Eolico, non tutte le aste vengono per nuocere

Pochi mesi fa un progetto eolico con una remunerazione inferiore ai 150 €/MWh era considerato un investimento privo di senso. Ora c’è chi è pronto a lavorare con poco meno di 100 €/MWh. Le aste, con le loro imperfezioni, hanno comunque sortito qualche effetto positivo, facendo risparmiare il sistema. L'analisi di eLeMeNS.

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Sulle aste tutto è andato come previsto, verrebbe da dire. Il commento non è tanto da riferirsi agli esiti delle aste, che come ormai tutti sanno hanno visto la partecipazione di 442 MW a fronte di 500 MW di incentivi disponibili, risultato questo che, al di là delle fughe di notizie di inizio gennaio, desta per certi versi stupore sia in chi commenta sia chi ha partecipato (non si spiegherebbero altrimenti i livelli di riduzione sul prezzo base d’asta registrati, in media pari al 9,3% ma arrivati sino al 24,4%).
Ci riferiamo invece al dibattito che ha seguito la pubblicazione delle aste: era certamente inevitabile che un meccanismo controverso come le aste, tanto contestato al momento della sua introduzione, generasse anche al momento dell’uscita dei risultati una serie di commenti molto ostili.

Si è detto infatti che le aste (i) sono riuscite nell’impresa di ridurre di tre quarti il volume di affari dell’eolico italiano, (ii) non consentiranno il raggiungimento degli obiettivi europei, (iii) hanno frenato, con il loro eccesso di burocrazia, l’anima e lo scheletro del settore rinnovabile in Italia, ossia la media impresa e (iiii), data la bassa partecipazione, non hanno comunque prodotto i risultati sperati in termini di competizione. Per quanto non tutti i punti di cui sopra siano privi di senso, ridurre tutta la questione aste a un’analisi tanto tranchant è probabilmente limitante.

E’ infatti senz’altro vero che si assisterà a un forte rallentamento delle nuove installazioni eoliche, ma ciò era già acclarato al momento della pubblicazione del DM 6 luglio 2012 in cui si definivano i contingenti (in quanto tali, non superabili) di potenza installabile da qui al 2015. Cionondimeno, non esiste al momento alcun ragionevole dubbio sul fatto che l’obiettivo europeo sarà raggiunto, visto che al momento siamo persino al di sopra della traiettoria prevista, caso più unico che raro in Italia (obiettivo che, è bene ricordarlo, è il 17% di share di rinnovabili sui consumi primari; dato che  la serie di sub-obiettivi sul comparto elettrico che, con cadenza più o meno semestrale, i Ministeri hanno partorito non costituiscono alcun tipo di obbligo vincolante).
E’ poi vero che la reale selezione delle iniziative non è avvenuta all’interno della procedura competitiva, come era auspicabile e lecito aspettarsi, ma prima delle aste.

Infatti le ingenti garanzie (per un impianto di circa 30 MW si parla di cifre vicino ai due milioni di euro da bloccare) hanno senz’altro precluso la possibilità di iscriversi a numerosissimi soggetti; dai circa 3.200 MW di impianti con autorizzazioni valide di potenziali partecipanti siamo arrivati a soli 442 MW di effettivi iscritti.

Va tenuto conto della possibilità che la gran parte di progetti esistenti non fosse certo di eccelsa qualità, essendo figli di una fase, ormai chiusa, in cui non era necessaria una particolare efficienza per garantire redditività all’investimento; ciò nonostante è ovvio che almeno una parte degli esclusi avesse in mano pipeline comunque interessanti, che non vedranno mai la luce a causa degli stringenti requisiti di solidità richiesti esplicitamente (il 10% di equity sul valore dell’investimento, ad esempio) o implicitamente (le garanzie, appunto). E, ça va sans dire, in una simile dinamica ne sono usciti avvantaggiati i gruppi con elevata capitalizzazione, tipicamente i grandi player del settore (ERG, EDP, Enel, Fri-el, Gamesa).

Ma attenzione, perché la platea dei vincitori è comunque abbastanza varia: non è un susseguirsi di grandi nomi (moltissimi anzi i grandi operatori che, per ragione strategiche o per dinamiche interne, hanno deciso di non partecipare o i grandi gruppi stranieri che, guardinghi, hanno voluto aspettare le aste successive per capire il da farsi) ma piuttosto un mix tra main players, operatori proveniente da altri settori (segnatamente, l’edilizia), alcuni operatori di medie dimensioni e qualche piccolo insospettabile. Già proprio loro, lo storico scheletro del settore cui accennavamo sopra: si tratta dei migliori progetti per cui, coraggiosamente, i titolari hanno trovato la forza di procedere, oppure di grandi operatori mascherati, magari dietro accordi di vendita soggetti al buon esito dell’asta? Con il tempo lo scopriremo.

Ma al di là della prime impressioni (siamo convinti che qualora i partecipanti avessero iscritto una potenza maggiore di 500 MW, allora ci si sarebbe scagliati contro i contingenti di incentivazione troppo risicati), a nostro avviso il dato più interessante che emerge è quello relativo alle offerte presentate. Alcuni hanno presentato offerte di riduzioni minime: si tratta di chi ha saputo interpretare correttamente lo scenario competitivo dell’asta (prevedendo la bassa partecipazione), dotandosi di opportuni strumenti di analisi. Altre iniziative hanno invece spinto maggiormente sull’acceleratore: ben 5 di esse hanno richiesto una remunerazione totale inferiore a 110 €/MWh e due addirittura ben sotto i 100 €/MWh.

Da questo clamoroso risultato emergono due serie di considerazioni. La prima riguarda direttamente le aste e in particolare gli effetti benefici della competizione tra progetti: sarà pur vero che si è trattato di una competizione imperfetta, dato che la partecipazione è stata inferiore al contingente, ma il solo timore di non accedere agli incentivi ha spinto gli operatori a dichiarare, in alcuni casi, i loro reali costi e le loro aspettative minime di remunerazione, presentando offerte di riduzione molto competitive e procurando a spanne un risparmio per il sistema vicino ai 200 milioni di euro in 20 anni rispetto a quanto si sarebbe speso con una tariffa fissa pari al valore base d’asta.

La seconda, ben più importante riguarda il settore eolico: solo pochi mesi fa secondo la vulgata un progetto eolico con una remunerazione inferiore ai 150 €/MWh era un investimento privo di senso. Adesso c’è chi si dice pronto a lavorare con meno di 100 €/MWh: se la ragione di tale efficientamento è da ricercarsi in un nuovo modello di business, che riplasma l’intero ciclo di sviluppo delle iniziative, dal development all’operations, passando per il financing e il contracting, magari prevedendo ritorni sugli investimenti più bassi che in passato, lo strumento con cui ciò è potuto emergere sono le aste, che pur migliorabili, hanno già sortito qualche effetto positivo.

(Contributo scritto per QualEnergia.it da Tommaso Barbetti, analista di eLeMeNS. Per un’analisi completa si rimanda all’aggiornamento del LookOut  – Rinnovabili Elettriche, a cui eLeMeNS dedicherà un incontro il prossimo 12 febbraio.)

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