Un’economia senza crescita ha bisogno del Piano B

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Dopo 40 anni le tesi di Dennis Meadows sui limiti della crescita restano valide. Ma politici, economisti, industria e gran parte degli ambientalisti continuano a insistere che solo la crescita è la strada della salvezza. La crescita si fermerà, anche se è difficile dire quando. Per questo serve un piano B: fare con meno si può e si deve.

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Sentir parlare 40 anni dopo Dennis Meadows del suo studio epocale “Limits to growth” fa bene per tranquillizzarsi un po’ di fronte al silenzio della politica e dell’economia in Italia sul tema dei limiti, anzi della miopia e stupidità con la quale si continua a insistere che la crescita è la strada della salvezza.

Due erano i fatti che il team del Massachusetts Institute of Technology – da lui guidato a inizio anni Settanta – considerava indiscutibili poiché non risultato di qualche modello, ma di immediata evidenza sensoriale e matematica: il consumo di tutte le principali materie prime cresce in modo esponenziale su un pianeta limitato. Le foto della Terra come un’arancia blu in uno spazio immenso, che la NASA aveva pubblicato nel 1968, trasmettevano in modo immediato e suggestivo la limitatezza e la vulnerabilità di questo pianeta. Al contempo tutte le curve dell’andamento dei consumi delle materia prime principali dimostravano una crescita esponenziale. La conclusione di Meadows? La crescita si fermerà. Impossibile dire con esattezza quando, perché non conosciamo la quantità di cromo, ferro, petrolio, ecc. depositate nella crosta della Terra, ma sappiamo che sono quantità finite. L’argomento valeva quarant’anni fa e vale oggi.

Limits to growth” non pretendeva di fare previsioni specifiche ma di approfondire come la crescita esponenziale interagisce con risorse limitate, indicando il 2020-2060 come il periodo in cui la crescita si potrebbe fermare a causa del overshooting. Meadows ricordando la prima presentazione della ricerca, si meraviglia della propria ingenuità all’epoca sull’effetto che i risultati della lavoro degli studioso del MIT avrebbe dovuto avere sul nostro modo di produrre e di consumare, un’ingenuità che si può tranquillamente estendere fino ai nostri giorni. Tutt’oggi una parte consistente degli ambientalisti si comporta in modo perfettamente complementare all’ottusità della politica e dell’economia, coltivando la speranza che l’esplosione convincente e ineccepibile dei fatti dovrebbe convincere gli attori decisionali a cambiare corso.

È troppo facile trovare esempio e prove che così non è . Ultimo nel tempo “Il progetto Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve”. Con grande fiducia il documento afferma: «Il ritmo di espansione del PIL torna a salire al 3% annuo già nel 2017, con un incremento cumulato del 12,8% nei prossimi cinque anni.» (neretto nell’originale). Non c’è traccia di riflessione sull’eventualità – del tutto possibile, se non probabile – che l’economia italiana nel suo insieme non tornerà a crescere. In nessun momento il rapporto prende in considerazione che nei prossimi anni il PIL potrebbe anche rimanere più o meno stazionario o diminuire, con o senza Green Economy. Ovviamente manca l’ulteriore passo di considerare, per l’eventualità, – non auspicabile per Confindustria e la grande maggioranza degli italiani, ma che si può ignorare solo al prezzo di sordocecità progressiva – un programma di resilienza, un piano B.

Un piano per creare occupazione e salvaguardare il benessere degli italiani di fronte a una crescita dei prezzi delle materie prime, a una diminuzione dei consumi di beni e servizi, a un aumento degli eventi meteorologici estremi e più in generale a un crescente stress sui sistemi economici, sociali e naturali. Indicare come unica una strada che dà forti segnali di essere senza uscita è un segno di una grave mancanza di senso di responsabilità. Però, ancora una volta, il mondo ambientale si trova perfettamente in complementarietà, limitandosi a lamentare la quasi completa assenza della questione ecologica nei programmi di tutti i partiti politici e nelle proclamazioni programmatiche dell’industria, invece di fare del Piano B il proprio Piano A: «Il progetto Principio di Responsabilità per l’Italia: fare con meno si può, primo o poi si deve.» Meglio prima. Va detto però che Confindustria, con il suo “continuare così”, si trova in ottima compagnia. Meadows, lo scorso novembre, parlava su invito della Fondazione Volkswagen, che al tempo finanziò la ricerca “Limits to growth”. Quattro decenni dopo VW continua a produrre automobili con 400 g/CO2/km di emissioni.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2013 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Fare del Piano B il Piano A” di Karl-Ludwig Schibel.

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