L’auto che si guida da sola: ecosostenibile e non lontana

Le driverless car, ossia le auto che si guidano da sole, per ora in fase sperimentale, potrebbero essere una realtà già entro una dozzina di anni. Oltre alla comodità porterebbero anche significativi vantaggi ambientali, rivoluzionando i sistemi di mobilità urbana. Una possibile priorità per la Agenda Digitale Italiana?

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A esattamente 100 anni dalla prima catena di montaggio di Henry Ford (1 Dicembre 1913) la produzione di “automobili autonome” sensu strictu, che oltre a muoversi si possono guidare da sole non è più una prospettiva troppo remota. Esperimenti sono  in corso  da parte di diversi potenziali attori della nuova rivoluzione del trasporto individuale: Google dichiara più di 400.000 miglia (quasi 500 mila km) percorse dalla sua flotta di sei Toyota Prius ibride, una Lexus RX450h ed una Audi TT.

KMPG, una delle più importanti società mondiali di consulenza, nel suo rapporto del Novembre 2012 “Self-driving cars:  The next revolution” (qui, pdf) ipotizza la comparsa di veicoli autonomi operativi entro la decade, e una massa critica di applicazioni e infrastrutture tale da permetterne una diffusione di massa entro una dozzina di anni o poco più.

Troppo presto? Pare di no: dal primo volo sperimentale dei Fratelli Wright  del 1903 al primo volo di linea regolare KLM passarono esattamente 16 anni, come ci ricorda la copertina del “The Economist” del 20 Aprile 2013 (“Clean, safe, and it drives itself”) e un precedente stimolante e visionario articolo sulle auto senza conducente. L’apparecchio dei Wright era veramente rudimentale, e basato  su tecnologia e modelli di utilizzo totalmente nuovi e mai provati neanche concettualmente visto che non si era affatto sicuri a quell’epoca che l’uomo potesse mai volare con apparecchi più pesanti dell’aria. Per contro, le principali tecnologie abilitanti l’auto senza pilota sono l’informatica, la sensoristica, ovviamente la stessa automobilistica, le radiotrasmissioni e le comunicazioni “machine-to-machine”: tutte tecnologie ben mature, non solo ampiamente collaudate ma in pervasiva diffusione in tutti i settori dell’industria, servizi e vita quotidiana. In altre parole: le premesse sembrano esserci tutte.

Le auto di Google sono modificate con un sensore rotante sul tettuccio che scansiona a 360 gradi e fino a 60 metri di distanza dal veicolo, creando una mappa 3D dell’ambiente circostante. Un sensore sulla ruota posteriore sinistra misura il movimento dell’auto con precisione ed aiuta a definirne la geolocalizzazione. Una videocamera sul parabrezza, vicina allo specchietto retrovisore rileva pedoni, ciclisti, semafori e ostacoli sulla strada e invia i dati al computer di bordo.  Sensori radar davanti e dietro contribuiscono a identificare oggetti piu’ lontani. Completano il pacchetto un GPS, un rilevatore laser e un sensore inerziale di moto.

Per una diffusione di massa delle auto autonome sarà necessaria anche una convergenza e una standardizzazione delle tecnologie “V2V” veicolo a veicolo e “V2I” veicolo a infrastruttura, intesa come strada, controllo del traffico, parcheggio, ed una più sviluppata pianificazione delle frequenze DSRC (“dedicated short range communications” attualmente sui 5.9 GHz  con standard SAE J2735 and the IEEE 1609 ).

Come in tutti i cambiamenti sociali dovuti alle discontinuità tecnologiche, ci saranno vincitori e sconfitti dalla penetrazione della nuova tecnologia: l’informatica e l’elettronica e anche l’industria automobilistica vedranno aprirsi nuovi mercati e applicazioni, i grandi centri commerciali potrebbero offrire passaggi automatici gratuiti per attrarre clienti, aziende di trasporto potrebbero organizzare convogli automatici. Per contro camionisti e tassisti probabilmente dovranno cercarsi un nuovo lavoro;  vigili e parcheggi dovrebbero perdere vittime e clienti considerato che le auto automatiche obbediranno strettamente al codice della strada e non avranno bisogno di parcheggio in centro, il che vuol dire riduzione delle entrate per i comuni. 

Le conseguenza ambientali ed energetiche non possono che essere positive.  Le “automobili autonome” non solo hanno inevitabilmente uno stile di guida più efficiente dal punto di vista dei consumi, ma soprattutto potrebbero, ciascuna, sostituire più di una delle automobili private attuali. Le nostre auto restano parcheggiate per la gran parte del tempo, usualmente una volta assolto il viaggio per una persona. Le auto robotiche possono essere usate, su chiamata (tramite smartphone certamente), dai membri della famiglia (o dai colleghi, dai membri di una comunità) che ne hanno bisogno, come se si avesse un autista perennemente a disposizione. Il numero complessivo di auto in circolazione dovrebbe diminuire, con significative riduzioni di emissioni di CO2 e di micro particolati ma soprattutto di materiali usurabili.

L’occupazione di spazio, soprattutto nei centri storici, potrebbe migliorare grandemente, il parcheggio sotto la propria destinazione non essendo più necessario visto che l’auto robotica può, depositato il passeggero, rientrare alla propria base ovvero cercarsi un parcheggio in zone ad ampia disponibilità, non importa se scomode, in attesa di essere richiamata. Anziani, giovani sotto l’età per la patente (ma: ci sarà ancora bisogno della patente di guida poi?), disabili o persone “inadatte alla guida” non saranno più penalizzati nella loro libertà di spostamento individuale. Le auto robotiche possono viaggiare incolonnate e molto vicine le une alle altre, con riduzione del traffico, e conseguentemente meno consumo di territorio: nuove strade ed allargamenti delle autostrade non dovrebbero più essere necessari.

Anche il costo della assicurazione RC dovrebbe diminuire: le auto robot non si stancano, non bevono, non si distraggono dalla guida e non commettono imprudenze.  Secondo ”The Economist” nell’articolo citato non è inverosimile la prospettiva  di arrivare fino a rendere inassicurabili le auto guidate da umani …

Gli investimenti nella ricerca e sviluppo per la produzione di auto autonome sono responsabilità e competenza dell’industria automobilistica, che in Italia è una sola, e non risulta abbia alcuna attività di studio in materia, a differenza di Mercedes ed Audi, ma sembra restare fedele a quella tradizione industriale molto italiana di trascurare le tecnologie emergenti, tradizione che ha già causato danni e circa 6,5 miliardi di Euro (Ottobre 2012) di debito estero per le mancate produzioni nazionali fotovoltaiche ed eoliche.

Pianificazione delle infrastrutture di supporto e della normativa sono invece compito delle municipalità e della PA.  Lo Stato del Nevada (nelle cui città Google prova le sue auto oltre che in California) ha legiferato sulle “driverless” già dal 2011.  La “Agenda Digitale”, istituita dal secondo decreto sviluppo 2012 promuove i sistemi di trasporto intelligenti e le “smart cities”. Varrebbe senz’altro la pena inserire nel piano dei lavori anche una attenzione al prossimo arrivo delle auto “driverless”.

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