Kite Gen, gli aquiloni eolici che vogliono salvare l’Alcoa

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L’ingegnere Massimo Ippolito ha proposto di risolvere il problema dell'Alcoa con la produzione di energia a prezzi stracciati grazie al Kite Gen, un dispositivo eolico che cattura il vento intorno ai 1.000 metri di altezza, imbrigliandolo in grandi kite, simili a quelli usati per fare evoluzioni sul mare. Lo abbiamo intervistato.

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Proprio nel periodo in cui i ricercatori americani Ken Caldeira, Kate Marvel e Ben Kravitz, pubblicavano su Nature Climate Change un articolo in cui affermavano che la potenza massima ottenibile dal vento in quota (stimata in 1.800 TW contro i circa 18 dell’intero consumo energetico dell’umanità) potrebbe soddisfare tutti i nostri bisogni, senza alterare il clima terrestre,  l’ingegnere Massimo Ippolito ha proposto di risolvere i più modesti problemi della produzione di alluminio in Sardegna, utilizzando proprio quella stessa fonte di energia, il vento intorno ai 1.000 metri di altezza, imbrigliandolo in grandi kite, simili a quelli usati per fare evoluzioni sul mare (vedi qui). La proposta,  basata sulla tecnologia chiamata KiteGen,  ha generato sorpresa, entusiasmi, scetticismo e anche pesanti ironie. Siamo quindi andati a chiedere lumi allo stesso Massimo Ippolito, presidente della società di automazione industriale torinese Sequoia Automation, che da circa un decennio porta testardamente avanti la sua idea di domare la potenza del vento, con il più infantile e apparentemente improbabile dei mezzi: l’aquilone. Gli abbiamo parlato proprio mentre si recava da Ugo Cappellacci, il governatore sardo, per illustrare la sua proposta. A seguito di questa visita, Cappellacci ha presentato KiteGen al Ministero dello Sviluppo, come possibile parte della soluzione del problema Alcoa.

Ingegner Ippolito, a molti questa idea di usare semplici rettangoli di stoffa, sia pure high tech, per produrre i GWh ultraeconomici richiesti dall’Alcoa per rimanere in Italia, sembra uno scherzo di cattivo gusto, vista la drammaticità della situazione. Può spiegare come si fa a estrarre così tanta energia dal vento con dei semplici aquiloni?

I kites che utilizziamo non sono certamente dei rettangoli di stoffa e KiteGen, purtroppo, non è il genere di iniziativa che si possa spiegare in poche righe. È vero, la situazione è drammatica, anche se lo si poteva prevedere già da molto tempo, ma KiteGen è nato proprio per offrire una possibile alternativa al declino. Siamo infatti assolutamente certi di aver individuato la soluzione più potente e realistica per uscire dalle secche della recessione infinita.
Sapevo che KiteGen sarebbe stato un progetto che può apparire bizzarro. Quello che non avevo invece previsto è la pochezza e stupidità del sistema in cui siamo caduti, incapace di visione sistemica. 
Chi vuole informazioni dettagliate, può andare sul nostro sito, www.kitegen.com, e consultare materiale tecnico e divulgativo che spiega i principi e le potenzialità. Mi preme far  notare che, sia nei lavori di Caldeira che della Nasa, KiteGen è esplicitamente citato e che per ottenere la pubblicazione dei molti brevetti che tutelano la nostra idea abbiamo dovuto superare esami di originalità e fattibilità.

Ippolito è noto per non avere un carattere molto accomodante e diplomatico. Visto che non lo vuole fare lui, spieghiamo noi, in sintesi, che gli aquiloni, una volta in quota, agiscono come grandi ali o vele che vanno di bolina: il vento che passa sopra la loro superficie ricurva, genera una  trazione, proporzionale alla superficie del kite e al cubo della velocità del vento. Gli aquiloni usati attualmente da KiteGen, da 50 mq, tirano con una forza di alcune tonnellate. Manovrando da terra il kite, tramite due cavi, affermano alla KiteGen, gli si può far percorrere una traiettoria ad otto, in parte della quale l’aquilone si allontana, azionando un alternatore e producendo energia, e in parte viene richiamato indietro da un motore elettrico, consumando una piccola frazione dell’energia prodotta in precedenza. L’uso di un aquilone veloce e leggero, consente di sfruttare con grande efficienza un volume di atmosfera molto più grande di quello utilizzabile da una turbina eolica, e di andare a pescare venti fino a 2.000 metri di altezza, più forti e costanti di quelli vicino a terra.  Secondo i calcoli della KiteGen, un aquilone da 150 mq di superficie, dovrebbe raggiungere i 3 MW di potenza, come una grande turbina offshore, con un fattore di capacità di circa 6.000 ore l’anno, il doppio dei migliori ottenibili a terra.  Anche se effettivamente nessuno nega le enormi potenzialità teoriche dei venti di alta quota e molti tecnici pensino che la strada imboccata dalla KiteGen per sfruttarli sia una delle più promettenti, però bisogna anche dire che molti degli stessi tecnici pensano che le stime di potenza e di capacità fatte da Ippolito si ridimensioneranno molto, una volta che si passerà dalla carta al mondo reale.

