Specificità, rendimenti e modelli per le rinnovabili elettriche

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Il decreto sulle rinnovabili elettriche obbliga a rivedere le modalità di sviluppo degli impianti. Una discontinuità con il passato che richiederà maggiore attenzione alle logiche competitive e industriali, con analisi economiche in base alle specificità dell'installazione. Le considerazioni di Tommaso Barbetti, partner della società di consulenza eLeMeNS.

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Il DM 6 luglio 2012 introduce un forte segno di rottura rispetto alle dinamiche con cui fino a oggi si sono sviluppate le fonti rinnovabili in Italia. In termini generali si può senz’altro affermare che questo DM chiude una stagione di sviluppo delle rinnovabili di tipo principalmente finanziario per aprirne una nuova, basata maggiormente su logiche competitive e industriali. Ne verrà fuori un settore diverso, in cui l’attenzione si sposterà su aspetti sinora forse trascurati e in cui le dinamiche di crescita saranno dissimili rispetto al passato (Figura 1 – Le fonti rinnovabili alla prova del Decreto Elettrico, si veda lo studio eLeMeNS).

Ma analizziamo la discontinuità per ciascun comparto. Per quanto riguarda l’eolico, le chiavi del successo delle nuove iniziative passano da un cambio di modello di sviluppo, dall’ottimizzazione degli approvvigionamenti critici, dall’approccio competitivo alla gestione della finanza di progetto, dal controllo delle dinamiche competitive legate allo svolgimento delle fasi di asta e, una volta in esercizio, dalla capacità di gestire le variabili dinamiche del mercato elettrico. Il modello di business seguito fino a oggi e praticabile solo fino ad aprile 2013, nella sua solo apparente semplicità, prevedeva infatti l’acquisto o l’ottenimento in proprio di un’autorizzazione, il project financing, la realizzazione dell’impianto, il suo esercizio. La relativamente limitata rischiosità della conduzione dell’impianto (attraverso la possibilità di accedere al regime di Ritiro Dedicato) e una presunta stabilità dei ricavi (data dalla struttura stessa del mercato dei Certificati Verdi, almeno fino al 2009) oltre naturalmente all’assenza di rischi sul lato dei costi di approvvigionamento di materia prima, erano i fattori che rendevano l’impianto a fonte eolica estremamente agevole da finanziare.

Il nuovo Decreto rovescia lo schema che abbiamo conosciuto sinora, anche involontariamente aiutato da un mutato atteggiamento del sistema creditizio nei confronti del comparto. Gli operatori rinnovabili vengono portati sul mercato elettrico e divengono generation company specializzate, imponendo un filtro molto selettivo all’ingresso, le aste.  L’intero comparto viene posto di fronte a un tema gestionale prima non osservabile: la competizione. Rispetto al livello di incentivazione precedente (15 anni) normalizzato sulla nuova durata dell’incentivazione (20 anni), con le nuove tariffe non si viene a rappresentare necessariamente un decremento: in effetti, almeno per quanto riguarda il mini-eolico, attraverso le nuove tariffe (più basse in valore assoluto, ma concesse per un periodo di tempo più esteso) di fatto il ricavo sull’unità di energia prodotta è maggiore rispetto al vecchio contesto legislativo (in particolare, gli impianti fino a 20 kW possono ottenere un ricavo del 16% maggiore).

Ma più che i valori unitari degli incentivi, è la redditività complessiva degli investimenti a interessare (Grafico 1): detto che gli impianti sotto i 200 kW saranno comunque su IRR unlevered di circa l’8%, anche per i grandi impianti on-shore permane la possibilità di ottenere rendimenti interessanti. Ovviamente tutti dipenderà dell’esito dell’asta (area colorata nel grafico) e dal livello di incentivazione che ne conseguirà: ma anche in questo caso superare l’hurdle rate del 7% unlevered non sarà assolutamente una chimera.

Meno confortanti invece le stime sull’eolico off-shore, che, ancor prima che i livelli di incentivazione, sconta l’enorme incidenza sul capitale delle incertezze di carattere autorizzativo legate all’accettabilità della fonte, agli occhi delle Amministrazioni ancora controversa, ragione per la quale in Italia a oggi non ha ancora visto la luce nemmeno un MW di off-shore.

