La possibile svolta del FV integrato nel mercato dell’energia

Il fotovoltaico in Italia è a un punto di svolta che impone scelte innovative. Il testo del V conto energia non affronta le modalità per valorizzare l’energia prodotta e la liberalizzazione della vendita, vie necessarie per affrancarsi dagli incentivi. Un articolo di Arturo Lorenzoni pubblicato sul nuovo numero della rivista QualEnergia.

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Nell’ultimo decennio il mondo dell’energia è profondamente cambiato: le economie di scala che avevano spinto l’industria elettrica a costruire impianti sempre più grandi si sono ridotte in modo incredibile. Sul piano tecnico, un impianto da 1 MW ha oggi rendimento di conversione dell’energia primaria superiore a quello degli impianti da 2.400 MW che Enel fece alla fine degli anni ‘80.

Perché mai si dovrebbero fare ancora impianti di quelle dimensioni, con oneri finanziari enormi, impattando sull’ambiente locale, assumendo impegni di gestione rilevanti, se non vi è un vantaggio tecnico? E analogamente sul piano economico, i costi di investimento per unità di potenza a cui si è pervenuti per gli impianti FV a giugno 2012 sono confrontabili con quelli di una centrale a carbone, così che risultano modificate permanentemente le prospettive di evoluzione dell’intera industria dell’energia.

Certo, questa tendenza comporta nuovi vincoli e nuovi oneri sullo sviluppo e la gestione delle reti. Proprio nell’adeguamento delle reti sta la sfida per l’ulteriore sviluppo delle rinnovabili in Paesi come l’Italia e la Germania dove hanno raggiunto penetrazioni elevate in alcune aree. Sul fronte della gestione delle reti c’è molto da imparare ancora ma, con gli sviluppi tecnici emersi di recente, la strada verso un ripensamento profondo del loro ruolo e dei criteri per la loro gestione è segnata. In questo senso ci si trova di fronte a una discontinuità tecnologica, in cui i parametri per la scelta degli investimenti sono cambiati al punto da richiedere nuovi modelli d’analisi. Un esempio su tutti: se in passato l’utilizzo degli impianti idroelettrici a bacino era concentrato nelle ore centrali della giornata, quelle con il valore maggiore sul mercato dell’elettricità, nell’ultimo semestre la distribuzione dei prezzi ha andamenti nuovi, con picchi nelle ore serali. Di conseguenza, i gestori degli impianti stanno cercando nuove strategie d’offerta.

Tuttavia, ciò che oggi tortura gran parte degli operatori del mercato FV è il dubbio se vi sia un futuro per il settore o se si sia trattato di una bolla, esplosa con la contrazione di mercato incominciata a metà 2012. A modo di vedere di chi scrive non si tratta di una bolla. Per capire l’irreversibilità della transizione verso le fonti a minimo impatto sull’ambiente è essenziale guardare al quadro internazionale.
L’Europa sta discutendo una Roadmap 2050 che prevede una decarbonizzazione quasi integrale (-93 -99%) del settore elettrico; Regno Unito, Germania e Francia assumono impegni nazionali coerenti con tale percorso, consapevoli di disporre di tecnologie capaci di condurli a tali obiettivi. E i Paesi di industrializzazione più recente un po’ alla volta introducono vincoli ambientali ai propri investimenti energetici.

Per ragioni diverse, Cina, Giappone, India hanno progetti di investimento di grande rilievo per l’immediato futuro, tali da far immaginare un ruolo meno centrale per l’Europa, che finora ha indubbiamente guidato il mercato. L’apertura ai mercati emergenti è un passaggio cruciale verso la maturità dell’industria e il riconoscimento del FV come tecnologia capace di soddisfare i bisogni futuri di energia, localizzati prevalentemente nei Paesi che devono ancora conoscere uno sviluppo infrastrutturale moderno. In tale contesto immaginare un futuro senza fotovoltaico è irragionevole.

