Rinnovabili contro fossili, prime vittime nel termoelettrico?

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Tra recessione economica e concorrenza del fotovoltaico, la crisi del termoelettrico si fa sempre più grave. Ed ecco che tra gli impianti convenzionali in Italia sembra arrivino le prima vittime: si parla della chiusura di diversi impianti di Edipower. Tra quelli a rischio di chiusura la centrale a carbone di Brindisi, un impianto a olio e due a gas.

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Tra recessione economica, calo della domanda e impatto del fotovoltaico, la crisi del termoelettrico si fa sempre più grave. Ed ecco che tra gli impianti convenzionali in Italia sembra arrivino le prime vittime. Nei giorni scorsi Quotidiano Energia aveva annunciato che Edipower sta valutando se chiudere in tempi molto brevi – “questione di settimane” – due impianti a gas: il ciclo combinato da 1.770 MW di Turbigo (MI) e il turbogas da 1.179 MW di Chivasso (TO). Notizia smentita ieri dal presidente dell’azienda Roberto Garbati, senza però negare che la cosa sia possibile.

Oggi su un altro quotidiano online si legge invece lo scoop (probabilmente un po’ affrettato) della chiusura di due altri impianti del gruppo: la centrale a carbone da 640 MW di Brindisi e quella da 1.280 MW a olio combustibile di San Filippo del Mela (ME).

Entrambe le notizie – sottolineiamo – per ora non sono confermate, ma sono plausibili. I sindacati sentiti escludono che vi siano decisioni già prese ma ammettono che la possibilità delle chiusure esiste. “Edipower ha un debito di 5 miliardi e queste sono alcune delle ipotesi possibili per ovviarvi”, ci spiega Mauro Broi della Uilcem Uil e che le centrali di Brindisi e San Filippo del Mela siano a rischio ce lo conferma anche Mario Arca della Flaei Cisl. L’azienda, interpellata, dichiara invece di “non avere programmi in tal senso” e ribatte che il debito a fine 2011 era di 1 miliardo, non 5.

A mettere in difficoltà Edipower, come altri operatori dell’energia convenzionale, è la combinazione “micidiale” che si sta vivendo in questo periodo: domanda in calo a causa della crisi,  regolamentazioni ambientali che penalizzano le centrali più inquinanti e – infine – la concorrenza delle rinnovabili.

Le due centrali a gas stanno infatti soffrendo oltre che degli alti prezzi del combustibile, della concorrenza del fotovoltaico, di cui più volte abbiamo parlato (per esempio qui): durante il picco di domanda diurno, l’offerta sul mercato di energia da rinnovabili a costo marginale zero e con priorità di dispacciamento costringe spesso a tenere fermi gli impianti a gas, che così lavorano troppe poche ore e non riescono a recuperare i costi fissi.

Per gli impianti più inefficienti e inquinanti si aggiungono poi altri problemi: l’impianto di Brindisi, per esempio, ci spiega Arca, è in perdita principalmente per le normative ambientali, che impongono di usare un tipo di carbone più costoso, mentre a San Filippo del Mela la centrale a olio combustibile riesce a funzionare solo grazie ai prezzi alti del mercato elettrico zonale della Sicilia, mal collegata al Continente: “Una volta che si potenzierà l’elettrodotto tra Scilla e Cariddi, non avrebbe più senso”.

Insomma il termoelettrico se la sta vedendo brutta, tanto che anche i sindacati di recente hanno lanciato l’allarme (si veda la lettera al Governo, pdf). Quel che è cambiato nel sistema elettrico italiano lo spiega bene la società di consulenza Energy Advisors: “Sino a metà del 2008 Enel è riuscita a sostenere i prezzi e a garantire in tal modo ai suoi concorrenti, che avevano acquistato a caro prezzo le sue tre Genco (nelle quali avevano poi ancora investito per i repowering in cicli combinati), di salvare i propri conti. La crisi (…) ha messo fuori gioco la stessa possibilità di guidare i prezzi in una realtà nella quale l’overcapacity diventava il vero e unico driver. La caduta dei consumi in tutta l’area OCSE ha colpito anzitutto l’industria pesante, con una contrazione del base load e al tempo stesso l’esplosione delle rinnovabili e in specie del fotovoltaico è venuta a coprire la punta, acuendo le difficoltà per il termoelettrico soprattutto per i cicli combinati”.

Il differenziale sul mercato del giorno prima tra base load nell’ultima settimana di maggio, si fa notare, “si è ristretto a 0,27 €/MWh. In pratica non c’è più differenza di prezzo tra ore piene e ore vuote”. Un fenomeno che si sta manifestando anche in Europa (Qualenergia.it, Le complicazioni del kWh low-cost da rinnovabili)

Non è un caso che in diversi Paesi i proprietari degli impianti a gas stiano chiedendo soccorso e lo stiano anche ottenendo. Sia Gran Bretagna che Germania hanno in programma di introdurre il capacity payment, di cui si parla anche in Italia, cioè la remunerazione anche per la potenza di dispacciamento anziché per la sola produzione. Ma l’aiuto più clamoroso al gas è quello a livello europeo che rivela un documento ancora segreto svelato dal Guardian: gli 80 miliardi della UE per promuovere le rinnovabili potrebbero finire anche al gas.

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