Bolla del carbonio, crisi finanziaria ed economia mondiale a rischio

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Oggi si celebra la Giornata della Terra. Dopo 43 anni dalla sua istituzione serve una profonda riflessione. La concentrazione di CO2 in atmosfera accelera ad un ritmo notevolissimo, ma l'industria dei combustibili fossili si prepara ad investimenti incompatibili con la crisi climatica, una corsa suicida che rischia di provocare anche un tracollo della finanza mondiale.

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Oggi, 22 aprile, si celebra come avviene tutti gli anni dal 1970, la Giornata della Terra. Il primo Earth Day si svolse in molte città degli Usa con iniziative colorate incentrate sui problemi dell’inquinamento dell’aria e dei rifiuti. Una festa che sostanzialmente certificava la necessità di organizzare una risposta collettiva ai problemi ambientali.

Col tempo alle tematiche locali si sono aggiunte quelle globali, e in particolare si è imposta la necessità di limitare i rischi dei cambiamenti climatici, la vera sfida per la nostra sopravvivenza sul pianeta. Qual è la situazione su questo fronte, a 43 anni di distanza dal primo Earth Day?

Intanto, una constatazione: la quantità di gas climalteranti riversata in atmosfera tra il 1970 ed oggi ha superato tutta quella prodotta dall’uomo nei secoli precedenti.  Malgrado gli accordi internazionali e gli impegni di riduzione di singoli paesi, la concentrazione di CO2 in atmosfera continua infatti ad accelerare il ritmo di crescita: nell’ultimo decennio (2003-12) l’incremento annuo è stato di 2,1 ppm, in quello precedente era stato di 1,7 ppm/a.

E malgrado l’indicazione della comunità scientifica della necessità di non superare la soglia di 450 ppm per evitare conseguenze irreversibili e catastrofiche e la presa d’atto da parte di tutti gli Stati della necessità di arrivare ad un accordo per cercare di non superare questo limite, il trend segnala l’inesorabile avvicinamento a questa soglia: tra 2-3 anni avremo raggiunto i 400 ppm e, in assenza di reali inversioni, nell’arco di un ventennio si sorpasseranno i 450 ppm.

Anche se ci sono interessanti segnali di discontinuità, ma ci torneremo dopo, l’industria dei combustibili fossili mondiale si comporta come una locomotiva lanciata verso un ponte tranciato a metà. Questo settore investirà infatti 6.000 miliardi $ nel prossimo decennio per trovare nuove riserve. Investimenti enormi, che però sono a forte rischio.

E’ stato appena pubblicato un rapporto molto lucido coordinato da Lord Stern, “Unburnable carbon 2013: Wasted capital and stranded assets”, che mette in guardia le multinazionali del petrolio, del gas e del carbone. Si parte da un elemento già evidenziato dalla IEA, e cioè che per non superare la soglia dei 450 ppm due terzi delle riserve note di combustibili fossili non potranno essere utilizzate, e si mettono in guardia le società coinvolte: l’affanno per trovare nuove riserve può diventare un boomerang. Viene evocata la crisi del mondo della finanza, con enormi volumi di risorse virtuali che hanno destabilizzato il mercato. 

Attenzione, avverte Stern, già Chief Economist della Banca Mondiale, lo stesso può avvenire con i combustibili fossili. E mentre il gruppo HSBC rileva come il 40-60% della capitalizzazione delle società petrolifere sia a rischio per la potenziale “bolla del carbonio”, la Bank of England evidenzia come il collasso delle azioni delle multinazionali petrolifere e del carbone comporterebbe serie ripercussioni nella City finanziaria. Gli stessi Fondi Pensione che possiedono azioni di queste compagnie iniziano a tenere conto del rischio che corrono.

Queste preoccupazioni si legano direttamente al movimento “Divest Fossil Fuel” che dall’altra parte dell’oceano ha già coinvolto oltre 300 Campus ed una settantina di città in una mobilitazione per sensibilizzare sulla opportunità di vendere le azioni delle aziende coinvolte nei combustibili fossili e puntare invece in quelle impegnate nell’efficienza e nelle rinnovabili.

E veniamo all’ultima notazione, di speranza. Perché se è vero che continua la ricerca folle del petrolio in situazioni estreme come nell’Artico, e che si punta all’estrazione, disastrosa per l’ambiente, del greggio dalle sabbie bituminose in Canada, è sempre più chiaro che le alternative non solo iniziano ad esserci, ma che nei prossimi anni potranno rappresentare opzioni economicamente valide alla spirale di crescita delle emissioni climalteranti.

Parliamo innanzitutto delle soluzioni sul versante dell’efficienza nei settori più diversi, dall’edilizia alla mobilità, dagli elettrodomestici all’illuminazione. E parliamo delle rinnovabili che iniziano a farsi temibili e che nei prossimi anni rappresenteranno un’alternativa insidiosa per le utilities e una seria opportunità per soddisfare i nostri fabbisogni. 

Fermo restando che, aldilà delle tecnologie più pulite che potremo utilizzare, va con lucidità avanzata una riflessione di fondo sul modello di sviluppo e sugli stili di vita. L’attuale strutturale crisi economica ci obbliga a ricercare soluzioni diverse, soft, in grado di dare occupazione e di minimizzare l’impatto sull’ambiente. Riflettiamoci in questo Earth Day.

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