Costi e benefici delle rinnovabili oltre i nuovi decreti

I benefici delle rinnovabili al 2030 supereranno i costi per 124-129 miliardi, dicono nuovi calcoli elaborati da Althesys. Ma come impatteranno le novità burocratiche relative a quinto conto energia e decreto elettriche sullo sviluppo del settore? E come dovrebbe essere il sistema incentivante per farci avere più vantaggi con meno spesa?

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I benefici delle rinnovabili al 2030 supereranno i costi per 124-129 miliardi, dicono nuovi calcoli elaborati da Althesys che vanno a integrare l’Irex Annual Report. Ma come si calcola il rapporto costi-benefici? E come dovrebbe essere il sistema incentivante per farci avere più vantaggi con meno spesa? Ne parliamo con il CEO della società di consulenza e docente universitario di Economia e Gestione dei Servizi Ambientali presso l’Università Bocconi, Alessandro Marangoni.

Professor Marangoni, alcuni giorni fa da Althesys siete usciti con un nuovo dato molto significativo, visto anche il dibattito in corso sui sistemi incentivanti, ossia che al 2030 le rinnovabili faranno guadagnare al sistema-Paese fino a 129 miliardi in più di quanto faranno spendere. Come si è arrivati a questa cifra, più alta di quella comunicata nel rapporto pubblicato poco più di un mese fa?

Abbiamo fatto una proiezione sul potenziale di sviluppo delle rinnovabili da qui al 2030. Dal punto di vista dei costi si sono considerati fondamentalmente gli oneri per gli incentivi e le spese per le infrastrutture, da quello dei benefici una serie di voci che vanno dagli effetti sull’occupazione, sulla riduzione della CO2, fino a considerare le varie ricadute sull’economia, per esempio l’incremento del Pil. Nella nuova stima la metodologia non è cambiata, è cambiato l’orizzonte temporale e il costo degli incentivi. I numeri comunicati nell’edizione precedente comprendono per così dire sia il futuro che il passato, dato che il conto parte dal 2008 e va fino al 2030. Vista la discussione ancora in corso sui sistemi incentivanti abbiamo voluto fare un altro calcolo per vedere quel che succederà solamente da oggi al 2030, senza tenere conto di quanto successo negli anni passati, ma considerando cosa potrà accadere dal 2013 anche in conseguenza dei nuovi incentivi per come si stanno profilando. I benefici netti come si vede sono molto più elevati rispetto all’altra stima perché, mentre le ricadute positive crescono, i costi delle rinnovabili sono in discesa: saranno sempre più competitive rispetto alle fossili, per il fotovoltaico per esempio assumiamo l’ipotesi che dal 2016 si sia in grid parity.

Sono calcoli molto complessi, immagino, dato che alcune voci sono difficili da quantificare in termini di ricaduta economica…

Si scontano le difficoltà intrinseche in ogni analisi costi-benefici. Ci troviamo a dover considerare voci facilmente quantificabili, come gli incentivi, e altre di più difficile quantificazione come per esempio i costi ambientali. Per quel che riguarda le ricadute occupazionali abbiamo considerato solo l’occupazione aggiuntiva, calcolando cioè anche i posti di lavoro che si perderanno in altri settori concorrenti, come nelle fossili.

Ma la politica, nel prendere decisioni, quanto peso dà a questo tipo di analisi?

Per quanto lo strumento possa essere imperfetto delle indicazioni le dà, nella maggior parte dei casi però quando si fanno le leggi non si fa una valutazione di impatto della normativa. Per altro c’è anche una norma dello Stato italiano che imporrebbe un’ “analisi dell’impatto della regolamentazione” ma è disattesa, rimasta sulla carta.

Come valuta l’impatto sull’economia italiana delle rinnovabili dei nuovi decreti e in particolare dei vincoli burocratici che introducono, come la contingentazione tramite i registri o il nuovo meccanismo delle aste?