Grafico 1: IRR unlevered post tax per impianti eolici in funzione della taglia e del livello di incentivazione [Fonte: elaborazione eLeMeNS]

Per il settore delle bioenergie invece, il nuovo decreto impone un globale ripensamento, che probabilmente dovrà accompagnarsi a un’evoluzione complessa delle dinamiche del mondo agricolo: i nuovi impianti dovranno essere cuciti sartorialmente sul contesto in cui si inseriscono, sia per quanto riguarda gli approvvigionamenti sia per la destinazione dei consumi, con un crescente ruolo della cogenerazione e del termico in generale. L’analisi e il confronto tra i nuovi livelli tariffari vigenti per le bioenergie e quelli in vigore fino al termine del 2012 si rivela dunque assai meno immediata rispetto a quanto accade per eolico e idroelettrico.

In effetti, oltre alla maggior varietà di sub-categorie di fonte esistente, a cui va a corrispondere una serie di tariffe distinte, il confronto puntuale tra il livello di incentivazione del nuovo e del vecchio sistema è reso problematico dalla mutazione della categoria in base alla quale ciascuna fattispecie viene incentivata. In effetti fino al 2012 ciò che è rilevante ai fini della determinazione della tariffa è esclusivamente l’origine della materia prima da cui deriva il prodotto bioenergetico combustibile (presenza di filiera corta, tracciabilità del prodotto di origine comunitaria), con livelli tariffari omogenei a prescindere dallo stato solido, gassoso o liquido con cui la bioenergia viene utilizzata. Con il nuovo DM gli elementi che assumono rilievo ai fine della determinazione della tariffa incentivante sono di tutt’altra specie: in primo luogo biogas, biomasse solide e bioliquidi sono incentivati con valori distinti tra loro; inoltre per ciascuna sub-categoria le tariffe base sono ben distinte a seconda che la matrice di ingresso sia un prodotto o un sottoprodotto; infine vengono introdotti una serie di premi che rendono le tariffe meno standardizzabili e ben più modulabili rispetto al passato.

Oltre a rendere meno standardizzabile l’analisi dell’”investimento bioenergetico”, l’introduzione dei bonus modifica la struttura tariffaria di ciascun impianto, che diventa di fatto “a scalini”: grazie all’acceso ai bonus cumulabili, gli impianti che potranno e riusciranno a spuntare il maggior numero di bonus possibili, potranno di fatto raddoppiare le revenues (si veda il Grafico 2, relativo a un impianto a biogas di 1,1 MW che riesca ad accedere a tutti i bonus a disposizione).

Grafico 2:Livelli tariffario base e premialità disponibili per un impianto in cogenerazione ad alto rendimento di 1.100 kW alimentato a biogas che riesca ad accedere a tutti i bonus disponibili [Fonte: elaborazione eLeMeNS]

Ovvio dunque che la valutazione della bontà dell’investimento dipenderà proprio da tali aspetti, ove gli impianti che otterranno solo la tariffa base certamente non otterranno rendimenti soddisfacenti, mentre gli impianti che accederanno ad almeno due bonus otterranno IRR superiori al 10%.

Infine l’idroelettrico: si tratta probabilmente della fonte in cui la riduzione delle revenues connessa alla corresponsione della tariffe incentivanti è meno accentuata: in effetti, anche ove il livello nominale degli incentivi viene ridotto, si assiste contestualmente a un’estensione del periodo di incentivazione (20, 25 o 30 anni a seconda della specifica taglia e tipologia). Ne derivano livelli normalizzati di remunerazione in alcuni casi di molto superiori rispetto al passato (+35% per impianti ad acqua fluente fino a 20 kW, +15% per impianti, sempre ad acqua fluente, tra 20 kW e 500 kW) e in altri sostanzialmente in linea con le tariffe previgenti (impianti ad acqua fluente tra 1 e 10 MW).

Ovviamente l’analisi delle opportunità che si aprono sul fronte idroelettrico dovrà fare i conti con la residua disponibilità della risorsa: a tal proposito sembra maggiormente probabile uno scenario in cui la maggior parte dei nuovi investimenti sia concentrata sotto la taglia dei 5 MW. Anche l’analisi dei rendimenti (Grafico 3), che sconta ovviamente una serie di robuste semplificazioni su una fonte caratterizzata da fattispecie produttive e tecnologiche ben poco standardizzabili, sembra confermare una tendenza alla piccola taglia.

Grafico 3: IRR unlevered post tax per impianti idroelettrici in funzione della potenza [Fonte: elaborazioni eLeMeNS]

a cura di Tommaso Barbetti, partner eLeMeNS – www.lmns.it
 

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