Detrazioni del 55%: dove andremo a finire?

Le detrazioni del 55% hanno avuto un enorme successo: buoni risultati non solo in termini di risparmio energetico, ma anche come benefici economici per il sistema-Paese. Le modifiche introdotte col decreto sviluppo rischiano ora di affossare definitivamente questa misura. Un commento di Giampaolo Valentini, l'ex "uomo del 55%” all'Enea.

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Quando nel 2007 furono varate le detrazioni fiscali del 55%, gli amministratori pubblici non immaginavano gli effetti che queste avrebbero avuto, da quel momento in poi, nella ristrutturazione degli edifici dal punto di vista energetico. E’ vero, erano già vigenti da molti anni le detrazioni del 36% per la ristrutturazione degli edifici ed era in vigore il D.Lgs. 192/2005, che dettava prescrizioni cogenti per ottimizzare il rendimento energetico degli edifici. Ma le prime avevano il solo scopo di rilanciare il settore edilizio nel Paese e di far emergere il lavoro nero, particolarmente diffuso nel caso di ristrutturazioni, e il secondo era rivolto prevalentemente verso le nuove costruzioni, largamente minoritarie rispetto all’enorme mercato delle riqualificazione energetiche potenziali degli edifici esistenti.

Dopo un primo momento di perplessità in cui gli utenti, e perfino gli stessi operatori economici, rimasero increduli di fronte a tanta generosità, il mercato letteralmente decollò. Anche i tecnici dell’Enea che ancora nel novembre del 2007 stimavano di ricevere al massimo 50.000 domande di detrazione rimasero stupiti quando, alla chiusura della campagna 2007, si raggiunsero le 106.000 richieste. Ma la bomba doveva letteralmente ancora deflagrare: nel 2008 le domande salirono a 247.800, nel 2009 a 236.700 e nel 2010, ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, addirittura a 405.600. I risultati ufficiali, in termini di risparmio conseguito, di CO2 evitata, di costi per gli utenti e di spese portate in detrazione, sono riassunti in questa tabella. Per il 2011 si stima in circa 280.000 il numero domande pervenute: il risparmio energetico, la CO2 e i costi saranno direttamente proporzionali.

A fronte di questo gradimento da parte del pubblico (per il quale va riconosciuto il merito – o se si vuole, la colpa per essere stati corresponsabili del troppo successo – ai tecnici del gruppo di lavoro dell’Enea dedicato all’assistenza agli utenti), la preoccupazione degli amministratori – più che rallegrarsi del successo conseguito – è stata sempre e solo quella di contenere in qualche modo i costi.

Sono passati in sordina, oltre ai numeri qui in tabella, la spinta data al raggiungimento dei target di efficienza energetica imposti dagli accordi internazionali sottoscritti dall’Italia, la formazione nel Paese di una coscienza ecologica, l’emersione del lavoro nero, l’incentivo alla ricerca tecnologica per la produzione di apparecchi sempre più performanti, la creazione di nuovi posti di lavoro, in particolare per i giovani, tanto più preziosi in un momento di crisi come quella vissuta negli ultimi anni senza parlare della riduzione dei costi sociali a causa del minore inquinamento, dell’incremento del valore degli immobili per il maggiore comfort e, infine, del maggiore gettito di IRPEF e IRES per la maggiore occupazione e produzione creata.

C’è allora da meravigliarsi se le proroghe di questo provvedimento sono sempre arrivate all’ultimo momento, prima delle scadenze annuali, impedendo una programmazione delle attività sia agli utenti che alle aziende? Se i possibili correttivi, procedurali e tecnici, e le possibili migliorie che in questi anni sono apparsi necessari agli addetti ai lavori, sono stati regolarmente ignorati? Se le limitatissime modifiche apportate finora, sempre in fretta e furia nelle ultime ore prima del varo legislativo delle proroghe, non hanno considerato le possibili conseguenze pratiche che hanno messo in difficoltà non solo i tecnici dell’Enea ma anche quelli dell’Agenzia delle Entrate?

E c’è forse da meravigliarsi se il cosiddetto decreto sviluppo, il D.L. 22/6/2012 n. 83, pubblicato in Gazzetta il 26 giugno e immediatamente in vigore, ha disposto un innalzamento della detrazione per le ristrutturazioni edili dal 36 al 50% da subito e un abbassamento della detrazione per le riqualificazioni energetiche dal 55 al 50% dal 1° gennaio 2013? Ha il Governo un’idea di cosa questa disposizione comporterà? Da tecnico, umilmente, proverò io a spiegarlo al governo dei colleghi tecnici, senza entrare nel merito delle cifre che potrebbero essere risparmiate dallo Stato da qui al 2015, al 2020 o al 2030 e che sono del tutto opinabili senza un’adeguata e dettagliata valutazione dei benefici economici e sociali, diretti e indiretti, che verranno a mancare.

La prima e immediata conseguenza sarà l’azzeramento degli interventi di riqualificazione energetica. Chi mai, infatti, vorrà sottostare agli adempimenti, procedurali e prestazionali, previsti per l’efficientamento energetico, relazionare l’Enea e il Paese su quanto realizzato e sui risultati attesi, quando senza nulla dichiarare si potrà godere dello stesso beneficio (il 50%) dall’anno prossimo o di uno leggermente inferiore (il 50%, anziché il 55%) da subito, facendo passare l’intervento come ristrutturazione edile? Il 5% di differenza sarà largamente recuperato e anzi incrementato, risparmiando sui costi di tecnici e materiali che non dovranno sottostare a nessun vincolo prestazionale particolare.

Le altre conseguenze. Affossamento di tutti i benefici elencati prima e cioè: creazione di posti di lavoro ad alta specializzazione, sviluppo della ricerca tecnologica nei settori colpiti, alleggerimento dei costi sociali, rispetto degli obiettivi internazionali in termini di efficienza energetica. In particolare, a proposito di questi ultimi, cito solo l’esempio dei limiti minimi prestazionali degli edifici esistenti di cui alla direttiva UE 31/2010. Alla luce delle nuove disposizioni, la distanza che ci separa dalla realizzazione di queste prescrizioni si misura proprio in anni luce. Non resta che sperare che queste assurdità vengano corrette dalla legge di conversione. Altrimenti c’è da chiedersi davvero dove andremo a finire.

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