Spesi male i fondi europei per l’efficienza energetica

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La Corte dei Conti europea boccia l'Italia, e non solo, sull'utilizzo dei fondi europei per l'efficienza energetica. Motivo? I progetti selezionati per il finanziamento degli Stati membri non avevano “obiettivi ragionevoli in termini di costi-efficacia". In poche parole il costo è risultato eccessivo in relazione al risparmio energetico.

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Italia bocciata sull’utilizzo dei fondi europei per l’efficienza energetica: la Corte dei Conti Europea ha esaminato i risultati dei 5 miliardi spesi dai Paesi membri in efficienza energetica, valutando gli investimenti con un’indagine sui tre Paesi che hanno maggiormente attinto ai fondi UE, Italia, Repubblica Ceca e Lituania. Il giudizio è negativo: gli obiettivi di investimento in termini di costi-benefici, che dovrebbero idealmente realizzare il massimo risparmio energetico al minimo costo, non sono stati raggiunti.

Questo è quanto emerge dalla Relazione Speciale della Corte dei Conti (RS 21/2012), intitolata “Efficacia in termini di costi/benefici degli investimenti della politica di coesione nel campo dell’efficienza energetica”: si tratta di uno degli audit selezionati su specifici settori del bilancio dell’Unione Europea per valutare la congruenza tra stanziamenti di bilancio e obiettivi attesi. In particolare, l’esame della Corte dei Conti era teso ad appurare se gli Stati membri abbiano creato, nelle fasi di programmazione e finanziamento, le condizioni adeguate per rendere efficienti sotto il profilo dei risultati gli investimenti nell’efficienza energetica e nell’edilizia pubblica.

La motivazione? Secondo la Corte, i progetti selezionati dalle autorità per il finanziamento degli Stati membri non avevano “obiettivi ragionevoli in termini di costi-efficacia”, come per esempio il costo per kWh risparmiato. Anche quando i progetti eletti per i finanziamenti perseguivano generici obiettivi di risparmio energetico, non erano comunque selezionati in virtù della potenziale capacità di produrre anche risparmi finanziari attraverso il taglio dell’energia consumata: la scelta ricadeva invece su edifici “considerati pronti a ricevere i finanziamenti se necessitavano di una ristrutturazione” e quando la documentazione fosse conforme ai requisiti.

Nessuno dei progetti da noi controllati è stato oggetto di una valutazione del fabbisogno e neppure di un’analisi delle potenzialità di risparmio energetico in relazione agli investimenti”, ha dichiarato Harald Wögerbauer, il Membro della Corte responsabile della Relazione, che ha aggiunto “gli Stati membri hanno fondamentalmente utilizzato questi fondi per rinnovare edifici pubblici, mentre il risparmio energetico era, nel migliore dei casi, una finalità secondaria”.

Infatti, anche se i progetti controllati hanno prodotto le realizzazioni fisiche previste, come la sostituzione di infissi o l’isolamento termico, il costo in relazione al risparmio energetico è risultato eccessivo. Basti pensare che, in media, il periodo di recupero dell’investimento è di circa 50 anni, con punte che arrivano addirittura a 150 anni. Secondo la Corte dei Conti, la causa di questa inefficiente distribuzione degli investimenti in efficienza energetica risiede nelle scelte programmatiche degli Stati membri: in alcuni casi, tra cui l’Italia, gli audit energetici non erano obbligatori; in altri, come nella Repubblica Ceca, consideravano opzioni di investimento costose. In ben 18 dei 24 progetti sottoposti al controllo della Corte, non è stato possibile calcolare il risparmio finale in modo attendibile.

Nel periodo 2007-2011, a Italia, Repubblica Ceca e Lituania erano stati allocati 1.199,3 milioni di euro, di cui 417 milioni sono arrivati in Italia, attraverso due programmi: “Basilicata” e “Energy IOP”. La Corte rileva che per la Basilicata l’unico criterio di valutazione utilizzato per la scelta dei progetti era stato il rapporto tra quantità di energia risparmiabile e il totale costo finanziabile, senza considerare lo stato degli edifici (classe energetica, consumi): senza la previsione di audit energetici, non è stato possibile definire se le soluzioni adottate fossero in linea con criteri di costi-benefici.

Nel caso del programma “Energy IOP” i progetti selezionati dovevano contenere tecnologie e materiali innovativi e di pronto utilizzo, mentre l‘energia risparmiata e il rapporto con i costi non erano un fattore determinante. Il risultato è stato che il periodo stimato di rientro dell’investimento complessivo è di 288-444 anni (a secondo del prezzo dell’energia, precisa la Corte). La Corte riporta come esempi da seguire i casi di Danimarca e Belgio, in cui il tempo di rientro previsto per gli interventi di efficienza energetica è di massimo 5 e 7 anni.

La raccomandazione finale della Relazione Speciale chiede alla Commissione di “subordinare la concessione di finanziamenti per misure di efficienza energetica a un’adeguata valutazione del fabbisogno, a un regolare monitoraggio, all’impiego di indicatori di performance confrontabili, nonché all’uso di criteri trasparenti per la selezione dei progetti e a costi di investimento standard per unità di energia da risparmiare, con un periodo massimo accettabile di rimborso non attualizzato dell’investimento”. Un’ammonizione indiretta per l’Italia: i fondi europei non solo vanno spesi, ma vanno spesi bene: per gli obiettivi previsti e cercando di massimizzare i risultati.

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