Il cambiamento, raccontando rinnovabili e sostenibilità

Strategie di comunicazione e barriere culturali e psicologiche per il cambiamento verso la sostenibilità ambientale. "Serve parlare delle energie rinnovabili per trasformarle in qualcosa che diventi parte dell'identità delle persone e della comunità", ci dice Simran Sethi, giornalista e docente che si occupa da anni di giustizia e comunicazione ambientale.

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Quali sono le barriere non economiche che frenano la diffusione delle fonti rinnovabili, e più in generale di azioni, comportamenti e scelte improntate alla sostenibilità? Che cosa ci impedisce di investire i nostri soldi in un impianto a fonti rinnovabili o nell’efficientamento termico delle nostre case, invece che in un televisore a schermo piatto o in un’auto super accessoriata? La nostra vita è fatta di scelte quotidiane e, nonostante si parli sempre di più di sostenibilità, cambiamenti climatici, di giornate a targhe alterne, di eco-pass, di polveri sottili, di sacchetti biodegradabili, di OGM, ecc., sembrano esserci ancora molte resistenze a un reale cambiamento di paradigma. Abbiamo chiesto di rispondere a queste e altre domande a Simran Sethi, giornalista e docente che da anni si occupa di giustizia ambientale, sostenibilità e comunicazione ambientale (qui il suo sito web). Con lei ci interessava capire soprattutto quali sono, non tanto le barriere economiche e politiche, ma quelle culturali e psicologiche, che sembrano essere meno evidenti.

Prima di tutto vorrei che ci spiegasse meglio di cosa si occupa.

Sono una giornalista e sono interessata alle persone e a come interagiscono con il proprio ambiente. Mi occupo in particolare di giustizia ambientale, narrando le storie di persone la cui salute è minacciata o addirittura compromessa da un uso distorto o da un vero e proprio abuso delle risorse naturali; o di comunità, già povere, ancora di più danneggiate e minacciate da attività produttive ed economiche inquinanti. Quello che veramente mi interessa nel raccontare queste storie è capire, e far capire, come si può cambiare, cosa induce in noi e nella società il cambiamento, il passaggio a nuovi paradigmi e a modi di vivere meno nocivi e meno impattanti sulla nostra salute e sull’ambiente.

Quali sono le principali barriere che impediscono o frenano un cambiamento di paradigma nel quale il risparmio energetico e le rinnovabili siano considerati qualcosa di ‘normale’?

Il nostro cervello ha 200mila anni ed è molto sofisticato, ma ha alcune caratteristiche che devono essere tenute in considerazione. Il nostro cervello risponde a stimoli immediati. Anche se i cambiamenti climatici uccidono milioni di persone a causa della fame, della desertificazione, gli effetti sono così lontani che non li percepiamo e non riusciamo a connetterci con il problema. Il punto è che il nostro cervello non può riconoscere e processare tanti problemi alla volta. Dobbiamo preoccuparci di molte cose nell’immediatezza della vita, non ce la facciamo a occuparci anche della biodiversità in Africa, è tutto troppo lontano. Ecco perché è fondamentale portare i problemi vicino alle persone in modo che ne abbiano una comprensione immediata e diretta, in modo che percepiscano nella loro quotidianità gli effetti di questi problemi che solo in apparenza sono lontani e non ci toccano.

Cosa bisognerebbe fare per portare le persone a percepire come propri i problemi ambientali ed energetici?

Uno strumento molto efficace è raccontare delle storie. Sulle energie rinnovabili ad esempio, provando a “inquadrare” i problemi. Il processo di ‘framing’ è fondamentale. Bisogna comunicare in modo che le persone possano capire di cosa si sta parlando. Termini come megawatt, rete elettrica o cambiamenti climatici sono concetti troppo astratti che per la maggior parte delle persone non vogliono dire nulla. Bisogna catturare l’immaginazione e rendere le questioni visibili. La questione dell’identità è un altro aspetto importante. Dobbiamo parlare di tutto quello che le persone possono vedere e riconoscere come parte della propria identità. Per fare un esempio, un’automobile si può vedere e si può far vedere, dice qualcosa di me. Allo stesso modo bisogna parlare delle energie rinnovabili per trasformarle in qualcosa di cui la gente si preoccupa e che diventa parte della loro identità. È importante capire quali sono i valori di una comunità e come possiamo connetterci con essi. Il discorso sulle energie rinnovabili deve rinforzare l’identità delle persone.

Quali sono le modalità più efficaci per attrarre l’attenzione delle persone su queste tematiche tanto da indurre un cambiamento nei loro modi di pensare e nei loro stili di vita?

