La classifica mondiale dell’impegno sul clima. Un rapporto di Germanwatch

  • 3 Dicembre 2012

La classifica del rapporto annuale di Germanwatch sulle performance climatica dei principali Paesi della Terra, presentata oggi a Doha. Danimarca, Svezia e Portogallo guidano la graduatoria, Italia al 21° posto. Legambiente: "Buoni i passi avanti fatti dalla Penisola, ma c'è ancora molto da fare".

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Un’Italia attenta ai cambiamenti climatici e che fa passi avanti per aiutare il Pianeta. Quest’anno la Penisola ottiene, infatti, il 21° posto nella classifica del rapporto annuale di Germanwatch sulle performance climatica dei principali Paesi della Terra, realizzato in collaborazione con il Climate Action Network (CAN) e Legambiente per l’Italia. Lo studio è stato presentato oggi a Doha (vedi allegato in basso).

“Negli ultimi cinque anni – spiega Mauro Albrizio, responsabile Politiche Europee di Legambiente – l’Italia ha fatto significativi passi in avanti, passando dal 48° al 21° posto di quest’anno. Performance dovuta alla riduzione delle emissioni conseguente non solo alla recessione, ma anche al ruolo importante giocato dalle rinnovabili e dall’efficienza energetica negli ultimi anni. I progressi fatti fino a ora rischiano però di essere compromessi dalla Strategia energetica nazionale (SEN) presentata dal Governo. La SEN, invece di puntare decisamente alla riduzione del consumo e delle importazioni di fonti fossili, individua, sia per l’efficienza energetica che per le fonti rinnovabili, strategie generiche e strumenti inadeguati a raggiungere gli obiettivi previsti e propone un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, che appare sbagliata oltre che incoerente”.

Tornando alla classifica della Germanwatch, quest’anno Danimarca (4° posto), Svezia (5°) e Portogallo (6°) guidano la graduatoria dei 61 Paesi presi in esame dal rapporto, che anche nel 2012 non ha assegnato i primi tre posti della graduatoria perché nessun Paese ha messo in campo azioni virtuose in grado di contribuire a limitare le emissioni al disotto dell’obiettivo dei 2 °C. La performance dei singoli Stati è stata valutata attraverso il “Climate Change Performance Index” (CCPI), che prende in considerazione quattro parametri principali: il livello delle emissioni, che pesa per il 30% dell’indice complessivo; il trend delle emissioni nei principali settori (elettrico, industria, costruzioni, trasporti e abitazioni), che pesa per il 30%; l’uso di energia rinnovabile, che pesa per il 10%; l’efficienza energetica, che pesa per il 10%; e la politica per il climam per il 20%. Inoltre quest’anno per la prima volta sono stati presi in considerazione anche i dati sulle emissioni provenienti dalla deforestazione. Questo ha determinato una discesa in classifica di Paesi come Brasile e Indonesia, dove la deforestazione ha un forte impatto sulle emissioni globali.

Nel dettaglio la “top ten” della classifica è ancora una volta dominata da Paesi europei. Occorre però sottolineare che nazioni come Olanda e Polonia presentano una performance di gran lunga al di sotto della media; mentre Paesi come Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Grecia hanno fatto considerevoli passi in avanti anche grazie alla riduzione delle emissioni dovuta alla recessione di questi ultimi anni. Non va comunque dimenticato che in tutti gli Stati dell’Unione Europea – inclusa l’Italia – dal 1990 al 2011 si è registrato un disaccoppiamento strutturale tra riduzione delle emissioni e crescita del PIL. Secondo la Commissione europea tra il 1990 e il 2011 nei ventisette Paesi dell’Unione si è avuta una riduzione del 17,5% delle emissioni e un aumento del 48% del PIL.

Infine, uno sguardo agli Stati Uniti, che si piazzano al 43° posto e registrano rilevanti passi avanti per quanto riguarda la riduzione di emissioni conseguente non solo alla crisi economica, ma anche alla riconversione di molte centrali da carbone a gas. Un piccolo miglioramento anche per la Cina (54°), che nonostante continui ad aumentare pericolosamente le sue emissioni, ha visto migliorare l’efficienza energetica del suo sistema produttivo.

Il rapporto (pdf)

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