprevisto” e derivano da una serie di concause: una disputa legale da 96 milioni di dollari con il gigante americano del polysilicon Hemlock, da una parte, e la decisione del Governo spagnolo di chiedere indietro alcuni aiuti pubblici già erogati a Isofoton e già investiti dalla compagnia.

Guardando ai singoli casi (e abbiamo citato solo i produttori di moduli e non anche i numerosi player del resto della filiera fotovoltaica anch’essi in difficoltà) è quindi improbabile che i dazi da soli possano aver causato un fallimento o potranno evitarne altri, come credono rispettivamente AFASE e Eu Prosun. Anche perché nel “lontano” gennaio 2013 la società di consulenza IHS già prevedeva un boom di fallimenti nell’anno in corso dovuto sia ai prezzi bassi che alle difficoltà dei produttori integrati di fotovoltaico che coprono l’intera filiera del solare di ripagare i pesanti investimenti fatti tra il 2011 e il 2012 per aggiornare le linee produttive. La profezia di IHS, a leggerla bene, assomiglia molto alle recenti vicende di Conergy e Gehrlicher.

Mentre le difficoltà previste da IHS per i produttori integrati sembrano trovare conferma nella decisione da parte della svedese REC di dividere in due aziende separate la produzione del polysilicon da quella di celle e moduli fotovoltaici. E non è né inutile né banale notare che REC sia europea solo di nome, visto che produce moduli a Singapore e silicio negli Stati Uniti.

In questa situazione già tutt’altro che semplice si inserisce ora l’accordo sino-europeo sul prezzo del fotovoltaico rendendo l’analisi ancor più complessa. “Gli effetti dell’accordo andranno valutati attentamente e in dettaglio – spiega a QualEnergia.it Tommaso Barbetti della società di consulenza Elemens – Tuttavia appare evidente che qualsiasi vincolo – per quanto sfumato – alle politiche di prezzo rappresenta un ostacolo nel percorso di abbassamento dei costi della tecnologia fotovoltaica. Il fatto che ciò accada in un momento in cui la fine dei meccanismi incentivanti rende essenziale la riduzione dei costi per la realizzazione degli impianti, può rappresentare una zavorra allo sviluppo del fotovoltaico”. Per quanto riguarda le ripercussioni dell’accordo sull’industria e su eventuali altre procedure di fallimento, Barbetti è molto cauto ma ritiene che “è improbabile che la filiera italiana ed europea del solare possa trarre da questo intervento un concreto giovamento, soprattutto in considerazione del possibile allontanamento dalla grid parity”.

Francesco Galloppa di Energy Expert ci parla invece di “spartizione del mercato europeo del fotovoltaico tra i produttori cinesi e il resto del mondo, compresi gli europei naturalmente. E’ chiaro che i produttori europei che saranno in grado di competere con i 0,56€/W (il prezzo minimo stabilito dall’accordo, ndr) fino al raggiungimento del tetto previsto avranno la possibilità di giocarsi la sopravvivenza in un mercato il cui pavimento in basso è stato corazzato”. Tutti gli altri, secondo Galloppa, o chiuderanno o si dovranno concentrare su tecnologie di nicchia come il fotovoltaico a bassa concentrazione (LCPV) o ad alta concentrazione (HCPV). Oppure dovranno “alimentare la domanda fino a superare il tetto e quindi giocare su un mercato senza essere soffocati dalla concorrenza. Probabilmente le associazioni che prevedono fallimenti a causa di questo accordo sanno già di non riuscire a competere in nessuno dei tre mercati delineati e allora amen”.

Sempre secondo Galloppa, invece, chi vede il tetto e il prezzo minimo come un’opportunità sono le associazioni e le aziende che sanno già che possono giocare la partita su uno sfondo così posizionato: “Quindi da diversi punti di vista le associazioni contrapposte hanno entrambe ragione”. Per quanto riguarda le microimprese, infine, “i 56 centesimi possono dare la possibilità di riuscire a vendere impianti ai piccoli clienti con capienza IRPEF garantendogli tempi di ritorno accettabili”.

Ma, a complicare ulteriormente le cose e a rendere ancor più fluido il mercato, c’è la notizia riportata dalla rivista di settore PV-Tech che ha intervistato il segretario generale della divisione Energia solare della Camera di Commercio cinese, Sun Guangbin, scoprendo che in realtà il prezzo minimo di importazione del fotovoltaico cinese non sarà affatto fisso e duraturo nel tempo, ma verrà aggiornato man mano in base alle reali condizioni di mercato. Il fotovoltaico resterà in balia dell’incertezza ancora per molti mesi?

 

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