Proviamo a continuare  con le domande. Per quanto possa essere teoricamente valido, è innegabile che il KiteGen, per ora, non ha immesso in rete un kWh di energia. Non le sembra velleitario proporlo addirittura per alimentare la fabbrica più energivora d’Italia, che da sola consuma, a pieno regime, 1/150 dell’elettricità del nostro Paese?

La dimostrazione non è immettere energia in rete ma produrla a un costo concorrenziale anche con il carbone cinese, e il nostro focus ora è proprio l’industrializzazione delle macchine.
Le proposte alternative in campo per l’Alcoa, sono continuare a sussidiarne l’elettricità con interventi miliardari a carico dei cittadini o bruciare il carbone solforoso del Sulcis, con la cattura della CO2. Conoscendo le tecniche del CCS, è sufficiente fare un bilancio energetico per scoprire che è una proposta che non sta in piedi, scientificamente ed economicamente.
Noi, comunque, non proponiamo in prima istanza di diventare i proprietari della fabbrica o di gestirla, ma di alimentarla con energia a basso costo dato che il 90% del problema sul tavolo è proprio il costo dell’energia.
La proposta è questa: si investe inizialmente, una parte minima del sussidio “superinterrompibilità” in bolletta o delle somme fornite dai programmi europei per il contenimento delle emissioni, che attualmente sarebbero impiegate per la “soluzione” del carbone con CCS. Con questi metteremo a punto il sistema basato su generatori eolici di alta quota che, gradualmente, potranno rifornire l’Alcoa di Portovesme di tutta l’energia di cui ha bisogno.
Calcoliamo che potremmo costruire in prossimità dell’Alcoa, su un’area di un paio di chilometri quadri, la centrale eolica di alta quota da 300 MW che, con un capacity factor di circa 6.000 ore l’anno, produrrebbe tutta l’energia necessaria, al di sotto dei 30 euro al MWh richiesti da Alcoa per restare in Italia.
Nel periodo di transizione, parte delle maestranze potrebbero lavorare all’avviamento dei KiteGen.  So che la nostra proposta sembra sia stata sminuita dal Ministro Passera, forse per l’incompletezza delle informazioni che aveva, ma c’è invece interesse da parte delle autorità locali e della stessa Alcoa americana che, al di là della situazione sarda, ha gli stessi problemi con il costo dell’energia in tutto il mondo.  Per loro una soluzione con elettricità rinnovabile e a basso costo, sarebbe un asset strategico di grande valore.

Però, mi scusi, Ippolito: con questa logica qualunque persona, più o meno sana di mente, che ritenga di avere in mano una tecnologia energetica rivoluzionaria, ma che non ha mai prodotto nulla, che so, la fusione fredda, potrebbe chiedere milioni per risolvere il problema dell’Alcoa…

Non facciamo paragoni assurdi e offensivi. Noi abbiamo brevetti internazionali concessi, articoli e citazioni su vere riviste scientifiche e abbiamo già dimostrato dal 2006 la validità del nostro approccio, producendo energia, con il prototipo di ricerca, un centinaio tra tesi di laurea e dottorato sul KiteGen, premi e riconoscimenti al concetto. Adesso stiamo lavorando con partner sulla macchina preindustriale, a Sommaria Perno, in Piemonte, da 3 MW, che servirà come modello riproducibile.

