Perché l’eolico in Italia costa il 20% in più?

In Italia l'eolico costa molto di più che nel resto d'Europa e si resta indietro anche a livello tecnologico. Colpa dei costi legati al progetto e alle autorizzazioni, circa doppi rispetto agli altri Paesi. Il nuovo decreto sulle rinnovabili non migliorerà la situazione, portando anzi altra burocrazia e nuovi elementi di incertezza.

ADV
image_pdfimage_print

In Italia l’eolico costa molto di più che nel resto d’Europa: a pesare nel Bel Paese sono i costi per il progetto e le procedure autorizzative, circa doppi rispetto agli altri Paesi. E la situazione non migliorerà di certo con l’entrata in vigore del nuovo decreto, di cui si attende l’emanazione definitiva a giorni: se gli incentivi restano abbastanza sostenibili, il sistema delle aste con contingente limitato introduce nuova burocrazia e nuove incertezze. Tanto da far più che dimezzare le previsioni sulle installazioni: se prima del decreto per il prossimo triennio gli operatori stimavano un potenziale di 3 GW, ora per lo stesso periodo si prevede una nuova potenza per 1-1,5 GW.

Questo è uno dei molti dati interessanti presentati nell’ultimo Wind Energy Report dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, studio che sarà presentato il prossimo martedì 10 luglio e che Qualenergia.it ha potuto sfogliare in anteprima.

Se si considerano i dati medi a livello europeo per gli ultimi due anni, si legge, un parco eolico, lavorando per 2.000 ore/anno, riesce a produrre a un LEC (Levelized energy cost) di 7 centesimi di euro/kWh, praticamente paragonabile a quello delle fonti convenzionali. Nella media europea infatti un impianto eolico costa 1,4 milioni di euro a MW: gran parte della cifra (il 72%) è attribuibile all’aerogeneratore e circa l’8% se ne va in costi di progetto e autorizzazioni.

Se invece si guarda all’Italia si scopre che da noi l’eolico costa circa il 20% in più, cioè 1,6 milioni a MW. A spiegare il rincaro sono i costi extra – progetto e autorizzazione, acquisizione dei terreni e realizzazione delle infrastrutture – che nel nostro Paese sono circa il doppio rispetto al resto d’Europa. In Italia il processo autorizzativo per un impianto dura in media 4 anni, il doppio che in Germania, rileva il report.

Tra tempi biblici e maggiori costi di progetto, che spingono a risparmiare sulle macchine, succede così che in Italia si rimanga indietro anche sul piano tecnologico.

A livello generale la ricerca nell’eolico si sta concentrando sull’incremento dell’efficienza, ovvero sulla riduzione della soglia di ventosità che rende appetibile un investimento, oggi attorno ai 6 m/s. Lo si fa tramite l’aumento dell’efficacia di “cattura” del vento impattante, dato da più complessi sistemi di posizionamento e controllo delle pale del rotore; tramite l’aumento dell’efficienza di trasformazione meccanica dell’energia del vento, ottenuto usando turbine di taglia sempre maggiore (dagli 800 kW di 10 anni fa ai 3,5 MW di oggi) e, infine, con la riduzione delle perdite di trasformazione in energia elettrica, soprattutto con l’adozione di generatori elettrici sincroni a magneti anziché i tradizionali sistemi trifase a induzione.

Il nostro Paese però, rileva il report, è rimasto indifferente al trend di incremento delle dimensioni e delle potenze dei singoli aerogeneratori. Poiché la crescita della taglia è, come visto, “sinonimo” di innovazione tecnologica, il gap misurato – spiega il team del Politecnico – equivale a dire che ogni anno in Italia vengono installati aerogeneratori che negli altri mercati eolici più sviluppati non si utilizzano ormai da più di 2 anni.

Proprio per compensare i costi maggiori di progetto e autorizzazione nel nostro Paese devono esserci incentivi più alti. E infatti nel 2012 sono ancora del 20% più generosi che nel resto d’Europa. Anche con i tagli previsti dal decreto sulle rinnovabili elettriche, diverse dal fotovoltaico, atteso in questi giorni e che dovrebbe entrare in vigore dal 2013, gli incentivi, si spiega nel lavoro dell’Energy & Strategy Group, continueranno a garantire livelli di redditività, almeno sulla carta, assolutamente sostenibili.

A causare difficoltà nel nuovo decreto però non saranno i tagli, ma alcuni aspetti che aggravano ulteriormente le criticità dell’eolico italiano: eccesso di burocrazia e incertezza. Sotto accusa il livello estremamente limitato del contingente di potenza incentivabile attraverso il meccanismo dell’asta (1.500 MW per il prossimo triennio, circa metà di quanto fatto registrare come installato del triennio appena trascorso) e l’introduzione di un ulteriore grado di complessità burocratica e incertezza, che si tradurrà in maggiori costi, tempi e difficoltà nel negoziare il debito con le banche.

Nei prossimi 3 anni si stima che le installazioni eoliche potrebbero fermarsi a 1 GW in uno scenario pessimistico in cui l’acuirsi della competizione nelle aste comportasse che il 50% degli impianti aggiudicatari non saranno in realtà realizzati a causa di livelli tariffari troppo bassi, oppure dello svilupparsi di un deleterio “mercato della carta”, quale quello di cui si è già avuto esempio nel fotovoltaico della prima ora; nello scenario più ottimistico invece potrebbero arrivare  a 1,5 GW.

ADV
×