Energie rinnovabili, l’Europa pensa al 2030

Con gli obiettivi 2020 ormai in vista e oltre quell'orizzonte solo indirizzi vaghi, i progressi dell'Europa su riduzione delle emissioni e sviluppo delle energie pulite rischiano di bloccarsi. E' arrivato il momento di tracciare un percorso concreto al 2030: la Commissione prova a delineare una strategia che dovrà che essere stabilita entro il 2014.

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Con gli obiettivi 2020 ormai in vista e oltre quell’orizzonte solo indirizzi vaghi, i progressi dell’Europa su riduzione delle emissioni e sviluppo delle energie pulite rischiano di bloccarsi. È arrivato il momento di tracciare un percorso concreto fino al 2030. Questo il punto centrale della comunicazione presentata ieri dalla Commissione europea “Renewable Energy: a major player in the European energy market”, che parla della strategia energetica che dovrà essere stabilita entro il 2014 (vedi allegati in fondo).

“Senza un quadro adeguato per le rinnovabili, il periodo successivo al 2020 registrerebbe un crollo della crescita del settore”, si legge nel documento. Come si procederà? Tre le opzioni proposte. Si potrebbero stabilire dei target 2030 su emissioni e rinnovabili a livello comunitario; definirli a livello nazionale; oppure, terza ipotesi, si potrebbe stabilire per il 2030 solo un obiettivo per la riduzione delle emissioni, a prescindere dai mezzi per ottenerlo e cioè lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Una proposta quest’ultima che avvantaggerebbe, rispetto alle rinnovabili, fonti convenzionali con meno emissioni delle altre, come nucleare e gas e che piacerebbe a Paesi come la Gran Bretagna, che – per riuscire a rimpiazzare le proprie centrali – ha già deciso di incentivare l’atomo come se fosse una fonte pulita.

Per favorire lo sviluppo delle rinnovaibili, nella visione del commissario all’Energia Günther Oettinger, un rilevante ruolo sembra avere la nota idea di realizzare grossi impianti delocalizzati, come il progetto Desertec per fare energia solare in Nord Africa o l’eolico off-shore nel Mare del Nord: occorre, spiega, “produrre energia eolica e solare dove sia sensato farlo da un punto di vista economico, commercializzandola poi in Europa come già facciamo per altri prodotti e servizi”.

Intanto sono diverse le aree in cui è necessario “intervenire in maniera più incisiva”: completare il mercato interno e affrontare il problema degli incentivi alla generazione, ricorrere maggiormente ai meccanismi di cooperazione contenuti nella Direttiva sulle rinnovabili, migliorare il quadro normativo per la cooperazione nel Mediterraneo per consentire all’Europa di importare energia da rinnovabili, assicurare che i regimi di sostegno incoraggino la riduzioni dei costi evitando sovracompensazioni e rafforzando però al contempo la coerenza dei regimi di sostegno negli Stati membri per evitare inutili ostacoli.

E qui arrivano le bacchettate che avevamo anticipato al quinto conto energia e al decreto rinnovabili elettriche del governo Monti. Si “deve evitare di creare incertezze che possono scoraggiare gli investimenti (…) come hanno fatto di recente alcuni Paesi con riforme che hanno causato problemi all’industria e agli investitori”, spiega uno dei documenti di lavoro pubblicati assieme alla comunicazione (vedi allegati). Il riferimento, oltre che alla Spagna per la “riduzione delle tariffe incentivanti in modo retroattivo” e l’“imposizione di una moratoria sui sostegni a tutte le fonti”, è ai due decreti italiani per “l’aggiunta al processo autorizzativo di complicate procedure di registrazione dei progetti”.

Interessante poi come un capitolo della comunicazione sia dedicato al capacity payment, cioè la remunerazione anche per la potenza di dispacciamento anziché per la sola produzione, un tema caldo per l’integrazione delle rinnovabili nel sistema elettrico. Come sappiamo sta succedendo in Italia e in Germania: impianti flessibili come i cicli combinati a gas, utili per compensare le rampe in discesa e salita della produzione non programmabile da rinnovabili, stanno lavorando praticamente in perdita a causa della concorrenza di queste stesse fonti e c’è chi pensa al capacity payment come strumento per mitigare questo problema: sia Gran Bretagna che Germania hanno in programma di introdurlo, seppur in forme ancora da definire.

Per la Commissione è “un approccio che può incoraggiare gli investimenti, ma anche separare le decisioni di investimento dai segnali di prezzo provenienti dal mercato”. Però se mal disegnato, il sistema di remunerazione della capacità, “potrebbe irrigidire la generazione frustrando l’introduzione di nuove forme di flessibilità” e “danneggiare la generazione distribuita aggregata, la risposta alla domanda e le aree di bilanciamento allargate”, oltre a minacciare di “segmentare i mercati nazionali, mettendo a rischio il commercio transfrontaliero”.

La comunicazione (pdf)

Il documento di lavoro (pdf)

La valutazione d’impatto (pdf)

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