Lo spreco delle isole minori non connesse alla rete

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Un laboratorio ideale per le rinnovabili è diventato negli anni il sistema più sprecone che si possa immaginare: la produzione di elettricità per le isole minori non connesse alla rete. Questo kWh sporco e inefficiente è sussidiato da decenni come il fotovoltaico del 2010. E lo paghiamo in bolletta con l’addizionale UC4. Come rimediare?

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Com’è possibile che un laboratorio ideale per la messa in pratica di sistemi energetici del tutto sostenibili, economici e non inquinanti, che renderebbe dei luoghi incantevoli ancora più belli e interessanti, sia invece lo scenario per uno dei casi più eclatanti di spreco energetico, alti costi economici e inquinamento?

Purtroppo è possibile: quel laboratorio si chiama “Isole minori italiane non connesse”, luoghi incantevoli, staccati dalla rete nazionale, che vengono alimentati con il sistema più sprecone e sporco che si possa immaginare, la generazione con motori diesel, pagata carissima, mentre rigurgitano di energia rinnovabile. «E non basta – spiega Alex Sorokin, titolare della Interenergy di Roma – il sistema ideato per aiutare gli abitanti delle aree disagiate contribuendo a sostenere il costo elevata dell’elettricità sulle isole ha finito per diventare un incentivo agli sprechi e all’irrazionalità». Ma andiamo per ordine.

In Italia ci sono una dozzina di piccole isole (Tremiti, Egadi, Pelagie, Pontine, Arcipelago toscano – Elba esclusa -, Ustica e Capri) che non sono connesse alla rete nazionale e che ospitano, in tutto, circa 47.000 residenti.

In passato l’unico modo per dare elettricità a queste persone era quello di dotare ogni isola di gruppi elettrogeni più o meno grandi, in genere azionati con motori navali alimentati a gasolio, che disperdono nell’ambiente circa i tre quarti dell’energia come “calore refluo” e producono rumore e fumi nocivi. Visto che l’elettricità prodotta in questo modo è costosissima, nel dopoguerra, per evitare che le piccole isole restassero in uno stato di sottosviluppo, fu deciso di creare un meccanismo di agevolazione, per cui la tariffa elettrica di questi luoghi viene equiparata a quella sul continente, pagando alle società elettriche isolane un conguaglio, pari alla differenza fra quanto costa effettivamente il kWh e quanto lo pagano gli abitanti.

Un conguaglio, pagato in bolletta elettrica da tutti gli utenti italiani con un’apposita addizionale, la UC4. Scoprire quanto ci costa questa componente è come chiedere la chiave di Fort Knox. All’Autorità dell’Energia ci hanno risposto di non avere tempo per fare il totale e ci hanno indirizzato a complicate tabelle con il peso della UC4 sul kWh, suddiviso per le varie fasce e modalità di consumo. In un loro documento, però, indicano un peso dell’UC4 per la “bolletta media” pari allo 0,97% della componente A3 della bolletta.

Se questa percentuale fosse estrapolabile a tutti i consumi elettrici, oggi l’UC4 varrebbe circa 100 milioni annui, una cifra molto alta. Per fortuna i dati complessivi reali ce li ha forniti la Cassa Conguagli per il Settore Elettrico, che è l’ufficio che si occupa di saldare le fatture delle aziende elettriche, e indicano un più ragionevole 62 milioni di euro per il 2011, a coprire un totale di 200 GWh di consumi. Bisogna però dire che la Cassa Conguagli si occupa solo di parte delle isole, quelle dove operano piccole imprese private. Le più piccole delle Eolie, Ventotene e Capraia, sono invece servite dall’Enel che, spiegano alla Cassa Conguagli, riceve la sua compensazione tramite gli oneri di dispacciamento.

Grande è la confusione sotto il cielo, insomma. Basandoci sui numeri della Cassa Conguagli, comunque, si scopre che ogni kWh consumato nelle piccole isole riceve in media 0,31 euro di conguaglio, però con enormi differenze da isola a isola: dai circa 0,20-0,30 euro/kWh delle isole più grandi, come Pantelleria, Capri o Lipari, agli incredibili 1,27 euro/kWh di Levanzo.

Insomma questo kWh sporco e inefficiente è “incentivato”, da decenni, come il FV del 2010.

«Ma il problema è un altro» ,continua Sorokin. «Pochi o tanti che siano, questi soldi sono un totale spreco. Il fatto che il sovraccosto dell’elettricità delle isole sia ripianato a piè di lista, senza condizioni, non induce a migliorare il sistema produttivo: si continua a usare la fonte peggiore di tutte, quanto a costo, emissioni ed efficienza».

