Cina, verso il più grande mercato della CO2 del mondo

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La Cina si appresta a creare il più grande mercato delle emissioni del mondo. Partirà dal 2013 con 7 progetti pilota che copriranno 700 milioni di tonnellate di CO2 equivalente e dal 2015-2016 potrebbe interessare tutto il Paese. Un passo enorme verso un accordo efficace sul clima e un mercato globale delle emissioni, spiega un report.

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La Cina si appresta a creare il più grande mercato delle emissioni del globo e questa è una buona notizia per un mondo ancora in cerca di un accordo operativo per rallentare il cambiamento climatico. Il gigante asiatico, maggior emettitore mondiale, si appresta infatti a far partire, dal 2013, sette progetti pilota di ETS, meccanismi di scambio dei permessi a emettere, in altrettante città o province. L’iniziativa, che coprirebbe emissioni per circa 700 milioni di tonnellate di CO2 equivalente l’anno, darebbe vita a un mercato delle emissioni che per dimensioni sarebbe secondo solo a quello europeo e quando lo schema coinvolgerà tutta la nazione, attorno al 2015-2016, la Cina sarà senza dubbio il più grande mercato mondiale della CO2.

A ricordarlo è un report appena pubblicato dalla ong The Climate Institute (vedi allegato, pdf). Si va verso un futuro, si spiega, di mercati della CO2 sempre più estesi e collegati tra loro e la creazione del mercato cinese fungerà da catalizzatore in questo senso. Tra i prossimi ETS in fase di realizzazione, ricordiamo, ci sono quelli di Australia e Corea del Sud, che partiranno dal 2015 e, secondo il report, la nascita del gigantesco mercato cinese potrebbe spingere a creare mercati della CO2 anche altri Paesi come l’India.

Un panorama che, si commenta, dovrebbe favorire il raggiungimento di un accordo internazionale efficace sul clima, da stipulare entro il 2015 affinché entri in vigore nel 2020. La Cina dato il cammino intrapreso, si scrive, potrebbe sedersi al tavolo con maggiore potere negoziale.

Negli ultimi anni infatti la politica di Pechino per ridurre le emissioni è stata piuttosto proattiva. Dal 2005 al 2010 l’intensità energetica, ossia l’energia spesa per ogni punto di Pil, si è ridotta del 19%, grazie soprattutto a politiche di efficientamento energetico. Oltre a questo, come ben sappiamo, la superpotenza ha affermato la sua leadership mondiale nelle rinnnovabili promuovendo fortemente anche le installazioni in patria. Basti pensare al fotovoltaico: qui le aziende cinesi soddisfano già più del 50% della domanda mondiale di celle e moduli e quest’estate il Governo di Pechino ha per l’ennesima volta rivisto verso l’alto l’obiettivo nazionale al 2020, portandolo da 20 a 50 GW.

Ciò nonostante la Cina emette sempre di più dato che il Paese continua a contare pesantemente sul carbone: le emissioni pro-capite si stanno avvicinando a quelle dei Paesi ricchi, mentre a livello assoluto il primato cinese si va confermando di anno in anno. In questo senso la creazione di un mercato delle emissioni è un’ulteriore mossa per fermarne la crescita.

I 7 progetti pilota, come dicevamo, partiranno tra il 2013 e 2014 e copriranno circa 700 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Per dare un’idea delle dimensioni pensiamo che il mercato delle emissioni più grande al mondo, quello europeo, attualmente tratta 2,1 miliardi di tonnellate di CO2, quello della California ne copre 165 milioni e arriverà a 406 nel 2015, mentre quello australiano ne tratterà 382 milioni. Dopo aver studiato i 7 progetti pilota, attorno al 2015-2016, la Cina dovrebbe dotarsi di un ETS su scala nazionale. In contemporanea e in complementarità la Cina sta studiando anche l’introduzione di una tassa sulla CO2.

I meccanismi con i quali i 7 mercati pilota cinesi funzioneranno saranno diversi, come assai diverse sono le dimensioni (si veda da pagina 10 del report). Si spera che la Cina nella creazione di un ETS eviti gli errori che hanno praticamente vanificato l’efficacia del più vecchio schema esistente, quello europeo: dai meccanismi di compensazione che hanno portato a riduzioni non aggiuntive quando non addirittura finte fino alla lacuna principale, cioè l’eccesso di permessi gratuiti distribuiti che ha portato il prezzo della CO2 ad un livello troppo basso (siamo a meno di 8 euro a tonnellata) per stimolare veramente le imprese a ridurre le emissioni.

 

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