Rinascita nucleare? Da questi dati non sembra

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Il nucleare non è in gran forma: le promesse della “rinascita nucleare” sono ampiamente disattese dai fatti. La produzione cala, le centrali sono sempre più vecchie e, soprattutto, i conti non tornano: in 10 anni il costo preventivato è passato da circa 1000 a 7000 $/kW e gli investimenti sono sempre più difficili e rischiosi.

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Il nucleare non è in gran forma e le promesse della “rinascita nucleare” che abbiamo sentito negli ultimi anni sono ampiamente disattese dai fatti. Ad oggi sono in funzione 17 centrali in meno rispetto al 2002 e nel 2012 la generazione elettrica dell’atomo è scesa del 7% rispetto all’anno precedente. Un declino che non è attribuibile unicamente al disastro di Fukushima e al conseguente stop dei reattori in Giappone e in Germania: in quasi tutti i paesi del nucleare l’output è calato. E in futuro le cose non andranno certo meglio: i reattori operativi sono sempre più vecchi e prossimi alla pensione e quelli in costruzione affrontano costantemente ritardi e sforamenti di budget. Basti pensare che in dieci anni il costo preventivato per un kW di potenza nucleare è passato da circa 1.000 a 7000 dollari.

The World Nuclear Industry Status Report 2013, studio realizzato da analisti indipendenti e commissionato tra gli altri dalla Heinrich Boll Stiftung e dai Verdi Europei (allegato in basso) fornisce una massa di dati che potrebbe far meditare molti tra gli illusi sul futuro radioso del nucleare.

Come detto, la produzione dell’atomo nel 2012 è calata del 7%, dopo essere scesa del 4% nel 2011 (vedi grafico sotto). Ci sono 427 reattori in funzione sparsi in 31 paesi, per una potenza di 364 GW: 11 GW in meno rispetto al 2010. Con 2.346 TWh l’anno scorso l’atomo ha prodotto il 12% in meno rispetto al picco del 2006. Chiaramente su questi numeri pesa il fermo delle centrali giapponesi, ma la produzione è calata in altre 16 nazioni, tra cui i 5 paesi con maggiore potenza atomica.

Particolarmente significativo il confronto con le rinnovabili. Nel 2012 si sono installati 45 GW di eolico e 32 di fotovoltaico, solo 1,2 GW di nucleare. Per parlare di produzione, dal 2000 al 2012, quella del vento è cresciuta di 500 TWh, quella del solare di circa 100 TWh, mentre quella dell’atomo è calata di 100 TWh. Sia Cina che India per la prima volta hanno prodotto più elettricità con l’eolico che con il nucleare.

Dal 17% del 1993, la quota di energia atomica nel mix elettrico mondiale è scesa al 10% nel 2012 e probabilmente è destinata a scendere ancora. Il parco impianti infatti invecchia: l’età media dei reattori al momento è di 28 anni. Più di 190 unità, il 45% del totale, ha già lavorato per più di 30 anni e 44 impianti sono in funzione da più di 40 anni (vedi grafico sotto).

“In costruzione” ci sono invece 66 reattori, in 14 paesi (i due terzi in Cina, India e Russia), per un totale di 63 GW. Da notare che di questi 20 sono “in fase di costruzione” da oltre 20 anni e 4 da oltre 10, mentre 45, stando al database dell’Agenzia atomica internazionale (IAEA), ancora non hanno una data di entrata in esercizio programmata.

Nel 2012 si sono accesi 3 reattori e se ne sono spenti il doppio, nei primi sei mesi del 2013, ne è entrato in funzione uno, mentre 4 sono stati fermati. I programmi nucleari di diversi paesi (come Bangladesh, Bielorussia,Giordania, Lituania, Polonia, Arabia Saudita e Vietnam) sono stati rinviati. In Russia la costruzione di un reattore iniziata nel 2012 è stata abbandonata a maggio 2013. Negli Usa, dopo 35 anni, l’anno scorso si è ricominciato a costruire (6 reattori nel 2012 e 3 nel 2013) ma solo dopo che è stato stanziato un fondo di garanzia pubblico da 8 miliardi di dollari.

A frenare la “rinascita nucleare” è infatti la questione economica. Il progetto di espansione di Voigtle, negli Usa è nelle mani della stessa azienda che aveva costruito i reattori esistenti, preventivati 660 milioni di dollari e costati poi quasi 9 miliardi. Con preventivi che in 10 anni si sono moltiplicati per 7, da 1000 a 7000 dollari per kW, e tempi di costruzione incerti, chiaro che sia difficile trovare finanziatori. L’unico modo è l’aiuto pubblico, come appunto i fondi di garanzia federali negli Usa o il Contract for Difference britannico, che garantisce un prezzo d’acquisto gonfiato all’energia dei nuovi impianti.

Dopo Fukushima, con gli adeguamenti di sicurezza richiesti, far quadrare i conti è diventato ancora più difficile per chi fa nucleare e non è un caso se 9 sulle 14 utility coinvolte nel nucleare considerate dal report hanno visto le loro entrate calare e 13 hanno aumentato il loro indebitamento. Negli ultimi 5 anni in 10 hanno subito un declassamento da parte di Standard and Poor’s. Le agenzie di Rating considerano gli investimenti in nucleare rischiosi e se un’azienda abbandona un progetto nell’atomo la qualità del suo credito ne beneficia. Le azioni del più grande operatore di nucleare al mondo, EDF, sono crollate dell’85% in 5 anni, quelli del più grande costruttore, AREVA, dell’88%.

Insomma, per dire che il nucleare non è un buon affare non occorre nemmeno citare quel che ancora sta succedendo a Fukushima, cosa che peraltro il report fa: la situazione al reattore è tutt’altro che sotto controllo (vedi notizie di questi giorni), 150mila persone rimangono evacuate, ci sono circa 130mila richieste di risarcimento e ci sono 235 chilometri quadrati di territori da decontaminare; in quanto ai danni economici, sociali e sanitari probabilmente non li conosceremo mai con esattezza, ma di certo continueremo a pagarli per decenni.

“The World Nuclear Industry Status Report 2013” (pdf)

 

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