L’ETS europeo fa più male che bene al clima?

Non solo l'Emission Trading Scheme europeo si sta rivelando inefficace, minato com'è dal surplus di permessi, ma potrebbe addirittura compromettere le riduzioni di gas serra che sono favorite dalle altre politiche su clima, rinnovabili ed efficienza enegretica. Servono interventi urgenti, denuncia un nuovo report della Ong Sandbag.

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Non solo l’Emission Trading Scheme (ETS) europeo non sta portando allo scopo per cui era stato pensato, cioè di ridurre le emissioni, ma il meccanismo di cap and trade comunitario potrebbe anche essere controproducente nella battaglia per frenare il global warming. L’ETS dovrebbe portare entro il 2020 ad un taglio delle emissioni di 2,8 miliardi di tonnellate di CO2, più di qualsiasi altra politica europea. Se però non si mette un correttivo rischia di far saltare riduzioni della CO2 per 700 milioni di tonnellate che verrebbero da altre misure come le politiche per rinnovabili e ed efficienza energetica. L’allarme arriva da un report della Ong Sandbag presentato oggi (allegato in basso).

Il documento non a caso è stato pubblicato quasi alla vigilia del nuovo voto del Parlamento europeo sul backloading (prossimo 3 luglio), cioè, su quella possibilità di congelare l’immissione sul mercato di nuovi permessi ad emettere. L’effetto negativo sulle emissioni reali del meccanismo – si spiega – viene dall’eccesso di permessi ad emettere assegnati e soprattutto dalla possibilità data alle industrie soggette allo schema di accantonarli per usarli nella fase successiva, la quarta, che scatterà dopo il 2020. Oltre agli 1,8 miliardi di tonnellate di permessi “avanzati” dalla seconda fase e utilizzabili nella terza (quella iniziata nel 2013), si stima che circa un surplus di circa 2 miliardi di crediti possa essere accantonato in questa fase e usato nella successiva (vedi grafico).

I surplus di permessi sono accumulati grazie a un tetto fissato a livelli troppo alti, specie dopo che la recessione ha fatto calare le emissioni senza bisogno di sforzi o investimenti strutturali. A tutti i settori manifatturieri sono stati assegnati permessi in eccesso che stanno accumulando e che potranno spendere non solo nella fase 3, quella attuale, ma anche nella fase 4, quella successiva al 2020.

Un altro fenomeno ha minato l’efficacia dell’ETS europeo: nonostante la carenza di domanda di permessi, il mercato europeo delle emissioni è diventato il bacino in cui si sono scaricati gran parte dei crediti offset “finti”, cioè derivanti da alcuni meccanismi di compensazione previsti dal Protocollo di Kyoto che non portano a reali riduzioni. Degli 1,1 miliardi di crediti offset resi nella fase 2 (2008-2012), ad esempio, l’85% deriva da progetti in seguito ‘squalificati’, perché si è capito che non andavano a tagliare veramente le emissioni, come quelli sul gas HFC23 (vedi grafico). La corsa ad usufruire di questi crediti offset prima della loro messa al bando ha fatto registrare addirittura un calo delle emissioni del 27% rispetto ai livelli del 1990, calo che ovviamente è solo sulla carta.

L’ETS dunque anziché uno stimolo a tagliare davvero la CO2 è diventato un freno: c’è bisogno perciò di correttivi. “Un livello minimo di ambizione deve essere restaurato per evitare che l’ETS annulli i risultati che si possono ottenere con altre politiche e danneggi la credibilità internazionale dell’UE nei negoziati internazionali. Il dibattito sul backloading deve essere un primo passo per una decisione separata che porti alla cancellazione di almeno 1,7 miliardi di crediti”, avverte Damien Morris, uno degli autori del report.

Il report di Sandbag “Drifting toward disaster?” (pdf)

 

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