Ma non basta, i consumi elettrici di queste isole sono sproporzionati: basta dividere i 200 GWh, conguagliati, per i 43.000 residenti delle isole non servite da Enel, e si scopre che ognuno di loro consuma la bellezza di quasi 4.700 kWh annui, contro i 1.100 kWh del medio utente domestico italiano, con una spesa procapite di conguaglio di 1.440 euro all’anno. «Pur considerando che in alcune isole l’elettricità serve anche a dissalare l’acqua, e senza dimenticare che nei mesi estivi la popolazione di queste isole si moltiplica diverse volte, i consumi elettrici restano altissimi. La ragione è semplice: è complicato e costoso far arrivare il gasolio o il gas in queste isole, per esempio i camion del GPL non possono essere imbarcati sui traghetti normali, devono usare navi speciali. Così, anche se l’elettricità prodotta sulle isole è costosissima, grazie ai conguagli, diventa comunque la forma di energia più economica disponibile e viene usata praticamente per tutto, compreso gli usi irrazionali come la cottura, il riscaldamento domestico, la produzione di acqua calda. Un andazzo che poteva essere giustificato nel dopoguerra, ma che oggi, per isole immerse nel vento e nel sole, e talvolta, come per Pantelleria e le Eolie, dotate pure di abbondanti risorse geotermiche, è diventato uno spreco che grida vendetta».

Lo sa bene Sorokin, visto che sono decenni che tenta di promuovere progetti, sulle isole non connesse, per coprire i consumi con fonti rinnovabili disponibili localmente: «Abbiamo cominciato nel 1996, con un primo studio generale fatto per l’Enel su tutte le piccole isole italiane», ricorda. «Poi sono seguiti diversi progetti per la ricerca e lo sviluppo di prototipi sulle isole in Grecia per la Commissione Europea. Nel 2002 abbiamo fatto uno studio specifico per Lipari e Salina, e nel 2003 uno per l’Arcipelago Toscano, in particolare per Capraia. In tutti questi casi, abbiamo dimostrato, dati alla mano, che una graduale transizione dai diesel alle fonti rinnovabili, usando sistemi integrati che uniscono solare, eolico e geotermico all’accumulo e alla gestione intelligente della domanda di energia in varie forme, compresa la produzione di acqua potabile e la ricarica di auto e bus elettrici, poteva essere realizzata spendendo non più di quanto si sta già spendendo oggi per mantenere in vita l’attuale sistema. E che questa transizione alle energie locali, pulite e intelligenti avrebbe comportato grandi vantaggi in termini di qualità della vita, immagine delle isole, rendendole ancora più attrattive per il turismo di qualità, qualificazione tecnologica per i tecnici e occupazione per i lavoratori locali».

E se questo era valido già dieci anni fa quando eolico, solare termico e fotovoltaico erano ancora prodotti di nicchia, figuriamoci quanto sarebbe conveniente convertire oggi le isole minori alle rinnovabili, con le turbine eoliche e i pannelli solari che sono quasi diventati delle “commodities” a basso costo. «Se una delle nostre piccole isole avesse perseguito questo obbiettivo – continua Sorokin – non solo avrebbe ridotto spese e inquinamento migliorando il servizio e l’economia locale, ma si sarebbe anche trasformata in un modello di sviluppo e caso di studio di importanza mondiale per l’integrazione delle varie fonti rinnovabili e sperimentazione di tecnologie per la smart grid, un ulteriore asset straordinario di promozione e sviluppo economico locale. Promozione che presto sfrutterà l’isola di El Hierro, nelle Canarie, che ha avviato un ambizioso progetto, ispirato a uno che avevamo ideato noi italiani anni fa per l’isola greca di Ikaria, per approvvigionarsi da sole e vento con un sistema di accumulo idroelettrico integrato con l’acquedotto locale. A El Hierro l’acqua sarà pompata in un bacino artificiale creato all’interno del cratere del vulcano spento, senza creare impatto sul paesaggio. Avevamo proposto lo stesso concetto per l’isola di Salina, che offre condizioni ideali, ma non c’è stato nulla da fare. Lo status quo ha vinto e i nostri progetti sono regolarmente finiti dimenticati in qualche cassetto. La causa principale di questo immobilismo sta nelle norme nazionali che regolano il sistema dei conguagli, che finiscono per congelare la situazione: se non si modifica il meccanismo, premiando l’uso di fonti rinnovabili e il perseguimento dell’efficienza, sarà difficile ottenere qualche cambiamento».

