Il fotovoltaico dal tempo degli incentivi a quello del mercato

Il futuro del FV, almeno fino al 2030, passerà per regole coerenti e non punitive per chi decida di autoprodursi l’energia, premiando chi sappia tenere il profilo di scambio con la rete, e adeguare la regolazione della rete alla cresciuta penetrazione della produzione intermittente, con nuovi servizi. Un articolo di Arturo Lorenzoni.

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Ai primi giorni di giugno 2013 il settore fotovoltaico italiano ha superato una soglia storica: ha raggiunto il plafond di incentivi a esso assegnati e posto fine all’epoca del Conto Energia, iniziata nel 2005 quando gli impianti fotovoltaici erano cose rare per intenditori. Un’epoca sorprendente e a suo modo di importanza storica, poiché ha cambiato per sempre il paradigma degli investimenti nel campo dell’energia, facendo del fotovoltaico (FV) una tecnologia imprescindibile per il futuro.

Un’epoca molto più breve di quanto immaginabile, perché 18,2 GW di potenza installata in 7 anni non erano immaginabili nemmeno dal più verde dei sostenitori del FV, come non si poteva immaginare che il costo di un impianto da 100 kW nel 2013 fosse di 150mila euro. Una rivoluzione, complici quei fanatici dei politici cinesi che hanno deciso di fare del FV una loro riserva esclusiva, fiutandone il ruolo strategico futuro e abbattendone i costi industriali al limite del ragionevole (e oltre) e obbligandoci a divenire acquirenti da loro, come per l’elettronica, la telefonia, l’illuminazione a led, il solare termico e molti altri prodotti. Poco male, acquistando a prezzi così bassi possiamo disporre di risorse per fare molte altre cose, come ha insegnato l’economia classica da Ricardo alla fine del diciottesimo secolo in poi.

Certo, fa male dover rinunciare alla manifattura delle celle e dei moduli, come accadde a suo tempo quando le imprese di computer, Olivetti in testa, di telefonia, Telit per esempio, di TV (chi può dimenticare Brionvega, se ha più di 40 anni?) furono costrette ad abbandonare la produzione. Ma fa parte del gioco. E poi non è detto che sia il silicio ad assicurare la produzione FV in futuro: tanti sono i filoni di ricerca sui materiali fotovoltaici che ci vorrebbe la sfera di cristallo per sapere se tra dieci anni sarà ancora il silicio il materiale prevalente, oppure un materiale organico, o una cella a giunzione multipla di piccole dimensioni di rendimento elevatissimo, accoppiata a un concentratore ottico. Il bello del settore è l’estrema contendibilità della tecnologia, che lascia aperto il mercato a molta innovazione. Certo, il riferimento per entrare nel mercato ora si è abbassato in modo sostanziale e i concorrenti devono fare i conti con celle policristalline con rendimenti altissimi e costi vicini a quelli del materiale di supporto. Ma tanto c’è ancora da scoprire.

Per cui sul piano tecnologico la partita di lungo periodo rimane assai aperta e il sostegno alla ricerca ha assolutamente senso, anzi, ha sempre più senso considerato che ora il FV si è ritagliato un ruolo. Sul piano commerciale, s’inaugura dunque una nuova fase, senza incentivi, legata a due fattori determinanti per il futuro del FV: le norme relative al contenimento dei consumi degli edifici e la convenienza dell’autoproduzione. Che    i nuovi edifici, e in prospettiva tutti quelli ristrutturati, debbano produrre una quota crescente del loro fabbisogno fino ad azzerarlo è ormai legge su scala europea. Sulla convenienza dell’autoproduzione, invece, giocano alcune scelte regolatorie che possono accelerare o stroncare gli investimenti da parte dei consumatori industriali.

È indubbio che le reti elettriche stiano assumendo un ruolo nuovo, profondamente diverso da quello per cui furono costruite un secolo fa e fino a 15 anni fa, non più veicolo passivo di trasferimento dal centro alla periferia dell’energia elettrica verso i carichi, ma struttura intelligente di interazione tra operatori in immissione e in prelievo. L’evoluzione è già avvenuta di fatto, con oltre mezzo milione di impianti di produzione collegati; ma non è stata seguita da nuove regole. Come a suo tempo ci vollero molti anni per arrivare allo scambio sul posto, oggi l’apertura del mercato agli scambi tra consumatori, per esempio soggetti diversi nello stesso immobile, pur logica sul piano tecnico, trova ostacoli enormi. Ciò è comprensibile, perché cambiare le regole inevitabilmente fa male a qualcuno, per cui l’adeguamento alle nuove condizioni tecniche potrebbe richiedere tempi lunghi.

