SEN e patto di stabilità, un freno alla transizione energetica

Qualenergia.it intervista l'economista Guido Viale sulla Strategia Energetica Nazionale. Il suo giudizio è negativo perché il documento del Governo punta soprattutto sul rilancio delle fonti fossili. A impedire gli investimenti pubblici nei settori delle energie pulite c'è anche il cappio al collo del patto di stabilità e del fiscal compact.

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Mentre la bozza della Strategia Energetica Nazionale è ancora on line per la consultazione, Qualenergia.it continua a sentire i pareri di osservatori e operatori del settore energetico sulle proposte e le azioni indicate dal Governo con questo documento. Ne abbiamo parlato con Guido Viale, economista ambientale.

Viale, cosa ne pensa di questa strategia energetica proposta dal Governo Monti?

La cosa che mi colpisce è che, nonostante la priorità data al risparmio energetico, tutta la Strategia è incentrata sul rilancio delle fossili. Sia con il punto 2, che propone di fare dell’Italia un hub del gas, sia con quello che prevede la folle ricerca di petrolio sul territorio nazionale, con tutti i rischi che ciò comporta per quelle che sono le vere risorse del nostro Paese, cioè il turismo, il paesaggio, la cultura. Rischi peraltro affrontati per ottenere quantità di petrolio irrisorie, sufficienti a soddisfare il fabbisogno nazionale per un anno o forse un anno e mezzo. L’altra cosa assolutamente sconcertante è il punto 5, e cioè la riforma della governance, in cui si prevede di rivedere la Costituzione per riequilibrare le competenze tra Stato e Regioni (trasferendo più poteri allo Stato centrale, ndr). Questa è la logica opposta a quella che servirebbe per sostenere le fonti rinnovabili, che per loro natura sono diffuse e decentrate e vanno governate e gestiti sui territori.

Tornando al rilancio degli idrocarburi, da economista cosa può dirci dei vantaggi stimati dal documento: in quel conto non manca qualcosa?

Manca tutto. Le stime sulle riserve italiane sono assolutamente aleatorie e di conseguenza lo sono le cifre presentate nel documento. I calcoli del ministero non tengono conto del fatto che non si sa quanta parte di queste risorse sia veramente attingibile, né quali ostacoli si potranno incontrare in corso d’opera nel tentativo di raggiungere e mettere in esercizio queste riserve. Una strategia che si basa sul soddisfare una determinata quota del fabbisogno con fonti energetiche di cui è difficile ora come ora calcolare le potenzialità è sbagliata dal punto di vista economico, oltre che da quello strategico, dato che si continua a contare sulle fossili.

Anche la stima dell’andamento del fabbisogno energetico è tutt’altro che certa. La SEN prevede una domanda in aumento, ma il futuro su questo aspetto lascia grandi interrogativi. Gli ultimi dati ci dicono il contrario: per esempio per quel che riguarda il gas dopo il -11,7% di settembre, registriamo a ottobre una contrazione del 10,2% rispetto allo scorso anno …

Mi sembra che non si valuti in maniera adeguata l’impatto che la crisi economica avrà sul fabbisogno energetico futuro del Paese. Si continua a dire che l’anno prossimo ci sarà la ripresa, mentre fonti più autorevoli rispetto al Governo Monti, come Angela Merkel, ci dicono che la crisi durerà altri 5 anni, visione che io condivido. Quindi molte delle premesse della SEN, come quella di alimentare con il gas, che dovrebbe passare per l’Italia, una domanda energetica europea in crescita, rischiano di non avverarsi. E pertanto con una domanda in calo gli investimenti proposti non si ripagherebbero.

Come accennava prima, c’è anche una contraddizione tra la volontà di aumentare la produzione energetica da fonti fossili e il ruolo importante che nella SEN viene assegnato all’efficienza energetica e alle rinnovabili.

Sia nei confronti dell’efficienza energetica che delle rinnovabili non sono previste misure di accompagnamento adeguate, al di là di un generico sostegno alla ricerca. Il Paese avrebbe invece bisogno di squadre di tecnici polivalenti in grado di fare dei check up completi su fabbisogni e potenzialità energetiche di ogni territorio, di ogni edificio, di ogni azienda. Per fare questo servirebbe un sostegno economico sia a livello di Governo centrale che di enti locali, che invece la SEN non prevede.

Da questo Governo attendiamo ancora le misure per promuovere le rinnovabili termiche, mentre tra i provvedimenti deliberati abbiamo i decreti su fotovoltaico e le altre rinnovabili elettriche, oltre a una proroga delle detrazioni per l’efficienza energetica in edilizia limitata al giugno 2013, detrazioni che peraltro sono state indebolite dalla concorrenza di quelle per le ristrutturazioni edilizie “normali”, portate dal 36 al 50%. Ritiene che queste misure siano coerenti con gli obiettivi che la SEN pone su rinnovabili ed efficienza?

No. Sono tutte misure che lasciano nella più grande incertezza, e in alcuni casi hanno prodotto duri contraccolpi dal punto di vista economico e occupazionale. Le iniziative degli ultimi anni, che avevano portato l’Italia a recuperare terreno in ambiti quali eolico e fotovoltaico, vengono messe in forse. E non tanto per i taglio degli incentivi, che continuano a essere relativamente alti, quanto perché le misure introdotte creano incertezza e insicurezza nella definizione dei piani d’impresa, impedendo gli investimenti che servirebbero sul lungo termine. Questi provvedimenti dunque sono sì coerenti con la SEN, ma laddove questa prevede di puntare sul rilancio delle fonti fossili a scapito delle rinnovabili.

Crede che meccanismi di limitazione della spesa come il fiscal compact e il meccanismo di stabilità europeo potranno essere un ostacolo che renderà difficile mettere in campo gli investimenti necessari per la transizione energetica o anche solo per raggiungere gli obiettivi individuati dalla Strategia in materia di efficienza e rinnovabili?

Sicuramente. Il patto di stabilità e il fiscal compact sono una corda al collo dell’economia di tutto il Paese che impedisce di fare investimenti. Cosa tanto più vera per investimenti come quelli in fonti rinnovabili ed efficienza energetica, per i quali ci sarebbe bisogno dell’intervento pubblico dato che riguardano una materia in cui conta moltissimo la partecipazione della popolazione e non possono essere affidati esclusivamente a privati. Invece con patto di stabilità e fiscal compact l’intera finanza pubblica è messa in situazione di stallo e regresso, bloccando anche gli investimenti necessari per la transizione energetica.

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