È chiaro che sul fronte nazionale volumi di mercato come quelli visti tra il 2010 e il 2011 non si sperimenteranno mai più, perché in presenza di una domanda di energia stabile non si può pensare di incrementare continuamente il parco di generazione. Il mercato diverrà quindi internazionale, con un ruolo solo per le imprese specializzate nei singoli segmenti, su alcuni dei quali gli operatori italiani sono competitivi. Per loro è decisivo per l’immediato futuro poter capitalizzare nei mercati esteri l’esperienza dell’ultimo lustro sul mercato domestico; e per affermarsi su scala internazionale è essenziale sapersi aggregare e proporsi con tecnologie e conoscenze integrate, originali e competitive, superando le eterne rivalità di campanile.

E piuttosto segnata sembra anche l’evoluzione del mercato FV in Europa. Le scelte in merito alla sostenibilità in edilizia, con il vincolo imposto dalla direttiva 2010/31/CE a costruire edifici a consumo energetico quasi nullo a partire dal 2019, sono uno stimolo fortissimo a integrare il FV in edilizia e, al tempo stesso, una garanzia di un mercato di una certa dimensione stabile in futuro. Non è difficile prevedere che il mercato europeo evolverà nella direzione dell’integrazione, facendo del FV una componente costruttiva dei nuovi immobili residenziali e produttivi, che possono essere svincolati dall’uso di combustibili fossili. Anche questo è un risultato raggiunto grazie allo sforzo finanziario assunto dai consumatori elettrici tedeschi e italiani, senza il quale non si sarebbe avviata un’industria di settore, non si sarebbero acquisite le capacità tecniche, né raggiunte le economie di scala che hanno fatto del FV una soluzione irrinunciabile del sistema energetico.

In questo senso, l’onere in bolletta va valutato in relazione al risultato storico di aver accompagnato il FV alla competitività commerciale, non ragionando esclusivamente sui kWh generati oggi: altrimenti non si riesce a cogliere la logica della politica energetica italiana ed europea di questi anni.

Sembra paradossale, ma oggi ci si trova in Italia a gestire una situazione che nessuno poteva immaginare solo pochi anni fa: l’eccesso di crescita del contributo FV. Tutto il mondo dell’energia era concentrato a far fiorire nuovi cicli combinati (si ricordi il decreto “sblocca centrali” del 2004) quando uscì il primo conto energia per il fotovoltaico, inteso inizialmente come una nuova versione del programma Tetti Fotovoltaici, che negli anni precedenti aveva portato a risultati decisamente modesti. Ancora nel 2007 il Piano nazionale, che prevedeva 8 GW di FV al 2020, era stato pesantemente criticato perché ritenuto irrealistico. E tutto questo a conferma che chi ha nostalgia dei piani energetici forse sottovaluta che indovinare le traiettorie tecnologiche è esercizio assai difficile, che può facilmente tradursi in opportunità mancate o costi enormi per la società. Indirizzare gli investitori e comunicare con chiarezza le priorità va bene, ma fare scelte tecnologiche per decreto è sempre una scommessa azzardata.

Così la crescita inattesa del settore delle fonti rinnovabili, che ci troviamo a constatare ex post in Italia, ha accelerato di molto un tema centrale per la transizione del settore elettrico verso la sostenibilità: come si devono gestire gli impianti ancora validi, e talvolta nuovi, che vengono spinti fuori dal mercato dalle fonti rinnovabili? L’obsolescenza provocata dalle politiche energetiche e non da forze esclusivamente di mercato forse non può rimanere un problema privato dell’impresa che si trova a non saper restituire il debito contratto per la costruzione dell’impianto. Su questo tema speriamo ci siano risparmiate soluzioni “all’italiana”, con la socializzazione del costo del debito tramite un capacity payment a pioggia. Una soluzione pragmatica, con il pagamento degli interessi degli impianti messi in naftalina per mantenerli efficienti e il congelamento del debito per alcuni anni fino a quando magari serviranno, è un’azione da considerare seriamente.

L’aspetto centrale della crescita esagerata del settore FV nell’ultimo triennio è in ogni caso la preoccupazione per l’onere accollato ai consumatori italiani per il prossimo ventennio. Sei miliardi e mezzo di euro è una cifra importante, anche per il mondo dell’energia che a cifre simili è avvezzo (l’utile annuo delle imprese energetiche ha spesso altrettanti zeri) ed è indispensabile cercare di contenere l’esborso con politiche intelligenti, che svincolino prima possibile i nuovi impianti dal sostegno pubblico.