L’aspetto ulteriore di incertezza per lo sviluppo del FV è legato all’effetto dirompente della nuova produzione intermittente sulla gestione della rete e sul mercato elettrico.

Domenica 2 giugno il carico minimo, alle 6 del mattino, è stato di 21,4 GW; con 18,2 GW di FV e 8,5 GW eolici installati, oltre alle cogenerazioni e 0,8 GW geotermici, regolare la rete diviene un’impresa complicata, che richiede prestazioni differenti dal passato. Anche il mercato elettrico sperimenta l’effetto fotovoltaico sui conti delle imprese: sempre il 2 giugno il prezzo è rimasto a zero per tre ore, con un’impennata dei prezzi serali dovuta un po’ alla nuova rampa di carico serale degli impianti termoelettrici, un po’ forse al tentativo di recuperare le perdite incorse nelle ore centrali della giornata. Conciliare una produzione intermittente su così larga scala con il parco termoelettrico non è banale e richiede molto sforzo per aprire spazi di crescita ulteriore per il FV. È auspicabile che questo processo avvenga non tramite divieti e chiusure, ma attraverso il sano stimolo alla fornitura dei nuovi servizi che sono richiesti dalla rete, perché l’adattamento del parco produttivo avvenga dal basso, trovando nuove modalità di gestione e accoppiamento degli impianti intermittenti con i carichi, gli accumuli e le produzioni regolabili. Su queste scelte si gioca molta della capacità di assicurare al FV un mercato negli anni a venire. In questo momento di transizione dal tempo degli incentivi a quello del mercato, fare previsioni sull’evoluzione della crescita del contributo del FV è particolarmente azzardato: senza conoscere le regole future come si può conoscere la risposta degli investitori? Tuttavia è ragionevole attendersi che, con i costi d’impianto attuali e la necessità di riqualificare il patrimonio edilizio, vi sia uno spazio di mercato compreso tra gli 800 e i 1.000 MW per anno nel prossimo decennio, con proiezioni della produzione come quella mostrata nella figura.

Guardando all’orizzonte 2030 del FV dobbiamo considerare che a quella data praticamente tutti gli impianti realizzati finora in Italia dovrebbero essere ancora operativi, considerati i 20 anni di Conto Energia di cui beneficiano. Si tratta quindi di un orizzonte temporale medio, non lungo, ancora condizionato dal debito di 6,7 miliardi di euro l’anno contratto dai consumatori italiani in favore dei produttori FV. Se da un lato il programma di sostegno è stato innegabilmente un successo, poiché ha consentito di realizzare gli impianti e di pagare loro il premio solo dopo che abbiano effettivamente prodotto energia, dall’altro l’impegno ventennale vincola per molti anni i consumatori a non potersi permettere altre risorse per sviluppare un’offerta ulteriore, anche se si rendesse disponibile una tecnologia assai promettente.

In questa prospettiva, iniziative che potessero ridurre l’onere per i consumatori, senza compromettere gli investimenti fatti, sono certamente desiderabili. Se una nuova imposizione fiscale ad hoc sarebbe devastante, una soluzione come quella a suo tempo proposta ai proprietari degli impianti CIP6 per anticipare e ridurre l’uscita dal programma potrebbe avere un senso, per ridurre l’onere sulle bollette elettriche.

Per pensare allo sviluppo del FV nei prossimi due decenni, si deve dare risposte esaustive a due fattori di criticità, per poter tenere un tasso di installazioni dell’ordine di 1 – 1,5 GW/anno come auspicato dall’industria:

  • stabilire regole coerenti e non punitive per chi decida di autoprodursi l’energia di cui abbia bisogno, premiando chi sappia tenere il profilo di scambio con la rete, comunicato il giorno prima e assecondando relazioni commerciali nell’ambito della stessa zona geografica;
  • adeguare la regolazione della rete alla cresciuta penetrazione della produzione intermittente, con nuovi servizi di rete, stoccaggi distribuiti e un’architettura di controllo distribuita, per portare il dispacciamento attivo verso la bassa tensione.

La crescita del FV passa inevitabilmente di qui: oggi non è critica l’installazione degli impianti, ormai tecnologia consolidata, quanto piuttosto la loro gestione e su di essa è necessario investire per poter offrire una prospettiva al settore e fare del FV un asse portante del sistema elettrico del futuro. Investire in tecnologia, ma anche e soprattutto in nuove regole.

L’articolo è stato pubblicato sul n.3/2013 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Il Sole del 2030”.

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