Il nuovo Governo davanti alla transizione energetica

Nonostante il quadro di instabilità del nuovo Parlamento, il prossimo Governo dovrà rivisitare la politica energetica interna e confrontarsi con le scelte in campo internazionale. Quali strategie sono necessarie per decarbonizzare l’economia? Le rinnovabili elettriche, il fotovoltaico, le rinnovabili termiche e la riqualificazione energetica dell'edilizia.

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Sono passati dieci anni da quando è iniziata la nuova serie di QualEnergia, rivista storica dell’ambientalismo scientifico che aveva visto il suo battesimo nel lontano 1981, sull’onda del nascente movimento antinucleare. Dieci anni che hanno visto la crescita impressionante, e imprevedibile per la maggior parte degli attori storici del mondo energetico, delle fonti rinnovabili.

Nel primo numero del 2003, nella rubrica “Chi la spara più grossa”, avevamo inserito alcuni passaggi di un’intervista televisiva da parte di LA7 ad Altero Matteoli, allora ministro dell’Ambiente. «Dobbiamo avere il coraggio di dire come stanno le cose agli italiani: non è che risolviamo il problema con l’energia alternativa (…). Impiantiamo in Italia 10.000, 100.000 o un milione di tetti fotovoltaici, e il risultato sarà pari quasi allo zero». Giornalista: «E come spieghiamo allora i buoni risultati ottenuti in Paesi come la Germania?» Matteoli: «Non si spiegano, e ho l’impressione che i tedeschi ci diano qualche dato non corretto».

Un buon esempio di qualunquismo, dove l’insipienza si mischia all’ignoranza, che la dice lunga sull’incapacità di intuire i cambiamenti e di governarli. Per contestualizzare queste dichiarazioni è utile ricordare che nel 2000 il precedente Governo, in sintonia con le analoghe iniziative tedesche, aveva lanciato il programma “10.000 tetti fotovoltaici” che aveva svolto un ruolo da apripista per la crescita del settore con la formazione di una schiera di progettisti e installatori fotovoltaici. Chi scrive aveva allora firmato i decreti attuativi come responsabile della Direzione generale IAR del ministero. Cambiato Governo e rimosso il direttore attraverso lo “spoil system”, il programma solare fu lasciato morire.

Ma sono i risultati ottenuti in Italia a evidenziare la miopia delle posizioni di quel ministro e di altri che si sono succeduti (ricordiamo Scajola che puntava a un 25% da rinnovabili da affiancare a un 25% nucleari da raggiungere entro il 2030). In realtà, lo scorso anno le energie alternative hanno coperto il 32% della produzione elettrica nazionale. Un incremento del 59% rispetto ai valori dell’elettricità verde generata nel 2008. E quest’anno supereremo l’asticella dei 100 miliardi di kWh, contro i 50 miliardi che si registravano mediamente nella prima parte del decennio scorso.

Quindi si è raddoppiata in un quinquennio la produzione raggiunta progressivamente nell’arco di un intero secolo con la costruzione di centrali idroelettriche e geotermiche. Nello specifico del solare, abbiamo installato in cinque anni – la metà del tempo necessario a costruire una centrale nucleare – mezzo milione di impianti. E quest’anno il fotovoltaico coprirà l’8% dei consumi elettrici del Paese, ovvero quasi un terzo dei consumi residenziali dei cittadini italiani. Ma guardiamo in avanti. Fra vent’anni il 50% dell’elettricità dell’Italia potrebbe essere verde in presenza di una precisa volontà politica.

Messaggi al nuovo Governo E veniamo all’oggi. Pur nel quadro di instabilità del nuovo Parlamento, il prossimo Governo dovrà rivisitare la politica energetica interna e confrontarsi con le scelte in campo internazionale. Vista l’importanza delle scelte che si compiono in Europa, occorre partecipare attivamente, e non più da posizioni di retroguardia, alle decisioni che saranno prese. Per esempio, sull’opportunità o meno di innalzare il target di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020 o sugli obiettivi vincolanti al 2030. Si dovrà affrontare la transizione energetica in atto, particolarmente evidente nel settore elettrico, con una prosecuzione della crescita delle rinnovabili, una gestione del parco elettrico esistente, un ammodernamento rapido della rete.

