Quale modello economico può accettare il petrolio da tar sands?

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Continuare con l’estrazione e la combustione del petrolio pesante da sabbie bituminose metterà la parola fine ad ogni azione contro i cambiamenti climatici. In Usa gli attivisti si stanno opponendo strenuamente alla costruzione dell’oleodotto Keystone, ma la difficile battaglia è contro interessi molto forti, spesso sostenuti dai governi.

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Quale politica e quali calcoli economici possono consentire la devastazione provocata dalle esplorazioni delle tar sands, cioè delle sabbie bituminose? E’ quello che si chiedono gli attivisti americani che si stanno opponendo strenuamente alla costruzione dell’oleodotto Keystone XL che dovrà trasportare il petrolio dal Canada al Golfo del Messico passando per gli States.

Sappiamo che continuare con l’estrazione energy intensive e la combustione di questo petrolio sporco metterà la parola fine ad ogni seria azione nei confronti dei cambiamenti climatici (le tar sand se bruciate generano oltre il 25% di CO2 in più rispetto al greggio convenzionale). Inoltre questo sfruttamento, oltre ad essere anticostituzionale per il Canada perché reso operativo senza il consenso delle popolazioni indigene, sta contaminando terreni, fauna e persone in un’area grande come la Florida. Come può essere accettabile tutto questo? Eppure Obama sembra voler dare l’autorizzazione alla costruzione della pipeline nonostante le proteste di Washington dei giorni scorsi.

Come ripetono nei loro slogan i cittadini che si oppongono a tutto ciò, “questo modello di economia è propria dei truffatori e dei giocatori d’azzardo, un modello che sfrutta l’assenza della politica e che rinnega le regole internazionali, a meno che esse non provengano dagli accordi sul commercio che consentono agli inquinatori addirittura di fare causa agli Stati; come è il caso della Chevron contro l’Ecuador”, ha scritto in un suo articolo Brent Blackwelder, ex presidente di Friends of the Earth statunitense, che equipara le miniere di sabbie bituminose ad una vera e propria guerra contro l’ambiente (peraltro senza contabilizzarne i costi) e una forma di genocidio industriale.

A volte poi è spiazzante leggere, come nelle parole di Blackwelder, l’ovvio, dimenticato anche dalle nostri parti. Qual è la differenza tra l’uso delle rinnovabili e l’esplorazione di una miniera a carbone?: “nel caso in cui una centrale eolica o un impianto solare creassero problemi possono essere rimossi senza provocare decenni o secoli di inquinamento; un tetto o un terreno possono essere ripristinati al loro precedente utilizzo, considerando peraltro che l’eolico è pienamente compatibile con la produzione agricola”, spiega l’autore dell’articolo. “Una miniera, invece, provocherà la rimozione di una montagna e trasformerà biologicamente e paesaggisticamente il territorio e per sempre”. In poche parole viene violato il principio della reversibilità e questa attività umana graverà sulle generazioni future con un lascito di devastazione.

Poi c’è la solfa del lavoro. Creare occupazione con l’industria estrattiva (non molta) ha significato solo sul breve periodo, mentre lentamente e inesorabilmente questa attività distruggerà posti di lavoro permanenti e mezzi essenziali di sostentamento (pensiamo all’acqua).

Ecco perché un’economia sana deve basarsi sui costi reali che produce o che evita, uscendo dalle logiche di interessi delle multinazionale e avendo come riferimento i beni comuni e la sostenibilità economica e ambientale. Quanto spesso tutto questo viene dimenticato anche nelle nostre politiche sulle infrastrutture? Ricordiamo che sulla questione dell’ingresso in Europa del petrolio proveniente dalle sabbie bituminose, il nostro governo ha preso le parti delle compagnie petrolifere, un po’ anche per gli interessi del nostro ‘cane a sei zampe’ in questa partita.

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