Eolico ad alta quota, le tecnologie della scommessa

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L'eolico ad alta quota, che sfrutta i venti forti e costanti che soffiano a centinaia o migliaia di metri dal suolo, ha grandi potenzialità per produrre energia pulita a costi competitivi. Diverse le tecnologie in gioco, per ora tutte in fase sperimentale. Quali le più promettenti? Ne parliamo con chi per lavoro sceglie quelle su cui investire.

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Avere la testa fra le nuvole, in genere, non è una cosa positiva, ma quando si fa il lavoro di Paolo Musumeci, questa caratteristica è molto utile, visto che proprio fra le nuvole sta l’oggetto del suo lavoro. Musumeci, 42 anni, è presidente di WOW, Wind Operations Worldwide, una Spa con capitale sociale di 1,5 milioni di euro, che è probabilmente l’unico fondo finanziario italiano, se non mondiale, specializzato in eolico innovativo e in particolare in eolico di alta quota. In pratica Musumeci, laureato in Scienze Economiche e Bancarie all’Università di Siena, ma ormai “commercialista pentito”, gira per il mondo a visionare progetti di sistemi di produzione di energia eolica diversi dalle tradizionali turbine, accordandosi per finanziare direttamente, o reperire finanziamenti, per quelli che lui e i suoi consiglieri tecnici reputano i più interessanti e promettenti.

Musumeci, com’è cominciata questa idea di finanziare l’eolico innovativo?

Nel 2008, con un folto gruppo di amici, abbiamo unito le nostre disponibilità finanziarie, fondando WOW ed entrando con essa nel capitale della KiteGen Research, la società di Massimo Ippolito che si occupa dello sviluppo del noto sistema di eolico ad alta quota, con sede in Piemonte. L’idea di Ippolito ci sembrava straordinaria e vicina alla fase operativa, per cui abbiamo sentito il bisogno di contribuire alla sua realizzazione, raccogliendo 1,5 milioni di euro e investendone gran parte nella società che stava sviluppando il suo generatore, basato su un grande aquilone, o kite, che intercetta i venti a svariate centinaia di metri da terra.

Quindi l’intenzione era di restare con il gruppo del KiteGen, accompagnandoli alla fase produttiva di energia e di impianti, cos’è andato storto?

Nel 2010, quando hanno costruito la macchina da mettere poi in produzione industriale, i nostri soci con più esperienza tecnica hanno fatto diverse obiezioni sul modo in cui veniva realizzata. Non critiche distruttive, solo ragionevoli dubbi che richiedevano una risposta. Per esempio se non era il caso di rendere più resistente la copertura a cupola, perché reggesse alle forze in gioco. O un chiarimento sul movimento dei capitali investiti e sugli accordi fra le varie società di Ippolito. Ma le risposte che abbiamo avuto sono stati insulti e accuse di “tradimento”. Aggiungiamo che mesi prima persone tecnicamente molto preparate si erano già allontanate della KiteGen Research, come l’ingegner Franco Taddei esperto in hardware industriale, che oggi, con il professor Mario Milanese, ha fondato un’altra società di eolico ad alta quota, la Kitenergy, di cui per ora non si sa molto. Vista la situazione che si stava creando io e molti altri abbiamo capito che non eravamo più di fronte a un progetto economico-industriale, ma a una specie di setta religiosa, in cui non si poteva mettere in discussione l’opinione del capo. Abbiamo quindi messo in vendita le nostre quote della KGR e, dopo una lunga trattativa, abbiamo finalmente recuperato gran parte del capitale investito. Quella esperienza, però, non ci ha fatto perdere fiducia nella bontà dell’idea di estrarre energia dal vento di alta quota, solo, da quel momento in avanti, siamo andati a cercare società con più ingegneri e meno guru…

Ma, visto il lungo tratto di strada che avete fatto con la KiteGen, vi siete fatta un’idea della ragione del ritardo nel concretizzare quel concetto, su cui molti, in effetti, contavano?