Oltre a una rivisitazione del decreto sulle rinnovabili elettriche, un’immediata decisione dovrà riguardare il fotovoltaico visto che entro giugno il quinto conto energia dovrebbe esaurire le risorse disponibili. Sono ormai chiare le proposte per consentire a questa tecnologia di continuare a svilupparsi senza incentivi diretti, ma occorre un provvedimento immediato per evitare il blocco del settore. Per alcune soluzioni particolari, come il fotovoltaico con accumulo, che in Germania dovrebbe venire incentivato con le risorse provenienti dall’Emissions Trading, o la rimozione dell’eternit, si potrebbero inoltre prendere misure specifiche.

Va ricordato che al fotovoltaico spetterà il compito principale di incrementare la quota di elettricità verde al 2030 e il fatto che questa crescita potrà avvenire senza incentivi è un elemento estremamente positivo in grado di compensare lo sforzo fatto, seppur scompostamente, per supportare questa tecnologia negli anni scorsi.

Le rinnovabili termiche si apprestano poi a svolgere un ruolo molto più importante che in passato. Anche in questo caso il decreto appena varato dovrà essere monitorato e modificato nei punti ancora deboli. È auspicabile che si inizino a intaccare nuovi segmenti di domanda, come quella del calore a media temperatura, in settore che potrebbe vedere la crescita di un’industria solare nazionale.

Un altro segmento importante delle rinnovabili termiche riguarda l’utilizzo sostenibile delle biomasse. Il nostro Paese vive il paradosso di un patrimonio boschivo la cui superficie è raddoppiata nel corso degli ultimi 50 anni – è passato a 10,4 milioni di ettari (36% della superficie nazionale) – mentre il prelievo di legname si è quasi dimezzato a 8 milioni m3/a. Il prelievo legnoso nazionale nell’ultimo decennio equivale appena al 25% dell’incremento annuo dei boschi, contro il 65% prelevato mediamente in Europa. Questo spiega come la filiera produttiva del legno dipenda dall’estero, con 2/3 del suo fabbisogno coperto dalle importazioni. In particolare, l’Italia è il primo importatore mondiale di legna da ardere e il quarto di cippato e scarti in legno. Il mercato italiano del pellet è il terzo in Europa, ma solo il 60% viene prodotto internamente. Chiaramente c’è qualcosa che non funziona. Anche perché la crescita della domanda di biomassa a uso energetico rischia di aggravare questa situazione. Sul versante termico, l’Italia dovrebbe vedere un incremento del 40%.

Ma la possibilità di riequilibrare la situazione esiste. Secondo Coldiretti, per esempio, con una più corretta cura e gestione dei boschi può essere prelevata una quantità di 24 milioni di tonnellate/a equivalenti a 5,4 Mtep. Va infine sottolineato come il nuovo conto energia termico favorisca la rottamazione dei vecchi impianti a biomassa riducendo quindi l’inquinamento atmosferico. E proprio grazie allo stimolo del decreto, molte aziende italiane stanno spingendo sull’innovazione per proporre soluzioni ad alta efficienza e a basso impatto ambientale. Un comparto della green economy che può rafforzarsi e puntare all’esportazione di tecnologie.

Un altro settore decisivo sul quale concentrare l’azione riguarda l’edilizia. Buona parte del nostro patrimonio edilizio presenta infatti caratteristiche termofisiche molto scadenti, la metà delle case consuma mediamente il triplo rispetto alle nuove costruite in modo efficiente. Si conoscono le tecnologie e le soluzioni per intervenire, vi sono le convenienze economiche, ma l’accesso al credito è difficile e il quadro normativo è incerto.

