Napoli senza Scienza

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Questa notte a Napoli in un incendio è andata distrutta una delle iniziative migliori dal dopoguerra a oggi in tema di cultura scientifica: la Città della Scienza. Abbiamo chiesto a Walter Ganapini, che ne è stato uno dei principali animatori, cosa ha significato per Napoli questa struttura. "É un atto sicuramente doloso e di matrice camorristica. L'equivalente di Via dei Georgofili, in salsa casalese", ci ha detto Ganapini.

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Questa notte, in un incendio con ogni probabilità doloso, è andata distrutta una delle iniziative migliori dal dopoguerra a oggi in tema di cultura scientifica: la Città della Scienza, concepita da Vittorio Silvestrini come ‘La Villette’ italiana. Abbiamo chiesto a Walter Ganapini, che fu tra gli interlocutori iniziali di Silvestrini assieme al gruppo che animava la rivista ‘Scienza Esperienza’, cosa ha significato per Napoli questa struttura.

Cosa rappresentava la Città della Scienza?

Era la ripresa moderna dell’illuminismo napoletano, il desiderio di ridare vita culturale alta alla città recuperandone vocazione alla centralità mediterranea ed europea. L’idea base di Vittorio era quella di un’area che da simbolo del degrado post industriale potesse essere un simbolo di rinascita fondata sulla cultura scientifica. Si recuperava un sito degradato e attraverso questa operazione si portavano critica radicale e alternativa concreta all’ideologia sviluppista, a lungo dominante anche a sinistra, che avevano generato quella ‘trasformazione insostenibile’ di un luogo noto per la sua bellezza sin dall’antichità.

Si trattava di un’idea che aveva anche un alto valore sotto il profilo di un nuovo modello di sviluppo sul piano ecologico?

Quella di Bagnoli era un’area degradata e contaminata alla pari di Porto Marghera e Priolo. Sito quest’ultimo nel quale si è sacrificato uno dei maggiori siti archeologici del Mediterraneo su un altare di subalternità italiana nella divisione internazionale del lavoro – Italia raffineria d’Europa – e di considerazioni geopolitiche e militari – Italia portaerei nel Mediterraneo: con la ‘Città della Scienza’ si cercava una sorta di riscatto di un’Italia subalterna alla politica industriale nordeuropea degli anni Cinquanta di cui la petrolchimica più inquinante e pericolosa e gli impianti siderurgici erano il risultato.

Cosa ha significato per la comunità scientifica la Città della Scienza?

Bagnoli ancor oggi non è bonificata, ma in questa disastrata area nasceva un fiore di riscatto ambientale e sociale, di innovazione mista a divulgazione scientifica di stampo europeo. Questa era l’idea di Vittorio Silvestrini, questo il tentativo di realizzare un “pensiero d’alto profilo” che ha attratto intellettuali come Emanuele Vinassa De Regny, un nobiluomo di antico lignaggio valdostano tra gli animatori della rivista ‘Scienza Esperienza’, Rossi Crespi collega di Fulco Pratesi e molti altri  ancora. Si è trattato di un’esperienza di successo sul piano dei risultati (350.000 utenti/anno), anche se ci furono diversi interventi esterni che tentarono di screditarne la gestione, nella più usuale consuetudine partenopea.

Si è trattato anche di un’operazione che potremmo dire eversiva?

La mia generazione è cresciuta nell’idea, tipica di Laura Conti, Giorgio Nebbia, Marcello Cini e degli altri padri dell’ambientalismo italiano, che fosse necessario costruire una “comunità scientifica di massa” per poter esercitare la critica del potere al livello più alto. La diffusione del sapere con questa iniziativa si andava a coniugare con momenti altissimi di produzione culturale. L’iniziativa “Menti a Contatto” è stato uno dei migliori momenti che ho vissuto nel periodo in cui sono stato Assessore tecnico all’Ambiente della Regione Campania. Mi pare anche giusto ricordare, a riprova della valenza simbolica conseguita dal luogo, come la ‘Città della Scienza’ fosse stata scelta, nel 1999, per ospitare la Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali, per annunciare al Mezzogiorno come l’Italia di allora, completando la rete delle ARPA al Sud, avesse ottenuto importanti riconoscimenti in sede europea, esiti vanificati e malversati nel successivo ventennio, purtroppo.

Cosa pensi dell’incendio?

É sicuramente doloso e di matrice camorristica. Si tratta dell’equivalente di Via dei Georgofili  ‘in salsa casalese’ e temo ne abbia il significato di ‘chiamata alla trattativa’. La camorra in Campania è un cancro capace di indurre modificazioni genetiche e culturali, cancro che riproducendosi lede persino il territorio dove vive, inquinandolo irreveresibilmente.

Come mai la camorra ha attaccato questo simbolo?

La Città delle Scienze aveva il “pregio utilitaristico” per la camorra di essere sito esterno alla cerchia urbana, evitando il rischio di fare montare una larga protesta dei cittadini, ma si è voluto soprattutto colpire un simbolo di un momento alto della vita culturale della città.

Cosa si dovrebbe fare ora?

Faccio fatica a vedere all’ordine del giorno la ricostruzione della Città della Scienza. Ci sono le note difficoltà sul fronte finanziario e ora non c’è più neppure traccia dell’ambiente culturale che portò alla sua nascita. Oggi c’è un clima cupo nel quale spero lo Stato abbia la forza di rigettare il rischio di ricatto da parte della criminalità. Il segnale da dare, se si potesse ripensare alla ‘Città della Scienza’, sarebbe quello di inserirla nel contesto urbano utilizzando, per esempio l’Ospizio borbonico, straordinario contenitore da anni inutilizzato. Questa sarebbe un’ottima risposta agli animali criminali della camorra.

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