Stabilizzare l’ecobonus per l’edilizia è il passo più rapido per la ripresa

L'Italia dovrà prima o poi rendere operativo un piano energetico e industriale di grande portata. Cominciare dalla riqualificazione energetica dell'edilizia è fondamentale per ridurre le bollette energetiche di famiglie e imprese e rilanciare economia e occupazione. Pronta per l'uso, con le opportune modifiche, c'è intanto la detrazione fiscale. Resa stabile darebbe benefici di natura contabile, economica, industriale e, ovviamente, ambientale.

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Lo sentiamo dire da tutti: in Italia manca una vera politica energetica, quella di lungo respiro; una premessa che renderebbe automaticamente out la SEN presentata dal Governo Monti. Servono strumenti ben costruiti e soprattutto una politica industriale che la sostenga e che sia orientata all’innovazione e a scelte low carbon.

Programmi di questo spessore non sono pane della nostra politica, incapace o non desiderosa di cimentarsi su campi che richiedono periodiche analisi e monitoraggi, oltre che orizzonti che vanno al di là del decennio. Serve al nostro paese, sotto la spinta della ‘partita energetica’ a basse emissioni un programma industriale importante, “grandioso”, come scrisse una volta su questo sito l’economista Guido Viale; un programma che dovrà “tenere impegnate due o tre generazioni di scienziati, progettisti, tecnici, lavoratori e cittadini, su scala nazionale e soprattutto a livello locale, coinvolgendo municipalità, imprese, associazioni civiche, sindacati, università e ricerca”.

Servirebbero meccanismi incentivanti adatti all’attuale congiuntura economica, da considerare ormai strutturale, e un programma di riconversione produttiva i cui costi vadano a sostituire gradualmente quanto oggi spendiamo per le fonti fossili, esternalità negative comprese. Una strategia che cammini su due gambe: efficienza energetica (e risparmio) e fonti rinnovabili.

Un cambio di paradigma che vada a sostituire/riconvertire settori, come quello automobilistico, ormai decotti e che assorbono tanto denaro pubblico, con produzioni verdi a basso contenuto di materie prime e pronte per un processo di riciclaggio e riuso dei materiali utilizzati. Questo cambio epocale, non più procrastinabile, alla luce della “crisi perfetta” che stiamo vivendo (economica, finanziaria, ambientale, energetica e sociale) richiede una grande visione e non piccole operazioni di cabotaggio. Una strategia complessa, visti anche i diversi soggetti e le azioni da avviare, ma che ha bisogno anche di misure urgenti.

Un primo tassello, anche se non minore, visti i consumi energetici a esso connessi, è un piano di riqualificazione edilizia che utilizzi risorse dei privati e del settore pubblico. La forte crisi economica ha ridotto la disponibilità economica per famiglie e imprese e per questo abbiamo scritto su queste pagine che come non mai è necessario rimuovere le barriere  al credito che ostacolano l’accesso all’enorme giacimento energetico virtuale del nostro parco edilizio. In molti pensano che un ruolo determinante potranno averlo le Esco, Energy Service Company, ancora marginali negli interventi di efficientamento energetico nel nostro paese.

Una misura che se ben articolata potrebbe innescare subito, tra le altre cose, un rilancio della riqualificazione del vecchio ed energivoro parco edilizio nazionale, è quella della stabilizzazione dell’ecobonus o detrazione fiscale per gli interventi di efficienza energetica in edilizia. Una soluzione immediata, relativamente facile da attivare e che abbiamo potuto testare in questi anni: oltre 1,4 milioni di interventi per circa 18 miliardi di investimenti e 50mila addetti coinvolti soprattutto nel settore delle PMI e dell’edilizia. Un provvedimento che potrebbe avere due naturali benefici: la riduzione dei costi delle bollette energetiche (la spesa energetica delle famiglie sia cresciuta del 52% in 10 anni) e il rilancio della produzione nazionale e dell’occupazione.