Le detrazioni fiscali del 55% per la riqualificazione energetica nell’edilizia hanno registrato risultati interessanti, ma limitati alla sostituzione di infissi, alle caldaie e al solare termico. Gli interventi di coibentazione dell’involucro esterno sono stati praticamente assenti. Le incentivazioni inoltre hanno riguardato solo il patrimonio edilizio privato. Nel 2010 sono stati effettuati 406mila interventi, con 4,6 miliardi di euro di investimenti. Occorrerebbe fare un salto di qualità trovando soluzioni nuove per ampliare la platea dei soggetti fruitori, estendere la riqualificazione agli interi edifici e superare la barriera degli investimenti iniziali attingendo al capitale privato. Alcune esperienze straniere come “Pace” negli Usa o il “Green Deal” nel Regno Unito si muovono in questa direzione.

Anche in Italia alcune iniziative – come il programma “Condomini intelligenti” promosso dalla Provincia di Genova e il Green Building Project che vede coinvolte importanti imprese del settore – stanno seguendo questo approccio. È evidente che per varare un piano di riqualificazione edilizia di ampia portata occorre una regia governativa in grado di mettere insieme tutti gli attori. L’accelerazione delle misure di riqualificazione può avvenire infatti superando l’ostacolo dell’investimento iniziale necessario per gli interventi.

Per fare ciò occorre avviare un percorso virtuoso basato sull’utilizzo di risorse prevalentemente private che alimentino un fondo di rotazione a cui possano attingere aziende che sono state preventivamente qualificate. I risparmi delle bollette ottenuti grazie agli interventi di riqualificazione potrebbero consentire di rimpinguare il fondo ampliando la quantità di interventi. Ciò permetterebbe di rimettere in moto un settore in crisi, creare occupazione, ridurre le importazioni di energia. Proprio su queste basi è organizzato il Green Deal inglese, partito a febbraio nell’ambito di un ambizioso programma per riqualificare energeticamente 14 milioni di appartamenti entro il 2020 eliminando i costi iniziali degli interventi, grazie al ricorso a investimenti privati e coinvolgendo le aziende energetiche, i cui obblighi di riduzione delle emissioni dal prossimo anno saranno convertiti in obblighi di finanziamento della riqualificazione energetica per un ammontare di 1,3 miliardi di sterline/anno. Per gestire l’aspetto finanziario dell’operazione è stata istituita la Green Deal Finance Company, partecipata dalle principali aziende nel campo delle costruzioni, dell’energia, dalle banche e dagli Enti locali.

Questa società ha lo scopo di anticipare i costi delle riqualificazioni energetiche e garantisce bassi tassi di interesse. Perché ciò avvenga, i risparmi economici devono essere superiori a quanto viene restituito al fondo attraverso la bolletta elettrica (golden rule). Nella fase preliminare del programma vengono qualificati i soggetti che faranno gli audit energetici e le imprese che si candidano a effettuare gli interventi. Sono 45 le tipologie di intervento che possono essere finanziate dopo l’esito positivo di diagnosi energetiche effettuate dai certificatori abilitati.

Una caratteristica significativa del programma riguarda gli appartamenti affittati. È prevista infatti la trasferibilità automatica degli impegni assunti con le riqualificazioni ai successivi locatari, opportunità che consente di superare l’ostacolo della distinzione tra proprietario e inquilino. Il Governo ha finanziato con 200 milioni di sterline l’avvio del programma, forse troppo poco visti i grandi numeri che si intendono conseguire. Sarebbe interessante verificare la trasferibilità dei concetti base di questo approccio all’Italia con i necessari adattamenti. Per esempio andrebbero studiati meccanismi per privilegiare la riqualificazioni di interi palazzi.

Non sappiamo, nel momento in cui scriviamo, quale potrà essere l’evoluzione istituzionale del nostro Paese dopo il terremoto dei risultati elettorali. Certo l’irruzione di forze nuove stimola ancor più un confronto sugli scenari dei radicali cambiamenti energetici che nei prossimi anni investiranno l’Italia e l’Europa. L’importante è riuscire a governare queste trasformazioni, garantendo un maggior protagonismo dal basso e valorizzando le scelte energetiche, e più in generale quelle legate alla green economy, in grado di svolgere un ruolo anticiclico nei confronti della crisi economica.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1-2013 della rivista QualEnergia, con il titolo “Affrontare la transizione”.

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