Dazi europei sul fotovoltaico cinese, cosa succederà?

Il 5 giugno la Commissione europea deciderà sull'imposizione di eventuali dazi provvisori retroattivi sui prodotti FV 'made in China' importati in Europa. Nonostante la contrarietà della maggioranza degli Stati Membri, l'orientamento della Commissione sembra essere quello di confermare le misure e solo dopo cercare un accordo.

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Mancano due giorni alla decisione: il 5 giugno la Commissione europea comunicherà la sua decisione su una questione che sta preoccupando l’intero mondo del fotovoltaico: l’imposizione di eventuali dazi sui prodotti fotovoltaici ‘made in China’ importati in Europa. Come sappiamo l’Esecutivo europeo vorrebbe imporre, dal 6 giugno, dazi sui prodotti FV cinesi che in media saranno del 47%. I dazi, provvisori, sarebbero retroattivi, applicati su tutta la merce importata dopo il 6 marzo 2013, mentre eventuali misure definitive sarebbero prese solo il 5 dicembre.

Oltre 15 Stati membri al momento si sono espressi contro le barriere protezionistiche. Mentre Italia e Francia sono a favore dei dazi, anche la Germania, il mercato più importante, è contraria: lunedì scorso a Berlino la cancelliera Angela Merkel e il premier cinese Li Keqiang hanno fatto un appello congiunto affinché si trovi una soluzione negoziale. La Commissione, tuttavia, può decidere senza tenere conto del parere degli Stati e l’orientamento del commissario al Commercio Karel De Gucht, emersa dopo un incontro con il ministro del Commercio cinese, Zhong Shan, sembrerebbe quella di cercare un accordo solo dopo la riconferma dei dazi provvisori il 5 giugno.

“In questa fase ogni eventuale misura temporanea è una risposta di emergenza per riequilibrare il mercato per le aziende europee che subiscono una competizione sleale fatta di dumping dall’industria solare cinese. Al momento sono a rischio 30mila posti di lavoro nel settore. La Commissione è obbligata a vedere la situazione nel suo complesso e a prendere decisioni basandosi solamente sui fatti”, ha infatti dichiarato l’ufficio del commissario De Gutch.

Cosa significherà la decisione per l’industria del fotovoltaico? Se i dazi proposti saranno confermati ci potrebbe essere un’ulteriore selezione tra le aziende cinese. E invece probabilmente troppo tardi per salvare diverse imprese europee che operano nell’upstream.

Che ci siano dazi o una soluzione negoziale – ad esempio basata su un sistema di quote o trade cap – per le aziende cinesi senz’altro lo scenario sarà tutt’altro che roseo, ma nemmeno per gli europei la situazione sarà facile. Il mercato del vecchio continente è rallentato e difficilmente, secondo gli analisti, gli altri mercati emergenti assorbiranno l’eccesso di produzione, che, nonostante diverse aziende siano fallite, è ancora elevato: la capacità produttiva è ancora circa il doppio della domanda prevista.

Installatori e consumatori del vecchio continente, invece, dovranno fare i conti con prezzi che, proprio a causa dei dazi (che sono retroattivi), già da qualche mese hanno ricominciato ad aumentare. Da marzo, quando si è imposto l’obbligo di registrazione che consente di applicare eventuali dazi retroattivi sui prodotti FV cinesi infatti si è registrato un aumento: molti fornitori cinesi hanno tagliato le spedizioni in Europa in attesa della decisone preliminare sulle misure antidumping.

Un rialzo che, stando alle cifre di una ricerca fatta da Prognos, potrebbe essere un duro colpo per il FV, che per di più in certi mercati europei, come il nostro, ora deve sopravvivere anche senza incentivi. Secondo lo studio, spesso citato da AFASE, la coalizione di industrie contraria alle barriere protezionistiche, dazi del 60% costerebbe all’economia europea fino a 242.000 posti di lavoro e 27 miliardi di euro nei prossimi tre anni e anche tariffe del 15% distruggerebbero l’85% della domanda di fotovoltaico dell’UE.

“La Commissione Europea dovrebbe capire che il valore aggiunto risiede a monte e a valle della produzione di pannelli solari. Imporre dazi provvisori sulle importazioni di pannelli solari dalla Cina andrebbe contro l’Interesse dell’Unione europea e sarebbe in contraddizione con l’ambizione dell’Europa di creare una economia ‘verde’ con un alto valore aggiunto”, spiega AFASE.

Una visione contrapposta a quella di EU-ProSun, la coalizione protezionsta, che contesta lo studio basandosi su quanto successo negli Usa dopo l’imposizione delle barriere doganali al FV cinese: “non c’è stato il crollo del mercato e dell’occupazione previsto (da AFASE e Progno, ndr), bensì dall’introduzione dei dazi si sono creati 14mila nuovi posti di lavoro”.

 

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