Molti dicono che sono tanti anni che lavorate e lavorate a questo prototipo, senza venire a capo di nulla…

Dopo aver finito la fase di ricerca, sono appena tre anni che lavoriamo al dimostratore, e con risorse finanziarie sempre in ritardo rispetto al piano industriale. Avevamo previsto 1.000 mesi/uomo di lavoro per la completa messa a punto, e siamo a 450. Al di là di un atteggiamento decisamente fatuo e non professionale dei cosiddetti critici, il nostro percorso non porta a un giocattolo ma a progettare,  realizzare e testare in condizioni reali un impianto complesso, costituito da 78 sottosistemi. Per capire le difficoltà, pensate che per alimentare i sensori sul kite, ci siamo dovuti inventare ex novo una piccola turbina eolica con batteria, montata sull’aquilone, che, da sola, ha richiesto mesi di lavoro e 600.000 euro.

A proposito, quanto avete speso e da dove sono arrivati i soldi?

Finora il progetto ha goduto e speso circa 10 milioni per la fase di ricerca e brevettazione con decine di soggetti coinvolti anche internazionali. Solo mantenere i 24 brevetti nel mondo, ci costa intorno a 20.000 euro al mese.
Circa 5 milioni sono arrivati da finanziamenti alla ricerca europei, il resto sono fondi privati, provenienti da  altre attività industriali, e da centinaia di finanziatori privati, che hanno acquistato quote dello sviluppo a  fronte del controvalore garantito e certificato dei nostri brevetti.
Il piano industriale prevede invece un percorso a milestones da circa 55 milioni che porta a una farm pilota da 150 MW.

Ma è realistico pensare di controllare per mesi e in ogni condizione di tempo, un aquilone che vola 1.000 metri più in su, ruotando liberamente su sé stesso, agendo da  terra solo su due cavi: non finirà tutto in un groviglio ingestibile o con l’aquilone che casca in testa a qualcuno?

Assolutamente realistico, quando il sistema non dovesse essere in grado di controllare ne è immediatamente consapevole e riporta l’ala a terra. Comunque il kite non fa nulla liberamente, viene invece controllato costantemente e con precisione, grazie a sensori che in tempo reale aggiornano la dinamica del kite nel sistema di controllo degli attuatori/generatori posti a terra. Come il percorso di volo nel volume aereo, anche le rotazioni dell’ala su sè stessa  non sono quindi causali, ma decise dal controllo.  Il volo vincolato del KiteGen è molto più sicuro di un volo libero: la possibilità che l’ala cada non è da escludere, ma con una frequenza, in prospettiva, inferiore ai voli commerciali.

Sui mancati aiuti pubblici al vostro progetto, si basano molto le vostre accuse di complotto, o almeno ostracismo,  ai danni del KiteGen da parte del mondo politico e dell’industria energetica. Non siete un po’ paranoici?

Giudicate voi: nel tempo abbiamo visto ammessi a finanziamento 78 milioni per nostre proposte presentate su bandi nazionali e regionali per l’innovazione. Di questi non abbiamo mai visto una lira!
Molto spesso le coperture finanziarie sono finite per altri scopi, come il salvataggio di Alitalia.
Nel bando di industria 2015 “l’eolico di alta quota” era esplicitamente citato, ma sembra sia poi andato per la bella e originalissima idea di fare “turbine eoliche sulla vetta delle montagne” ! Soldi buttati, naturalmente, uno perché l’eolico di alta quota lo si intende dal livello del terreno, due perché poi non gli hanno fatto fare nulla, per motivi paesaggistici.
La nota pubblicità in televisione sostiene che le tasse le si pagano per i servizi. Ma le tasse e i contributi sul lavoro e sui collaboratori che assumo, io le pago senza avere indietro uno straccio di aiuto per la ricerca che facciamo e che, una volta completata, costituirà un valore industriale inestimabile per questo nostro Paese.
Quindi sì, credo sinceramente che molti player del mondo dell’energia temano l’avvento della nostra tecnologia, che potrebbe mandare in pensione le loro, e ci boicottino con tutti i mezzi.
E non solo i colossi dei fossili o del nucleare, ma anche certi operatori o associazioni delle rinnovabili. Sappiamo che in Anev,  dove dovrebbero favorirci in ogni modo, invece fanno di tutto per denigrarci.

Ma che ve ne importa delle meschinità italiane? Se la vostra tecnologia fosse di valore così grande e certo, non dovreste avere la fila di investitori, anche esteri, alla porta?