Credo che il problema principale sia stato tentare di passare da un prototipo da poche decine di kW montato su un furgone, direttamente a una macchina da 3 MW. E’ stato come tentare di progettare una Mercedes attuale nel 1900: ha reso ogni passo molto più difficile e costoso. Forse, avessero seguito una strada di industrializzazione più graduale, creando da subito prodotti di piccola e media potenza commerciabili, avrebbero avuto un ritorno economico e risolto problemi su scale più gestibili tecnicamente. Il risultato di aver puntato subito ai megawatt, invece, è che non sono mai riusciti a far funzionare la macchina oltre a potenze di poche decine di chilowatt, e solo per periodi molto brevi. Riteniamo comunque il concetto del KiteGen tuttora valido, ma, per farlo funzionare, credo che in futuro alcune posizioni nel gruppo che lo porta avanti andrebbero riviste.

Comunque l’esperienza con KiteGen non vi ha scoraggiati. Perché avete tutta questa fiducia nell’eolico di alta quota?

Perché fra 500 e 12.000 metri di altezza ci sono venti molto più forti e costanti di quelli che si trovano a terra. Riuscire a sfruttarli potrebbe rendere l’energia eolica finalmente del tutto competitiva con quella da fossili o nucleare, impiantabile in molte più aree del mondo e senza impatto visivo.

Quali sono le tecniche per sfruttare questi venti che ha visto in giro per il mondo?

Beh, essenzialmente si possono dividere in due campi: flygen, quando il generatore elettrico viene portato in alto, direttamente dove c’è il vento, e groundgen, quando il generatore resta a terra, mentre la forza del vento è raccolta in alto da sistemi più leggeri, come i kite, appunto. I flygen sono concettualmente più semplici: metto una turbina eolica simile a quelle terrestri su un’ala o sotto a un pallone, e la porto in mezzo al vento di alta quota, scaricando a terra l’energia ottenuta attraverso un cavo elettrico. Il loro problema è che funzionano più o meno bene quando si parla di chilowatt, ma se si va nell’ordine dei megawatt presuppongono di portare in alto decine di tonnellate di macchinari, con costi enormi per il sistema di sollevamento e con enormi rischi per i danni che potrebbe creare una caduta del macchinario. I groundgen, come il KiteGen e simili, a mio parere sono un sistema migliore per sfruttare i venti di alta quota, avendo tutta la parte pesante e costosa al sicuro a terra. Il loro problema è il controllo in tempo reale del dispositivo di raccolta del vento, kite o simili, posto a centinaia o migliaia di metri da terra: il vento è una forza che varia di intensità e direzione velocemente e in maniera imprevedibile, per ora i sistemi automatici di controllo elaborati non sono assolutamente all’altezza del cervello umano quando si tratta di compensare le bizze delle correnti aeree e mantenere il controllo. Lo so bene, perché frequento i kite festival da anni.

Ci può fare un paio di esempi dei sistemi più promettenti dei due tipi?

Per quanto riguarda i flygen il più famoso è probabilmente il sistema statunitense Makani, recentemente acquisito da Google X e abbondantemente finanziato dal Dipartimento dell’Energia. Si tratta essenzialmente di un’ala in fibra di carbonio (vedi foto accanto al titolo, ndr) con dei generatori montati sopra e collegata con un cavo a terra. Alla partenza i generatori funzionano come motori elettrici azionando le eliche, poi, una volta arrivata in quota, l’ala comincia a volare in cerchio, come un aliante bloccato da un cavo di ancoraggio, mentre i generatori tornano a fare il loro lavoro, producendo elettricità azionati dal vento del volo. Makani ha dimostrato di funzionare bene e per molte ore, con un prototipo da 30 kW, però molto costoso per la sua potenza: 300.000 dollari. Ora vogliono realizzarne uno da 300 kW, grande come un aereo da turismo. Ma, come dicevo ho grossi dubbi che possano far crescere di molto ancora la potenza, per arrivare ai megawatt dovrebbero costruire una sorta di Jumbo eolico e farlo volare a migliaia di metri di altezza, occupando uno spazio enorme di volo. A quel punto nasceranno problemi di controllo. Nel campo dei groundgen il quadro è molto più articolato, esistono a livello di prototipo molti dispositivi promettenti negli Usa, in Germania, Olanda e naturalmente Italia. Quello che per ora ha funzionato meglio è il tedesco Enerkite: hanno mantenuto in funzione per alcune ore un prototipo da 20 kW. L’analogo progetto dell’Università di Delft, in Olanda, ha invece avuto tempi di volo continuo per ora molto più brevi.

