Quelle potenzialità inespresse della geotermia italiana

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La geotermia italiana è stabile da tempo intorno ai 700-800 MW di potenza installata. Tuttavia grazie a nuove tecnologie potrebbe diventare una fonte rinnovabile importantissima, perché distribuita su quasi tutto il territorio e da sfruttare anche in aree abitate per fornire elettricità e calore proprio dove servono.

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Una Cenerentola si aggira nel mondo dell’energia in Italia: è la povera geotermia, inventata proprio in Italia nel 1904, ma di cui – nel turbine di discussioni su solare, eolico, carbone o nucleare – si parla pochissimo. Forse perché, a guardare le statistiche, è inchiodata ormai da decenni a 7-800 MW di potenza installata, tanto da far pensare che ormai si sia sfruttato tutto lo sfruttabile. «E invece non è affatto così, l’Italia ha una ricchezza geotermica molto più grande e diffusa», ribatte Giuseppe de Natale, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che ha organizzato, con la collega Claudia Troise e l’Università Partenope di Napoli, il convegno “Geotermia in aree urbane”, tenutosi a Napoli fra il 17 e il 19 maggio. L’abbiamo intervistato ai margini del convegno.

«I relatori del convegno, fra i massimi esperti del settore, sono venuti a mostrare come, usando nuove tecnologie, la geotermia potrebbe diventare una fonte rinnovabile importantissima per l’Italia, perché continua, economica, pulita, distribuita su quasi tutto il territorio e particolarmente adatta alle aree abitate, dove può fornire elettricità e calore proprio dove servono» prosegue de Natale.

Ma perché allora siamo fermi alle poche centrali di Larderello e Monte Amiata? «È difficile dirlo. Quello che è certo è che dopo lo shock petrolifero del 1973, Enel ed Eni fecero una ricognizione del territorio per individuare le risorse geotermiche e ne scoprirono di enormi, specialmente a nord di Napoli. Ma poi partì il programma nucleare, il petrolio crollò di prezzo e la geotermia, in pratica, è stata quasi dimenticata. Ma che le potenzialità esistano lo dimostra il fatto che appena il settore è stato liberalizzato, nel 2010, si sono subito avute oltre 100 domande per progetti geotermici da parte di privati». 

Viste le proteste per le emissioni inquinanti delle centrali geotermiche dell’Amiata, come si può pensare di mettere impianti di questo tipo nelle città? «Ri-pompando dopo l’uso nel sottosuolo tutto quello che viene estratto. Praticamente tutti gli impianti moderni fanno così. Per fare un esempio di impianto assolutamente eco-compatibile, in Austria, nella cittadina di Altheim, hanno perforato un pozzo profondo 3000 metri per prelevare acqua a 106 °C; la usano per produrre elettricità, con un sistema binario, che impiega un fluido a basso punto di ebollizione, e calore per riscaldamento. Dopo essere stati usati, acqua e gas sono completamente reiniettati nel sottosuolo, evitando ogni tipo di emissione. La centrale è in un normale capannone, in mezzo alle case, e non genera alcun fastidio. Ora, in tante parti d’Italia, un fluido geotermico a temperature ben più alte si trova molto più vicino alla superficie che in Austria. Nei Campi Flegrei, dove queste temperature si trovano anche a 20 metri di profondità, con quella risorsa potremmo soddisfare le esigenze di riscaldamento di tutta la città di Napoli, invece non la sfruttiamo affatto».

Però l’acqua sotto i 150 °C  non è molto adatta per la produzione elettrica, il rendimento dei sistemi binari è infatti piuttosto basso. «Certo, ma visto che il fluido è praticamente gratis, il rendimento conta fino a un certo punto, un po’ come nel caso del fotovoltaico. Comunque nella stessa area di Pozzuoli, come in molte altre parti d’Italia, se si scende un po’ di più si trovano fluidi a temperature molto più alte; a 3000 metri si incontrano rocce e fluidi supercritici a 300-500 °C, utilizzabili per produrre elettricità con altissimi rendimenti. In Islanda stanno già facendo funzionare un sistema geotermico alimentato da una bolla di magma fuso, iniettandovi acqua ed estraendo vapore surriscaldato: quel solo pozzo ha una potenza di 40 MW, un ventesimo di tutta la geotermia italiana attuale. Sfruttando al meglio le nuove tecnologie a ciclo chiuso ed emissioni nulle potremmo costruire una rete di piccole e medie centrali geotermiche a bassissimo impatto ambientale, che producano elettricità e calore nella stessa zona di consumo».  E sono allo studio in varie parti del mondo tecnologie di perforazione orizzontale anche più futuristiche, fratturazione delle rocce e introduzione nei pozzi di scambiatori di calore, che consentiranno di sfruttare le rocce calde e secche, moltiplicando di molto le potenzialità geotermiche.

Limitandoci al presente, che contributo potrebbe dare complessivamente questa rinascita geotermica in Italia? «Considerando solo le risorse conosciute e le tecnologie già in uso, di cui l’Italia è fra i maggiori produttori, si stima che si possa arrivare a oltre 5 GW elettrici, che corrispondono al 10% del fabbisogno nazionale. E sono GW particolarmente preziosi, perché in grado di funzionare alla massima potenza per circa 8.000 ore l’anno, contro le 1.300 del fotovoltaico, quindi perfetti per compensare risorse intermittenti come sole e vento. Inoltre non bisogna dimenticarsi della produzione di acqua calda per case e industrie. A Ferrara con l’acqua sotterranea a 90 °C, scalderanno il 40% della città».

Ma con la liberalizzazione del settore, non si rischia di passare dalla stasi a un Far West in cui si inseriscono imprenditori impreparati? «Il rischio esiste, perché la geotermia non è una fonte facile da sfruttare, servono competenze molto specialistiche e si lavora con temperature e pressioni molto alte – conclude de Natale. – Bisogna quindi che ci sia un’autorità tecnica che offra consulenza e monitoraggio a questi nuovi operatori, sia per aiutarli, che per evitare che provochino incidenti. Unendo le competenze di enti scientifici come INGV, ISPRA , ENEA o CNR, l’amministrazione pubblica potrebbe creare un’agenzia specializzata che, aiutando i privati a sfruttare questa fonte, reperisca anche preziose risorse per la ricerca scientifica». 

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