Il lento viaggio del negoziato sul clima passato per Doha

La COP 18 è stata una conferenza di passaggio nei negoziati sul clima. Nessuna traccia di misure concrete. Nei prossimi anni le Parti dovranno confrontarsi sulle azioni da intraprendere entro il 2020 per ridurre il gap sulla necessaria riduzione delle emissioni e la visione per la fase post-2020. Da Doha un commento di Leonardo Massai.

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Si è chiusa alle 20 di sabato 8 dicembre la diciottesima conferenza delle parti (COP 18) della Convenzione ONU sui cambiamanti climatici, con oltre un giorno di ritardo, le solite notti insonni, la maratona degli ultimi giorni e l’accordo finale raggiunto grazie all’intervento risolutore di alcuni dei pochi ministri presenti a Doha.

Chiariamo subito. L’accordo finale non vale lo sforzo fisico e l’attesa snervante. È un accordo scontato, svuotato, atteso. Un accordo che segue perfettamente la linea tracciata dalla delusione di Copenhagen e dalla decisione di rimandare ogni atto concreto almeno fino al 2015 presa a Durban l’anno scorso e salutata come un’inspiegabile successo da gran parte del mondo occidentale. L’accordo di Durban ha infatti lanciato un nuovo e ulteriore processo negoziale interno al sistema della Convenzione sul clima, finalizzato alla conclusione del nuovo accordo internazionale che dovrebbe regolare le emissioni dei gas a effetto serra a partire dal 2020.

Doha ci lascia un pacchetto di misure dove non c’è alcuna traccia di azioni e misure concrete di lotta al riscaldamento globale, nonostante gli effetti devastanti sempre più evidenti e frequenti dal Nord al Sud del mondo, ultimo il tifone che ha devastato le Filippine proprio durante la conferenza.

La COP 18 era ed è stata una COP di passaggio, come lo saranno probabilmente anche le prossime. Non ci sono segnali politici che lasciano sperare in passi avanti nel breve periodo da parte dei principali attori del negoziato internazionale: Stati Uniti, Cina, India e Brasile su tutti, non sono ancora disposti ad accettare alcun obbligo internazionale.

A Doha si sono riuniti 7 gruppi di lavoro simultaneamente: COP18, CMP8, SBI37, SBSTA37, AWG-KP17, AWG-LCA15, ADP1. Impeccabile l’organizzazione del Qatar, che ha accolto in un centro conferenza di lusso più di diecimila delegati e osservatori provenienti da tutte le parti del mondo.

Il pacchetto di misure adottato a Doha, il Doha Climate Gateway, è arrivato solo grazie a un colpo di forza del curioso presidente qatarino della COP, il quale – ignorando le proteste della Federazione Russa – ha forzato la decisione finale sospinto dal calore dei delegati superstiti presenti nella plenaria finale. Più volte nelle ultime ore il risultato di Doha era stato messo a serio rischio, causa il malcontento in particolare di Russia, Stati Uniti e Unione Europea. È stata infatti la Polonia, che ospiterà la prossima COP a Varsavia nel 2013, a mettere in imbarazzo tutta Europa. I Paesi dell’ex Est europeo, insieme a Russia, Ucraina e Bielorussia, chiedevano infatti la possibilità di vedersi riconosciuta anche nel secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto una significativa quantità di crediti di riduzione da poter rivendere nel mercato della CO2. Dal canto loro, gli Stati Uniti contestavano i troppi riferimenti nel testo al diritto internazionale, al sistema multilaterale e ad alcuni principi della convenzione, tra cui il principio delle responsabilità comuni ma differenziate.

Nell’ambito del gruppo di lavoro sul protocollo di Kyoto (AWG-KP) il secondo periodo di adempimento è formalmente approvato (decision final outcome AWG-KP), durerà dal 2013 al 2020 (come richiesto dall’Unione Europea) e prevede alcune misure in salvaguardia dell’integrità ambientale dello stesso, quali l’impossibilità per i Paesi che non partecipano al secondo periodo (Giappone, Canada, Russia e ovviamente USA) di partecipare al mercato della CO2, limiti alla partecipazione nei meccanismi flessibili e alla possibilità di trasferire quote in ecesso da un periodo all’altro, regole stringenti in materia di attività di forestazione e uso del suolo.

Si chiude anche il secondo gruppo di lavoro nato a Bali nel 2007 (AWG-LCA), quello che avrebbe dovuto definire entro il 2009 il futuro del regime multilaterale sul clima. Siamo ancora ben lontani da tutto ciò. A Doha la decisione che chiude il gruppo LCA è piena di riferimenti a ‘work programme’ e ‘workshop’. Sono infatti ben 7 i programmi di lavoro ad hoc creati a Doha, proposti, richiesti e supportati soprattutto dai Paesi industrializzati (USA e UE su tutti) e dal BASIC (Brasile, Cina, India e Sud Africa). Partono così i seguenti gruppi di lavoro che dovranno ri-discutere temi in agenda dal 2007: 1) mitigazione dei Paesi sviluppati per specificare i dettagli degli obiettivi di riduzione; 2) mitigazione dei Paesi in via di sviluppo per facilitare la preparazione e l’attuazione delle azioni di mitigazione; 3) finanziamenti al sistema REDD+; 4) sistema per le misure diversificate; 5) meccanismi non basati sull’approccio di mercato; 6) modalità e procedure per il nuovo meccanismo di mercato; 7) estensione del programma di lavoro sui finanziamenti a lungo termine.

Il gruppo di lavoro avviato a Doha (ADP) chiude la conferenza con una decisione di tipo ‘organizzativo’: si continuerà il lavoro in vista del 2015, anno in cui si dovrebbe adottare il nuovo trattato internazionale. Nei prossimi anni le Parti dovranno confrontarsi su due aspetti fondamentali: le azioni da intraprendere entro il 2020 per ridurre il gap degli sforzi di riduzione delle emissioni e la visione per la fase post-2020.

Niente di esaltante quindi, ma sarebbe stato strano il contrario.

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