Proprio su questo fronte a oggi sembra mancare la volontà di integrare realmente gli impianti FV nel nuovo mercato dell’energia. Se solo si liberalizzasse la vendita dell’energia prodotta si potrebbe ridurre rapidamente l’onere degli incentivi, fino a farli sparire. Già oggi, con un po’ di attenzione, se si potesse vendere senza oneri l’energia FV a un supermercato in Sicilia non servirebbe quasi incentivo. Questo passaggio rappresenta la vera rivoluzione per il mondo dell’energia, che può consentire la transizione verso una generazione distribuita, capace di mettere in discussione il modello monopolistico.

Da questo punto di vista il testo circolato in bozza dal ministero per lo Sviluppo economico del decreto di riforma del sostegno al FV, noto come quinto Conto Energia, appare fortemente inadeguato per cogliere le necessità del momento. Che sono certamente la riduzione del ricorso all’addizionale in bolletta elettrica per il finanziamento degli impianti fotovoltaici (componente A3), ma anche il disegno di un percorso verso l’affrancamento da qualsiasi meccanismo di sostegno per il settore. Percorso che invece manca totalmente nei documenti in discussione, rischiando di imporre uno stop illogico, proprio nel momento in cui lo sforzo finanziario fatto finora può dare frutti. Le linee su cui il testo del decreto è mancante sono quelle relative alla revisione delle modalità di valorizzazione dell’energia fotovoltaica prodotta e della liberalizzazione della vendita. Non adeguare le regole alla nuova necessità di dare flessibilità alla produzione su questi fronti equivale a impedirne l’evoluzione verso l’indipendenza dagli incentivi. Aprendo alla libera vendita della produzione sul mercato, il fotovoltaico potrebbe divenire rapidamente competitivo, limitando l’incentivo a condizioni di favore nella gestione dell’intermittenza, che può essere delegata in gran parte a chi voglia gestire le produzioni su larga scala.

Un indirizzo del settore verso l’autoconsumo, con soglie di ammissione all’incentivo legate alla quota dell’energia prelevata dai carichi nella cabina di connessione, avrebbe una serie di pregi:

  • portare incrementi minimi del prelievo dall’addizionale A3 in bolletta elettrica, rendendo il tema del registro secondario;
  • ridurre il percorso medio dell’energia dalla produzione ai consumatori e, di conseguenza, le perdite sulle reti di trasmissione e distribuzione e l’impatto della generazio-ne FV sulle reti.

La riforma dell’organizzazione del settore passa dunque attraverso nuove regole su molti fronti e soprattutto attraverso la concertazione degli obiettivi con tutte le parti. Non si può pensare di sviluppare su larga scala il FV inducendo oneri per i distributori o per i generatori responsabili della regolazione delle reti senza dare adeguati incentivi pure a loro. Gli aspetti su cui intervenire con nuove regole sono molti; due esempi:

  • mantenimento della priorità di dispacciamento per  gli impianti rinnovabili intermittenti, molto più complicata da gestire con le attuali penetrazioni rispetto al passato; come incentivare i produttori a regolare la propria curva di produzione?
  • incentivazione all’adeguamento delle reti, con il trasferimento di parte dell’incentivazione futura dai nuovi impianti alle reti stesse; l’eliminazione delle congestioni può liberare capacità produttiva, con benefici rilevanti sulla capacità di immissione della produzione intermittente nella rete.

Vi sono molti tabù e molte posizioni rigide, che di necessità devono essere superate perché la regolazione del settore possa seguire la trasformazione avvenuta sul piano tecnico. Forse non tutti sono pronti alla nuova fase che il mondo dell’energia si appresta ad affrontare, ma i benefici si annunciano tali che presto o tardi riusciremo a liberarci dall’idea di un’industria integrata in cui il consumatore compra passivamente, riconoscendo un ruolo attivo anche ai consumatori più piccoli, che magari caricheranno l’auto elettrica nel garage di casa con il proprio modulo fotovoltaico.   

L’articolo è stato pubblicato sul n.3-2012 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Svolta solare”.

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