Strategia Energetica Nazionale, il colpo di coda o di mano del governo Monti

La Strategia Energetica Nazionale avrà la forma di un decreto interministeriale tra ministero dello Sviluppo economico e dell'Ambiente, ma per le associazioni ambientaliste è un colpo di mano, un atto illegittimo adottato da un governo in carica solo per gli affari correnti su una materia di programmazione strategica che non è di ordinaria amministrazione.

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“La prossima settimana porteremo a compimento la Strategia Energetica Nazionale”, aveva detto Leonardo Senni, capo dipartimento per l’Energia del ministero dello Sviluppo economico il 7 marzo, aggiungendo che la SEN avrà la forma di “un decreto interministeriale tra ministero dello Sviluppo economico e dell’Ambiente”. Uguale dichiarazione fa il giorno dopo il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, durante la presentazione del rapporto ambientale dell’Ocse sull’Italia, aggiungendo anzi di aver già firmato con il Ministro Passera tale decreto.

Abbiamo fin dall’inizio criticato questo documento di “programmazione” (vedi pdf del documento andato in consultazione), soprattutto perché riteniamo che una strategia energetica degna di questo nome possa solo muoversi su un orizzonte temporale non inferiore ai 20 anni e non su 8 anni come fa questo documento del governo Monti, che pare voglia cristallizzare l’esistente e conservare gli interessi dei grandi gruppi energetici.

Una SEN con qualche obiettivo positivo per le rinnovabili e l’efficienza energetica che però, visto il resto, sembra solo uno specchietto per le allodole: strumenti inesistenti per raggiungere i target indicati e l’idea che la ‘sostenibilità’ sia solo da ricercare negli aspetti economici, e non certo ambientali, visto che si punta sul raddoppio della produzione nazionale degli idrocarburi e nel far diventare l’Italia un hub del gas, sovrastimando domanda interna e internazionale, con il rischio di realizzare nuove cattedrali nel deserto. E poi c’è l’idea di un modello energetico centralizzato che viene confermata da quel disegno di legge costituzionale di riforma del titolo V del Governo Monti che punta a riportare nel campo della legislazione esclusiva dello Stato anche la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia. Un paese che puntasse alle rinnovabili e alla generazione distribuita dovrebbe fare esattamente il contrario.

Ma tornando all’annunciato decreto sulla SEN, va detto che le reazioni non si sono fatte attendere. Per Greenpeace, Legambiente e WWF si tratta di “una sorta di colpo di mano”, come scrivono in un comunicato congiunto. Secondo le associazioni ambientaliste si tratterebbe di un atto illegittimo adottato da un governo in carica solo per gli affari correnti su una materia di programmazione strategica che tutto rappresenta fuorché ’ordinaria amministrazione‘.

La SEN, spiegano le associazioni, è un documento che anche se definisce lo sviluppo energetico dell’Italia solo fino al 2020 potrebbe “ipotecare il futuro del Paese con il delineato impulso alla trasformazione in hub del gas e il via alle trivellazioni selvagge”. Gli ambientalisti mettono in evidenza che dietro a questo atto ci sia una questione tutta politica: “la linea dell’esecutivo Monti è uscita chiaramente sconfitta dalla competizione elettorale e ciò indebolisce ulteriormente il ruolo dell’attuale Governo quando si tratta di provvedimenti di programmazione da adottare per il futuro del Paese”.

Le associazioni peraltro ignorano, come tutti noi del resto, il testo definitivo della SEN. Infatti dopo un processo di consultazione su una prima bozza – processo al quale hanno partecipato anche le associazioni ambientaliste, rilevando numerose debolezze  – la versione finale in via di approvazione è un mistero.

Greenpeace, Legambiente e WWF contestano da mesi gli indirizzi generali, nonché molti dettagli della SEN proposta dal governo. Questa strategia è fondata su pochi capisaldi, dicono:

  • incentivare e facilitare lo sfruttamento delle scarsissime risorse petrolifere del Paese, mettendo a rischio ambiente, paesaggio e salute pubblica per un ritorno economico esiguo;
  • fingere che non esista la questione carbone, salvo continuare ad approvare nuovi progetti di centrali alimentate con quella fonte (come nel caso di Saline Joniche) o progetti di ampliamento di impianti già esistenti (come nel caso di Vado Ligure);
  • definire obiettivi di sviluppo ambiziosi per le fonti rinnovabili, ma identificare al contempo strumenti del tutto inadeguati a consentire questa crescita;
  • trasformare l’Italia in un grande hub del gas, senza chiarire i vantaggi per il paese vista l’assenza di politiche che superino gli impianti a carbone e a olio combustibile.

Greenpeace, Legambiente e WWF affermano inoltre che “mentre si predispongono nuove regalie alle lobby delle fonti fossili, gli investimenti in rinnovabili, in Italia, sono calati del 51% nel 2012 (dato reso noto ieri dall’OCSE) per effetto dell’incertezza normativa, delle riduzioni selvagge e non cadenzate degli incentivi, nonché per le barriere amministrative: si sta rallentando o affossando l’unico settore che aveva dimostrato, in questi anni, una tendenza anticiclica, continuando a generare Pil e occupazione”.

Greenpeace, Legambiente e WWF si riservano di impugnare gli atti di approvazione della SEN presso i fori competenti, per contrastare con ogni strumento un piano che – qualora non vi fossero sostanziali revisioni rispetto a quanto sin qui promosso dal governo Monti – “non garantirebbe al Paese alcuno sviluppo e costituirebbe, invece, un atto di grave miopia, profondamente in conflitto con ogni istanza di sviluppo sostenibile”.

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