In Italia in molti hanno cercato di comprarci compresi player importanti, ma solo per farci sparire e spianare la strada al nucleare. Molti stranieri, invece, si sono limitati a copiare le nostre tecnologie e testarle nei loro Paesi. Ma non andranno molto lontano, i nostri brevetti gli impediranno di commercializzarle.
Forse gli scettici-incompetenti di cui dicevo all’inizio, dovrebbero sapere che al momento nel mondo ci sono ben 54 soggetti, fra Università, centri di ricerca e aziende private, che stanno perseguendo, con metodi identici o molto simili ai nostri, strategie di sfruttamento dei venti di alta quota.

Fra questi competitor ha notato tecnologie  promettenti?

Non molte: o sono troppo simili alle nostre (alcuni hanno addirittura costruito macchine uguali identiche al nostro primo prototipo), e quindi andranno poco lontane per motivi brevettuali, o sono molto inferiori come potenzialità.

Oltre agli aquiloni, c’è  anche l’idea di mandare in quota turbine eoliche convenzionali, contenute in dirigibili (vedi www.altaerosenergies.com)…

Mah, credo che queste dimostrazioni non potranno che limitarsi alla scala delle decine di W, in quanto sospendere e mantenere in quota grandi turbine pesanti tonnellate, non è oggettivamente fattibile con il solo galleggiamento di un gas più leggero dell’aria. Inoltre l’elio è una risorsa limitata, costosa e non rinnovabile, già in crisi di approvvigionamento, e un pallone o un dirigibile ne perde il 20% ogni giorno.

Ci sono altre obiezioni riguardo al KiteGen, una è sull’usura, e quindi la scarsa durata,  dei componenti, come cavi e attuatori che manovrano l’aquilone e che saranno soggetti a uno stress continuo; l’altra è  sull’interferenza con il traffico aereo.

I cavi, realizzati in materiale polimerico, sono i componenti più deperibili, ma sono soggetti a sostituzione preventiva.  È evidente che gli impianti KiteGen non saranno realizzati in aree destinate al volo commerciale. In tutti i casi le ali saranno dotate di sistemi e della strumentazione (luci e transponder radar) per rendersi sempre visibili a tutela della massima sicurezza.

Un’ultima cosa, lei presenta, con toni talvolta un po’ messianici, il KiteGen come l’unica, o quasi, soluzione per salvare il mondo dalla penuria energetica e dalla catastrofe climatica. Non esagera un po’?  Non crede che altre soluzioni, come eolico standard, geotermico, solare e affini, stiano giocando già adesso un ruolo altrettanto importante di quello che prevede per il KiteGen? E c’è anche la speranza di Iter, il reattore internazionale a fusione nucleare…

Io amo la tecnologia, in tutte le sue forme, non ho preclusioni pregiudiziali. Ma l’esperienza di questi anni ci mostra che le più nuove fra queste tecnologie rinnovabili sopravvivono solo se incentivate, talvolta in modo esagerato, come in Italia. L’energia prodotta dal KiteGen, a regime, invece non avrà bisogno di incentivi, visto che costerà meno di quella del carbone. Inoltre tutte le attuali tecnologie rinnovabili hanno grossi problemi di espansione o di sostenibilità ambientale.  L’eolico su terra, per esempio, sta rapidamente saturando i luoghi più adatti per sfruttarlo, e quello offshore, con fondazioni o galleggiante che sia, sarà sempre troppo costoso in termini di energia e denaro necessari. Il fotovoltaico, invece, sarà sempre handicappato dal suo basso EROEI: richiede troppa energia per costruirlo, rispetto a quanto ne produce nel corso della vita. Un pannello al silicio ha un EROEI, a essere ottimisti, di 8, il KiteGen di 300. È vero che il fotovoltaico è crollato di prezzo, ma penso che questa fase finirà con l’esaurimento degli stock invenduti, accumulati in questi anni. Se ci credessero veramente, dovrebbero approfittare di questa fase per costruire fabbriche di pannelli solari, alimentate a loro volta dal solare e aggirare così il problema dell’EROEI, ma vedo che non lo fa nessuno. Quanto a Iter, non mi faccia parlare… con quello che costa uno solo dei suoi magneti avrei potuto costruire l’intero prototipo del KiteGen …

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