Rio+20, verso la conclusione tra delusione e ottimismo testardo

Rio+20 si avvia alla conclusione con un documento pieno di buone intenzioni, con alcuni indubitabili e importanti passi avanti sul piano dei principi, ma nessun impegno concreto in termini di tempi certi e di risorse da mettere sul piatto. Il diario da Rio di Francesco Ferrante, vice presidente di Kyoto Club e nostro inviato al summit.

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Non ci saranno sorprese: Rio+20 si concluderà così com’è cominciato. Un documento pieno di buone intenzioni, con alcuni indubitabili e importanti passi avanti sul piano dei principi, a partire dalla definizione della green economy come “infrastruttura” fondamentale non solo per affrontare la crisi climatica ma anche per combattere la povertà, ma nessun impegno concreto in termini di tempi certi e di risorse da mettere sul piatto.

Per questo Ban Ki Moon, il segretario generale dell’Onu, ha aperto il vertice ammettendo che il documento finale in discussione avrebbe dovuto essere più ambizioso, una sorta di confessione di impotenza e di inadeguatezza delle Nazioni Unite di fronte alla sfida. Un’ammissione tanto più amara se è vero – come ha detto lo stesso Ban Ki Moon, e ancora con più forza Dilma Rousseff, la presidente brasiliana padrona di casa, che pure ha difeso il risultato ottenuto – che il tempo è la risorsa più scarsa di cui disponiamo. Ha senz’altro ragione allora Hollande, quando dice che la dichiarazione finale, che sottoscriveranno tutti, è il solo compromesso possibile, ma che non è quello che si aspettavano i suoi concittadini e soprattutto non è quello che sarebbe stato doveroso raggiungere per le generazioni future.

Forse però la speranza sta proprio nel discorso di Hollande, che si è impegnato non solo a introdurre al più presto la tassa sulle transazioni finanziarie, ma anche a destinare una parte di quei proventi proprio alla cooperazione e ai programmi di sviluppo sostenibile. E sta nella durezza del discorso della Rousseff, che non ha fatto alcuno sconto ai Paesi ricchi e ha confermato che il protagonismo di un Paese che in anni di sviluppo straordinario è riuscito a far uscire dalla fame milioni di persone può cambiare la storia non solo del più grande Paese del Sud America. E sta infine anche in quei 6 milioni che ha messo in gioco Wen Jiabao, il premier cinese, per  in gioco il premier cinese per aprire un fondo di rotazione per programmi fondati sulla green economy.

Insomma, come ormai succede da tempo, il giudizio su un vertice internazionale non può che essere controverso e oscillante tra il pessimismo giustificato dall’impotenza in cui sembrano essere precipitati per sempre i meccanismi decisionali di questi multilaterali, e l’ottimismo testardo di chi rintraccia, nelle dichiarazioni dei leader e nei concreti cambiamenti in opera nell’economia di quasi tutte le aree del mondo, la strada da percorrere, fatta di efficienza energetica, energie rinnovabili, nuovi prodotti non più da fossili, lotta alla povertà e giustizia sociale. E allora le prossime ore a Rio forse non saranno utili per migliorare in extremis il documento con cui si chiuderà il vertice, ma con qualche fiducia possiamo pensare di raccogliere nuove e positive esperienze di un altro mondo possibile.

 

Qui la puntata precedente del diario da Rio+20.

Mercoledì prossimo, 27 giugno (ore 17,30), Francesco Ferrante parlerà di “RIO+20: quali i risultati raggiunti e quali le loro conseguenze?” nell’ambito delle “gocce di sostenibilità” la serie di videoclip realizzati da Kyoto Club e diffusi anche su YouTube.

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