Sono sistemi analoghi al KiteGen?

Solo nel senso che usano il kite a “yo-yo”, cioè azionando il generatore a terra con un movimento a otto del kite in cielo, durante gran parte del quale si produce corrente, e in piccola parte si consuma, per richiamare il kite indietro. Il punto di forza di questi progetti tedeschi e olandesi è che usano solo un cavo, invece dei due del KiteGen, e portano in alto un sistema elettromeccanico, il pod, per sterzare il kite, così semplificando il suo controllo ed evitando l’intreccio dei cavi. Il punto di debolezza di tutti questi progetti europei, invece, è che, secondo me, dovrebbero piantarla di cercare di arrivare subito a un controllo del tutto automatizzato del kite, cosa che pare essere al di là delle possibilità tecnologiche attuali, e cominciare a costruire modelli che prevedano un operatore umano, in attesa che la tecnologia diventi abbastanza raffinata da poter compensare le improvvise variazioni del vento. Non solo si garantirebbero più posti di lavoro connessi a questa fonte di energia, il che non guasta, ma il costo di questi lavoratori sarebbe compensato dall’usare un hardware meccanico ed elettronico più semplice ed affidabile. Come dimostrazione, posso citare di quando, nel 2011, a un convegno sull’eolico di alta quota, fra tanti discorsi di alta tecnologia informatica di controllo, si presentarono tre studenti tedeschi, che avevano realizzato un sistema di eolico d’alta quota, molto semplice e funzionante con il controllo di un operatore, con soli 2500 euro e qualche settimana di lavoro…

Ma se tutti i sistemi sono ancora lontani dall’operatività, voi su che punterete i vostri soldi?

In realtà ce n’è uno negli Usa che è molto vicino allo sfornare prodotti commerciali, ed è molto più semplice e decisamente più originale degli altri. Si tratta del progetto del KiteLab Group. Hanno testato moltissimi modelli, ma quello che sembra funzionare meglio è un kite con una lunga coda, ancorata a terra. Il kite si limita a restare in cielo, tendendo la coda nella direzione del vento, quello che viene sfruttato è l’oscillazione della coda, che fa muovere avanti e indietro un generatore a volano. Entro il 2015 presenteranno un modello commerciale da 10-20 kW e dei microgeneratori, ma il loro vero obbiettivo è arrivare a macchine da molti megawatt, composte di decine di kite uniti in un grande arco, che basta orientare nella direzione del vento, e poi lasciare fermo fino a che il vento non gira, eliminando quasi completamente il problema del controllo in volo. Con KiteLab abbiamo un accordo per la raccolta di finanziamenti.
Se invece parliamo di nostre acquisizioni dirette, posso solo dire che stiamo lavorando con tre piccole società americane, ognuna delle quali ha progetti con aspetti interessanti al loro interno, e una anche un prototipo da 20 kW pronto per l’industrializzazione. Il nostro scopo in questo caso è riunire le tre idee in una sola, e procedere rapidamente verso prodotti commerciali. Ma, al momento, non posso dare più dettagli su questi progetti.

Quindi niente più investimenti in Italia dopo la scottatura KiteGen?

KiteGen preferisco definirla un’esperienza non di successo, ma importante nella crescita mia e di WOW. La nostra filosofia di base non è cambiata: puntiamo sulla condivisione dei progetti tra persone comuni e ci piace pensare che tutti possano guadagnare un giorno dall’energia pulita di qualcosa di bello e innocuo come un aquilone. E non abbiamo neanche chiuso il capitolo Italia, noi parliamo con tutti e stiamo seguendo varie idee anche nel nostro paese. Per esempio stiamo valutando un progetto di eolico offshore galleggiante, da porre molto al largo della costa, che potrebbe integrarsi in futuro con l’eolico di alta quota, sia perché quest’ultimo richiederà grandi spazi aperti che non sono facili da trovare in Europa, sia perché l’ambiente marino potrebbe prestarsi anche a sistemi di accumulo dell’energia molto economici, che aumenterebbero il valore dell’elettricità prodotta, rendendola programmabile.

Ls nostra redazione continuerà a seguire lo sviluppo di questa tecnologia e darà voce ovviamente anche all’esperienza del KiteGen di Massimo Ippolito.

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