Soluzioni temporanee come quelle di prorogare il provvedimento di detrazione Irpef con un’aliquota anche più alta (65%), ma di sei mesi in sei mesi, come appena fatto dal Governo Letta, non danno il tempo al sistema produttivo, per gran parte nazionale, di adeguarsi alla potenziale crescita della domanda, causando il peggiore degli effetti per chi voglia investire nella manifattura di queste tecnologie, lo stop and go del mercato.

Mantenere le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e per il fotovoltaico in edilizia e per interventi per la sicurezza sismica è essenziale, ma dovrebbero poi anche essere estese al patrimonio edilizio pubblico e a quello delle imprese. E i vantaggi sopra citati non sono gli unici.

Le motivazioni per rendere stabile, ma ben monitorato, l’ecobonus, sono di natura contabile, economica, industriale e, ovviamente, ambientale. Dal punto di vista del bilancio dello Stato, visto che il Ministero dell’Economia sottolinea sempre la mancanza di una copertura finanziaria, va detto che lo sgravio fiscale per questi interventi è praticamente a costo nullo per le casse dell’erario.

All’ammontare annuale di detrazioni, cioè le mancate entrate per lo Stato, vanno considerate in contropartita le entrate immediate derivanti dall’Iva e le entrate fiscali dirette provenienti dalla vendita, l’installazione e i servizi attinenti a questi interventi. Per una corretta contabilizzazione, è poi necessario aggiungere che questa forma di incentivo permette l’emersione dei lavori in nero, con ulteriore beneficio per il fisco, e scongiura il rischio di cassa integrazione, che è sempre un peso a carico dello Stato, e dunque dei contribuenti, per quei settori tecnologici coinvolti nella misura (molte imprese hi-tech) e per l’edilizia nel suo complesso.

Per avere la quadratura del cerchio, questo provvedimento deve essere valutato anche rispetto alle sue pecche. In questi anni non sono mancati casi di speculazione sul valore degli impianti. Tra produttori e fornitori si è diffusa l’abitudine a considerare le detrazioni come un’autorizzazione all’aumento dei prezzi al pubblico. Una pratica che, in concomitanza con l’esplosione della richiesta di tali impianti, ha fatto aumentare i prezzi anche in modo considerevole, penalizzando gli utenti finali e lo stesso erario.

Bisogna fare poi attenzione alle false sostituzioni (ovvero nuove installazioni mascherate con false certificazioni di smaltimento o numeri seriali di caldaie dismesse, approfittando della mancanza di un registro nazionale dei gruppi termici).

Un incentivo deve essere sempre modulato secondo logiche che portano nel tempo a una riduzione graduale dei prezzi. Sarebbe allora opportuno fissare, periodicamente, dei valori massimi o range di prezzi per singola tecnologia, degli standard, oltre i quali la detrazione non viene riconosciuta. Ciò potrebbe facilitare il contenimento dei prezzi, con benefici anche per l’erario.

Ma per prendere tali accorgimenti serve una attenta valutazione dell’andamento di mercato delle singole categorie merceologiche considerate dal provvedimento. Altra soluzione possibile è prevedere, nel tempo, una graduale diminuzione dell’aliquota.

Due elementi vanno comunque evitati: mettere un limite di risorse alle detrazioni fiscali annuali (frena la domanda che dovrebbe agire senza limiti di tempo o risorse) e rendere rigido il periodo di detrazione, oggi di 10 anni. Riguarda a quest’ultimo aspetto va considerato il momento storico in cui stiamo vivendo. La crisi economica non consente a nessuno di guardare lontano. Dunque, per il consumatore a volte è meglio accettare uno sconto subito con un servizio “in nero” (l’occhio è sul flusso di cassa di oggi e non tra 7, 8 o 10 anni), piuttosto che usufruire dell’opportunità della detrazione. Quindi una soluzione di “spalmatura” del credito di imposta anche su meno anni (ad esempio lasciare la scelta tra 5 e 10 anni) avrebbe una efficacia molto maggiore soprattutto per portare quei benefici citati prima.

Avremmo a portata di mano una misura win-win per l’efficienza energetica e la ripresa economica, magari prima di rendere operativo un piano più sistematico che contempli altri meccanismi anche per altri settori, ma finora la nostra politica non ha saputo o voluto svilupparla.

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