Il futuro del carbone e quello del clima

CATEGORIE:

Secondo la IEA il carbone potrebbe crescere del 65% entro il 2035, ma, dice la scienza, se bruciassimo anche solo un terzo delle riserve provate ci giocheremmo la possibilità di stare sotto ai 2° C di riscaldamento. La crescita del carbone è un eventualità preoccupante ma, dalla Cina all'Europa, questa fonte sta incontrando diversi ostacoli.

ADV
image_pdfimage_print

Oggi il mondo consuma circa 8 miliardi di tonnellate di carbone all’anno, 80 volte quanto ne consumava all’apice della rivoluzione industriale, nel 1850. In questo momento ci sono progetti per costruire 1.200 nuove centrali a carbone, tre quarti dei quali in Cina e India. Ma questa fonte è incompatibile con la la lotta al global warming, pone seri problemi di inquinamento ambientale, provoca danni sanitari difficili da accettare e questo si riperquote anche sulla sua attrattività economica. Che futuro può avere?

Se dalla lobby del carbone lo sviluppo di questa fonte ‘economica’ viene dipinto come indispensabile per affrontare la povertà energetica che affligge una parte rilevante della popolazione mondiale, è sempre più chiaro che il carbone è economico solo perché scarica sulla collettività gli enormi costi ambientali e sanitari e che una sua crescita ulteriore non sarebbe sostenibile.

Per ricordare solo un numero rispetto ai costi sanitari: per ogni mille miliardi di chilowattora prodotti causano 170.000 morti, contro i 36.000 del petrolio, i 4.000 del gas e i 150 dell’eolico, che sono soprattutto incidenti sul lavoro in produzione e installazione (dato OMS, si veda QualEnergia.it, Quei chilowattora sporchi e il loro prezzo in vite umane). Quanto alla questione clima, il carbone è responsabile del 43% delle emissioni mondiali di CO2.

In sintesi estrema: il futuro del carbone, salvo ormai poco probabili progressi tempestivi nella tecnologia della cattura della CO2, è incompatibile con quello del pianeta. Secondo la International Energy Agency (vedi ultimo World Energy Outlook) se il trend attuale continuasse il consumo di carbone potrebbe crescere del 65% entro il 2035, ma, stando alla letteratura scientifica (si veda studio del Potsdam Institute), se bruciassimo anche solo da un terzo alla metà delle riserve provate di questo minerale ci giocheremmo ogni possibilità di far rimanere il riscaldamento globale sotto la soglia critica dei 2° C.

Ci troviamo di fronte a due ipotesi. La prima, che presuppone di fare sul serio nella lotta al global warming, implica che siamo seduti sopra una quantità enorme di riserve che dovranno rimanere sotto terra, con conseguente rischio che scoppi una bolla economica: se la comunità internazionale terrà fede all’impegno di fermare il riscaldamento globale entro i 2 °C, il valore delle azioni delle grandi coorporation delle fonti fossili crollerà del 40-60%, stima un recente report HSBC). La seconda, che presuppone che il carbone continui a crescere e che queste riserve verranno estratte e bruciate, implica una disfatta dal punto di vista della lotta al riscaldamento globale. Quale delle due ipotesi si realizzerà?

Per provare a rispondere bisogna guardare a quanto sta accadendo in giro per il mondo (si veda anche mappa interattiva del World Resources Institute sotto). In Cina prima di tutto. Il gigante asiatico soddisfa l’80% del suo fabbisogno elettrico con questa fonte, consuma il 46% del carbone mondiale e dal 2001 al 2011 ha contribuito all’80% dell’aumento del consumo di carbone globale. La sua fame crescente di energia continuerà probabilmente ad essere soddisfatta così, ma ci sono segnali in contro tendenza: secondo dati del World Resources Institute, gli investimenti in carbone sono in calo e nel 2011 sono stati meno della metà rispetto al 2005.

Oltre che per gli impegni nella lotta al clima, infatti, Pechino sta frenando sul carbone (e spingendo sulle rinnovabili) perché, anche grazie all’emergenza smog, ci si sta rendendo conto degli altissimi costi sanitari di cui la fonte è responsabile (beni il 7,1% del Pil secondo uno studio del 2008). A questo si aggiunge il problema delle risorse idriche: il grande fabbisogno d’acqua del carbone si sta rivelando un serio problema (QualEnergia.it, La Cina e lo stress idrico da centrali a carbone )

Simile la situzione in India. Qui il piano per costruire 455 nuovi impianti, riporata un articolo di Yale Environment 360, si scontra con la limitatezza delle riserve di carbone: il paese dovrà andare ad importare carbone a caro prezzo o scavare in territori che ospitano popolazioni tribali e riserve naturalistiche, superando una forte opposizione.

Negli Stati Uniti invece lo sviluppo di nuove centrali a carbone è stato frenato dal boom dello shale gas che ha fatto calare i prezzi di questa fonte concorrente (anche se ora stanno tornando a salire). Il paese, che possiede il 28% delle riserve mondiali di carbone ne esporta sempre più, mentre, anche a causa delle nuove legislazioni ambientali, praticamente non si costruiscono nuove centrali: negli ultimi anni si sono cancellati i progetti di 175 nuovi impianti.

Della situazione europea poi abbiamo parlato di recente (QualEnergia.it, Il canto del cigno del carbone in Europa): nonostante un aumento nella produzione dovuto al phase out del nucleare tedesco, ai prezzi della CO2 stracciati e al carbone a basso prezzo esportato dagli Usa, nel vecchio continente con le politiche contro le emissioni e molte centrali vicine al pensionamento, questa fonte sembra essere destinata al declino.

Se infine vogliamo parlare della marginale realtà italiana citiamo l’analista Giuseppe Artizzu, che abbiamo intervistato ieri sul nostro mercato elettrico: “Al contrario di quello che spesso si afferma, lo spazio per altro carbone in Italia, salvo forse al nord, non c’è: non è competitivo rispetto alle importazioni a basso costo e alle fonti rinnovabili senza combustibile, e non è tecnicamente versatile come il gas, nella maggioranza degli usi termoelettrici correnti. Del resto, se E.On ha cancellato il repowering a carbone di Fiumesanto, e la conversione di Porto Tolle è sparita dal piano finanziario dell’Enel, una ragione ci sarà”.

Insomma, la crescita del carbone prevista dalla IEA, che sarebbe letale per il clima, forse potrà essere scongiurata.

ADV
×