Se la parola d’ordine è transizione energetica

Il fotovoltaico in Italia può limitarsi ad immaginare una proiezione stagnante del mercato o dovrebbe puntare nei prossimi 7-8 anni a fare almeno quanto realizzato negli scorsi quattro? Lo scontro tra generazione centralizzata e distribuita è palese e le armi pesanti sono dalla parte degli operatori energetici convenzionali, ma il futuro no. E la partita si gioca adesso.

ADV
image_pdfimage_print

È corretto ritenere che il mercato del fotovoltaico nazionale avrà una fase di stagnazione nei prossimi anni? Non sarebbe illogico che un settore potenzialmente enorme che ha installato in meno di 4 anni oltre 17.000 MW (è vero, grazie anche al combustibile di fin troppo elevati incentivi) possa non aggiungerne altrettanti entro la fine del 2020 o giù di lì, anche senza incentivi diretti?

Le variabili che si dovrebbero realizzare per una prospettiva ben più ottimistica delle attuali previsioni sono sicuramente molte: ulteriore riduzione dei prezzi dei sistemi FV, scarsa influenza della guerra dei dazi tra Cina e Europa, assetto regolatorio che non sia ostativo di tutte le forme di autoconsumo, diminuzione dei costi degli accumuli, prezzi dell’elettricità dalla rete in aumento, ecc. Variabili connesse tra loro, ma comunque possibili già dai prossimi mesi o anni.

Abbiamo assistito in pochissimo tempo ad uno stravolgimento dell’assetto del mercato elettrico, a numeri che alla fine sono risultati sempre sottostimati rispetto alle previsioni sia a livello nazionale e internazionale e ora rischiamo di mancare di quella spinta per dare forza e corpo a quello che dovrebbe essere la parola d’ordine per chi opera nel settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica: transizione energetica, cioè in un sistema energetico sostituzione delle fonti convenzionali con quelle rinnovabili, e passaggio dalla generazione centralizzata a quella distribuita.

Questa dovrebbe essere l’aspirazione, la meta verso cui muoversi. Solo obiettivi ambiziosi mettono in campo forti strategie e decise proposte politiche. Piccoli cabotaggi non condurranno mai a cambiamenti radicali.

È necessario ricordare quanto avvenuto in questi anni. Dal punto di vista tecnico e di sistema ne abbiamo parlato abbondantemente sul nostro portale (peak shaving, calo della produzione termoelettrica, grid e market parity, ecc.), ma tutti, operatori del settore energetico tradizionale, delle tecnologie per la generazione distribuita e gli stessi decisori istituzionali sono stati presi in contropiede dai rapidi mutamenti in atto. Nessuno si aspettava questi stravolgimenti che stanno di fatto assottigliando i benefici economici degli storici detentori del potere economico-energetico. Coloro che prefiguravano questo panorama, lo procrastinavano per la fine del decennio o forse anche dopo. Gli stessi investitori delle centrali a ciclo combinato qualche anno fa non hanno mai creduto al boom del fotovoltaico e delle altre rinnovabili, anche se erano a conoscenza degli obiettivi vincolanti europei.

L’impreparazione tecnica e strategica nel gestire la forte penetrazione delle energie pulite nel sistema elettrico ha provocato e sta rafforzando l’influenza del sistema energetico convenzionale su governo e istituzioni energetiche, storico braccio armato delle lobby energetiche convenzionali. Ecco così che sono arrivate le loro misure draconiane che tutti conosciamo, chiaramente contrarie alla diffusione delle tecnologie rinnovabili. E quei decisori sono ancora quasi tutti nei loro posti.

Nessun ‘soft landing’ per migliaia di piccole e medie imprese del settore delle rinnovabili e del fotovoltaico in particolare, ma un’espulsione massiccia dal mercato di imprese, progetti e lavoratori. E a proposito di mercato e del principio della concorrenza andrebbe stigmatizzato l’approccio ambiguo dei grandi poteri energetici di questo paese: difendono con tutte le forze i privilegi e la posizione ottenuta nei decenni (l’offerta su grande scala nel passato ha consentito la riduzione dei costi, le sovvenzioni dirette e indirette ottenute) e poi si atteggiano a tutori del libero mercato nei confronti delle energie rinnovabili.

Vorremmo ricordare, in modo forse eccessivamente sintetico, alcune dimenticate verità. Non si dovrebbe nemmeno parlare di parità di concorrenza tra energie convenzionali e energie rinnovabili, perché le prime sono state promosse per oltre un secolo a livello politico ed economico e nei modi più disparati e mantengono ancora una posizione dominante. Non dobbiamo scordarci che è assurdo che sul mercato dell’energia le rinnovabili, con insignificanti costi esterni, siano più care delle fonti fossili o nucleari con tutto il loro fardello di costi sociali, ambientali e sanitari. Altro elemento spesso trascurato è che le rinnovabili rappresentano un fattore di sicurezza energetica e di riduzione dei costi di importazione dei combustibili fossili, oltre che, in teoria, di minori costi per le grandi infrastrutture di rete. Questi semplici concetti si concretizzano nella priorità di dispacciamento per le rinnovabili, anch’essa velatamente sotto attacco.

Perché allora immaginare un settore stagnante, vincolato dalle rigide regole dell’attuale mercato energetico? Perché ci si crogiola in una visione statica, anche di fronte a un recente passato che ci racconta di innovazioni sconvolgenti, anche quelle nel campo delle rinnovabili? Pochi immaginavano l’evoluzione di internet solo a metà degli anni ’90 o come la telefonia abbia vissuto in meno di 15 anni una rivoluzione. Anche se l’energia è cosa diversa (conta il servizio più che la modalità di produzione), qualcuno crede che un cambio di sistema possa avvenire senza accelerazioni? Molte istituzioni e operatori tradizionali dell’energia chiedono un passaggio graduale alle rinnovabili, che è la classica tattica dilatoria di chi detiene il potere e teme di perderlo.

Come diceva Hermann Scheer sui freni all’opportunità tempistica del cambiamento: “non ci sarà mai un momento calcolato a livello teorico nel quale tutti gli investimenti saranno completamente ammortizzati nel sistema energetico in funzione, perché sono tutti scaglionati e hanno una durata diversa”. E aggiungeva sempre sul cambiamento, “le iniziative di successo sono state sempre portate avanti ‘contro il sistema’ e il comando è stato sempre assunto da nuovi attori in ambito politico, economico e sociale”.

Dunque, ci vogliamo accontentare della politica dei piccoli passi, di questo contraffatto realismo o “consenso energetico” (per dirla in numeri, del GW o anche meno all’anno di fotovoltaico o di altre rinnovabili) oppure, senza chiedere troppi permessi, si decide di puntare alla transizione e al vero cambiamento energetico? La questione è indifferibile.

ADV
×