Non esiste un unico messaggio o un’unica strategia per rendere consapevoli le persone, per far loro percepire i problemi e cambiare comportamenti e stili di vita, perché diverse sono le barriere e le resistenze da superare. Per esempio, in California sono state condotte delle ricerche sull’effetto che diverse strategie di comunicazione possono avere sui consumi elettrici di utenti residenziali. Un interessante esperimento consisteva nel mandare agli utenti un report di accompagnamento alla bolletta che mostrava il livello di consumo di quell’utente confrontato con la media degli utenti in un dato periodo di tempo. Veniva inviata la stessa tipologia di comunicazione a tutti gli utenti a prescindere dal loro livello di consumo. Con questa strategia, nel periodo successivo, hanno verificato che i consumi di coloro che consumavano al di sopra della media si abbassavano, e i consumi di coloro che consumavano al di sotto della media, si alzavano. Poi l’esperimento è stato ripetuto inviando un messaggio diverso a seconda della tipologia di consumatore.

E come è andata questa seconda strategia comunicazione?

Si è dimostrata vincente, inducendo una riduzione dei consumi in tutti i consumatori. I messaggi devono essere calibrati in base a chi dovrà riceverli. Se si parla all’‘uomo della strada’, a persone che non necessariamente si interessano a queste tematiche, allora per coinvolgerli bisogna prima di tutto capire quali sono i loro interessi, problemi e valori. I messaggi che trasmettiamo devono avere una forte connessione con la storia delle persone alle quali ci rivolgiamo, con la loro visione del futuro, con la salute dei loro figli, con l’ambiente in cui vivono, con il loro impegno civile, con le loro aspettative, con i loro stili di vita.

Ritiene che la crisi economica possa fare capire l’importanza dell’efficienza energetica, dell’energia prodotta con fonti rinnovabili?

Assolutamente sì. Quando le persone sono costrette a dover pensare a cosa possono e devono fare per la propria sopravvivenza e sussistenza, agiscono attivamente sulla propria vita, sui propri stili di vita con un approccio problem solving che li porta a potenziare se stessi e a sviluppare capacità e competenze. In una prospettiva come quella delle transition town, per esempio, è più facile vedere gli effetti sul proprio stile di vita e sul proprio benessere di ciò che viene prodotto a livello locale e in modo sostenibile. Questo ha un effetto di rafforzamento della propria identità. Le persone percepiscono di avere meno soldi, di essere in un certo senso tornati indietro e questo le spaventa. È quindi il momento per dire che ci sono modi diversi di vivere, modi che sono meno impattanti sulla propria salute e sul pianeta e che permettono di spendere meno, per esempio producendo energia con un pannello solare sul proprio tetto o producendo cibo con gli orti urbani, ecc. Il movimento delle transition town è molto interessante da questo punto di vista perché agisce sui valori e sui simboli, ci si sente parte di un movimento in cui il ruolo attivo di ciascuno è fondamentale per raggiungere un obiettivo collettivo.

Anche se non ne abbiamo parlato esplicitamente, questa conversazione verte sui ‘beni comuni’, su come costruirli e su come difenderli. Pensa che, in questo processo di costruzione della consapevolezza delle persone sui beni comuni e sulla necessità di tutelarli, internet e i social media possano avere un ruolo importante?

Se guardo alla mia esperienza, direi proprio di sì. Come giornalista, grazie ai social media, posso costruire una storia e pubblicarla subito, non ho bisogno di intermediari. Questa immediatezza e l’opportunità di portare le persone all’interno delle storie è molto importante, è potente. Ti racconto una storia attraverso la mia esperienza, quello che ho visto, le mie foto. Il tempo che ci vuole da quando scatto delle foto o giro un video al momento in cui li rendo disponibili a un numero elevato di persone, che magari vivono dall’altra parte del mondo, può essere molto breve. Anche se si raccontano storie che sono lontane, i social media creano una relazione, una vicinanza, una condivisione di esperienze grazie all’alto livello di interattività e alla possibilità di avere un feedback quasi immediato. Conoscere le esperienze e le storie direttamente da chi le ha vissute o le sta vivendo sulla propria pelle potenzia e rende più coinvolgente il messaggio oltre che suggerire possibili soluzioni che possono essere replicate. Penso proprio che siamo di fronte a una nuova modalità di comunicazione che permette di coinvolgere di più le persone e di spingerle al cambiamento perché lo fa attraverso la narrazione di storie e di esperienze e non attraverso statistiche o concetti astratti.

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