Sulla questione dei registri avevo già dato il mio giudizio ben prima che arrivasse il richiamo di Oettinger (si veda qui, ndr): il nostro Paese ha bisogno di tutto fuorché di burocrazia. Se si vogliono contenere le spese per gli incentivi, cosa assolutamente legittima, o favorire alcune tecnologie rispetto ad altre, lo si poteva fare con altri strumenti come cap di spesa o rimodulazione degli incentivi. La questione delle aste è più complicata, un giudizio sensato si potrà dare solo quando saranno concretizzate. Sicuramente ci sono degli aspetti problematici: non ha senso che per partecipare all’asta il produttore debba già aver completato il procedimento autorizzativo.

Quanto stanno pesando sul settore i problemi di accesso al credito e che relazione hanno con burocrazia e incertezza normativa?

Il punto è centrale. Nelle nostre indagini abbiamo rilevato come, già prima di questa fase più acuta del credit crunch, una percentuale significativa di progetti venisse abbandonata perché non si riusciva a ottendere finanziamenti. E i problemi di accesso al credito non dipendono solo dalla circostanza economica, ma anche dalla stabilità e affidabilità del sistema di regolazione. Dalla nostra indagine dell’anno scorso – quando la situazione era certo meno critica di adesso – era emerso che il 46% dei finanziamenti richiesti veniva respinto per incertezze regolatorie. Un esempio è quanto sta succedendo adesso nell’eolico italiano: in questo ultimo periodo non si è riusciti a fare quasi nulla perché i progetti non si riescono a finanziare. E non si riescono a finanziare perché nessuna banca e nessun investitore è disposto a metterci dei quattrini senza sapere come funzioneranno le aste e dunque che remunerazione avrà l’investimento.

Incertezza normativa e procedure troppo complesse sono un costo quantificabile?

Non c’è dubbio che siano un costo. Nel nostro report di quest’anno abbiamo quantificato il peso economico del processo di permitting e degli oneri di sistema sul costo dell’energia da rinnovabili. Per esempio per il fotovoltaico in Italia questo costo nascosto pesa per l’8,4% del costo del MWh (LCOE, ndr) al Nord e per l’8,7% al Sud, quando in altri Paesi si ferma sotto il 2% e la media europea è del 5%.

Come vede il futuro prossimo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Italia?

Il settore ha ancora un buon potenziale, anche se penalizzato dalle novità normative. Uno degli aspetti per cui vedo grandi opportunità è per esempio nella convergenza tra energia rinnovabile e “intelligent energy” o efficienza energetica. In qualche modo le politiche si sono già mosse in quella direzione, per esempio favorendo il fotovoltaico laddove si integra con l’efficienza energetica o con la regolamentazione sui cosiddetti green building. Altro comparto, peraltro strettamente correlato, per cui vedo un grosso potenziale è quello dell’energia termica: qui c’è un grande potenziale in termini di crescita e risparmi. Si pensi per esempio al solare termico, tecnologia relativamente semplice, con filiera con buona partecipazione italiana, che però è ancora molto poco diffusa rispetto ad altri Paesi europei.

Come andrebbero rivisti i sistemi incentivanti per ottenere il miglior rapporto costi-benefici?

In generale bisogna pensare a dei meccanismi di sincronizzazione automatica delle tariffe rispetto alla tecnologia. La vicenda del fotovoltaico ci ha mostrato come non siamo stati capaci di modulare le tariffe al calare dei prezzi degli impianti. Servirebbe una legge che magari rimanga stabile per un buon numero di anni e che stabilisca che l’incentivo è agganciato in modo più o meno automatico all’andamento dei costi della tecnologia. Scendendo sullo specifico invece ritengo che bisognerebbe indirizzare di più gli sforzi in quelle aree in cui siamo ancora carenti, dunque rinnovabili termiche ed efficienza energetica, e in quelle dove sia maggiore il beneficio in termini di rapporto tra investimenti fatti e partecipazione di aziende italiane nelle filiere: penso per esempio alle biomasse, al solare termico e al solare a concentrazione.

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