Condivisa, pulita, circolare: per uscire dalla crisi l’economia deve essere così

Dalla crisi si esce solo con l'innovazione e l'efficienza, per creare ricchezza usando meno risorse. Uno studio pubblicato in questi giorni mostra come, puntando su efficienza, energie pulite, economia 'circolare' e sharing economy, nel solo Regno Unito si possono generare 100 miliardi di sterline di valore aggiunto e 40mila posti di lavoro l'anno.

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Dalla crisi si esce solo con l’innovazione e l’efficienza, in modo da creare ricchezza usando meno risorse. A sostenere questa tesi arriva uno studio pubblicato in questi giorni. Il report, curato da Accenture (allegato in basso), mostra come puntando su efficienza energetica e nell’uso delle energie pulite, economia circolare e nuovi modelli di business basati sulla condivisione, oltre che su una maggiore attenzione alla responsabilità sociale e ambientale delle imprese, nel solo Regno Unito si possono creare 100 miliardi di sterline l’anno di valore aggiunto. Solo nel settore del cleantech, che attualmente occupa un milione di persone con un aumento di 25mila unità tra il 2010 e il 2011, si potrebbero così creare oltre 40mila posti di lavoro.

Il volume d’affari delle aree citate attualmente è di circa 200 miliardi di sterline, approssimativamente il 6% del volume d’affari del settore privato, e registra crescite superiori alla media. Negli ultimi cinque anni la green economy, ad esempio, è cresciuta del 24% mentre l’economia cosiddetta ‘circolare’, basata su riuso e riciclo è aumentata del 18%. E’ qui che bisogna puntare per tornare a crescere.

Il giacimento di valore da sfruttare più importante, ma questa non è una novità, è con misure a costo nullo o molto ridotto per migliorare l’efficienza. Da usi più intelligenti delle materie prime che riducano gli scarti arriverebbero 20 miliardi di sterline l’anno, con il risparmio energetico se ne potrebbero raccogliere altri 4, mentre un altro miliardo si potrebbe ottenere usando in maniera più smart l’acqua. Pratiche che chiaramente portano anche benefici ambientali: ad esempio si ridurrebbero le emissioni britanniche del 13%.

Adottare modelli di economia circolare poi, potrebbe portare a 15-18 miliardi di sterline di risparmio sui costi dei materiali per il settore manifatturiero, il 20% del totale dei costi di approvvigionamento. Per fare un esempio di quel che si intende: i costi di produzione di un telefono cellulare potrebbero essere dimezzati se le aziende nella progettazione pensassero a rendere più facile disassemblare l’apparecchio a fine vita e offrissero incentivi per la riconsegna. Oppure, per fare un altro esempio: se gli scarti alimentari fossero usati sistematicamente per produrre biogas si guadagnerebbero 113 sterline per ogni tonnellata di rifiuti, a livello nazionale sarebbero un miliardo di sterline l’anno.

Altra risorsa molto interessante evidenziata dallo studio, quella creata dalla cosiddetta sharing economy: modelli di business – quali i siti che organizzano il car sharing o car pooling o le piattaforme di compravendita o noleggio tra privati – che valorizzano risorse altrimenti inutilizzate: si pensi ad esempio al posto vuoto in macchina nel caso del carpooling, cioè la condivisione delle spese per un viaggio in auto. Questa “rivoluzione industriale delle relazioni”, come la definisce Francesco Saviozzi, professore di Strategia alla SDA Bocconi, rende sempre meno importante il possesso dei beni, valorizzandone invece l’uso, indebolisce la distinzione tra produttori-fornitori e utenti-consumatori ma soprattutto produce servizi senza impiego di risorse aggiuntive.

Quanto possano essere importanti i nuovi modi di scambiarsi beni e servizi per l’efficienza energetica e la crescita economica, d’altra parte, ce lo ricorda anche un altro report britannico di cui abbiamo parlato in passato, quello commissionato a Mc Kinsey dalla Ellen MacArthur Foundation. Se le lavatrici fossero date in leasing anziché acquistate, si legge, i consumatori potrebbero risparmiare circa un terzo per ogni ciclo di lavaggio e i produttori-gestori guadagnerebbero circa un terzo in più: questo modello di business disincentiverebbe, infatti, l’obsolescenza programmata e l’utente, anziché cambiare in 20 anni 5 lavatrici dalla vita utile di 2000 lavaggi, ne prenderebbe a leasing una sola che dura 10mila, facendo risparmiare 180 kg di acciaio e oltre 2,5 tonnellate di CO2.

Se l’industria europea usasse le risorse naturali in maniera più efficiente, diceva quello studio, potrebbe risparmiare fino a circa 630 miliardi di dollari all’anno, pari a circa un quarto di quello che spende per approvigionarsi e a 3-4 punti percentuali di Pil.

Puntare sull’efficienza nell’uso delle risorse, d’altra parte, non è un’opzione facoltativa: il sistema economico mondiale attualmente “mangia” 65 miliardi di tonnellate di materie prime all’anno, e se non si cambierà, nel 2020 ne assorbirà 82, con la conseguenza che il prezzo di queste risorse non farà che aumentare. E che succederà nel 2040 quando dai 7 miliardi di terrestri attuali passeremo a 9 miliardi, di cui 3 consumeranno come gli abitanti degli attuali paesi ricchi?

Insomma, la strada dell’innovazione per ridurre l’impatto su ambiente e risorse non è solo la più rapida per uscire dalla crisi, è probabilmente anche l’unica possibile. Governi lungimiranti dovrebbero avere il coraggio di sostenerla, mentre chi tra i nostri industriali pensa che tutto possa risolversi abbassando il costo del lavoro e dell’energia dovrebbe rifletterci.

Il report Accenture (pdf)

 

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