Ma, nonostante le difficoltà, qualcosa sembra cominciare a muoversi in questo mondo cristallizzato dal dopoguerra: «La mia giunta è in carica da pochi mesi – ci ha detto Marco Giorgianni, sindaco di Lipari – ma già abbiamo cominciato a informarci su come introdurre fonti energetiche rinnovabili nella nostra isola, sia perché il peso del costo della bolletta sta diventando insostenibile per i miei concittadini, sia perché ci rendiamo conto del grande valore aggiunto che potrebbe derivare dall’essere la prima isola del Mediterraneo che si alimenta solo con vento, sole e calore geotermico».

E proprio nelle Eolie sono comparsi i primi segni della svolta. A Ginostra esiste dal 2004 un piccolo impianto fotovoltaico da 100 kWe, che copre buona parte delle esigenze locali, mentre il nuovo grande dissalatore di Lipari, che produrrà a regime fino a 450 metri cubi di acqua dolce all’ora, sarà in parte alimentato da un campo fotovoltaico da 1,2 MW. Anche nelle Egadi si sta lavorando sul versante della sostenibilità.

A Favignana è iniziata la fase realizzativa del progetto elaborato da AzzeroCO2 nel 2008 che coinvolge in un complesso processo i cittadini e gli operatori economici. Il progetto, grazie a circa 1,250 milioni di euro erogati dal Ministero dell’Ambiente, prevede una serie di interventi sugli edifici pubblici, come l’installazione di impianti fotovoltaici e solari termici per scuole, municipio, campo sportivo. Si prevede anche la sostituzione dell’intero parco di lampade dell’impianto di illuminazione pubblica con tecnologia a Led. In ambito privato, attraverso la concessione di contributi diretti per l’acquisto di impianti solari termici e fotovoltaici e il supporto nell’organizzazione di gruppi d’acquisto, si stima una consistente riduzione dei consumi di energia elettrica per illuminazione e riscaldamento pari a circa il 20%. Infine, per ridurre l’impatto dei flussi turistici, in particolare relativamente alla mobilità, sono previsti contributi per l’acquisto di motoveicoli elettrici di cui dovrebbero beneficiare gli operatori economici presenti sull’isola.

Un altro salto di qualità nella sostenibilità delle piccole isole potrebbe venire dal progetto SMILE (Smart Island Local Energies) presentato a novembre nell’ambito del bando MIUR sulle Smart Cities e riferito all’isola di Lampedusa. Sono previsti impianti fotovoltaici in cave abbandonate, piccoli aerogeneratori, sistemi ad accumulo a servizio della rete, produzione di metano dall’anidride carbonica della centrale esistente, dissalazione solare innovativa, ricariche per motorini elettrici, illuminazione a Led, sperimentazione di acquacoltura. Si tratta di interventi per un totale di 22 milioni di euro che potrebbero avere ricadute interessanti, tenuto anche conto che il nuovo sindaco, Giusi Nicolini di Legambiente, ha deciso di puntare molto sulle politiche della sostenibilità.

Questi primi segnali di cambiamento, però, si devono confrontare con la difficoltà di inserire gli impianti a rinnovabili in contesti così particolari e affascinanti. «Appena ho cominciato a valutare i vari progetti – spiega Giorgianni – ho scoperto che per motivi di tutela paesaggistica, a Lipari non si può mettere sui tetti neanche un pannello solare termico. Sono però deciso ad andare alla Sovrintendenza a rinegoziare e ammorbidire queste regole, supportato dal fatto che anche la nuova giunta regionale siciliana dovrebbe essere molto più favorevole alle rinnovabili della precedente».

La sfida, anche su questo versante, non è quindi una “mission impossibile”: «Oggi si possono costruire gli impianti a rinnovabili anche nei luoghi più delicati», conclude Sorokin. «Il fotovoltaico può occupare spazi degradati, come le discariche o le cave, o inserirsi in modo quasi invisibile negli edifici, per esempio con le tegole fotovoltaiche. Le nuove centrali geotermiche a ciclo binario sono compatte e non emettono neanche un filo di vapore. E persino l’eolico, nel contesto delle isole, può essere utilizzato senza impattare sul paesaggio: esistono turbine eoliche galleggianti che possono essere installate al largo, anche nei mari profondi, in modo che possano alimentare le isole, senza essere neanche visibili da riva. Mentre per l’accumulo si possono usare anche sistemi ad aria compressa posti sul fondo marino, anch’essi invisibili e privi di emissioni inquinanti».

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2013 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “L’isola diventa rinnovabile”.

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