La stampa italiana all’attacco delle rinnovabili. La risposta di APER

  • 3 Aprile 2012

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Nei giorni scorsi, con pochissime eccezioni, i quotidiani italiani hanno attribuito la responsabilità del caro bollette esclusivamente al costo degli incentivi per le fonti rinnovabili, in un'analisi fin troppo manichea. Oggi APER, l'associazione produttori di fonti rinnovabili, ha risposto inviando ai direttori dei giornali una lettera aperta.

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Nei giorni scorsi, con pochissime eccezioni, i quotidiani italiani hanno attribuito la responsabilità del caro bollette esclusivamente al costo degli incentivi per le fonti rinnovabili, in un’analisi fin troppo manichea. Oggi APER, l’associazione produttori di fonti rinnovabili, ha risposto inviando ai direttori dei giornali una lettera aperta, a firma del presidente Agostino Re Rebaudengo, che pubblichiamo qui di seguito.

Gentile Direttore,

le polemiche sul prezzo dell’elettricità di questi giorni,  con  i  conseguenti  attacchi  alle  fonti  d’energia rinnovabili  (FER)  pubblicate  sul  Suo  quotidiano,  appaiono  strumentali  a  un  disegno  che  vorrebbe consegnare il futuro del Paese alle fonti fossili e alla generazione centralizzata, in un’ottica miope e di breve periodo. É assolutamente riduttivo, infatti, che si continui a sostenere che l’aumento annunciato dall’AEEG lo scorso 30 marzo sia dovuto allo sviluppo delle rinnovabili, visto che il 70% dell’energia elettrica  in Italia è prodotta dal gas che paghiamo circa il  30%  in  più  rispetto  alla  media  europea.

Nessuno  però sembra indignarsi di ciò e dell’ulteriore aumento annunciato  dall’AEEG di  ancora un altro 1,8%. Perche?! 

Non possiamo neanche dimenticare che il principale meccanismo di sostegno delle FER, basato sul mercato dei  certificati  verdi,  è stato  negli ultimi anni  fortemente  viziato  da  vere  e  proprie  rendite  di posizione che ne hanno decretato la morte. Si  pensi  a  quei produttori da  fonte fossile che hanno beneficiato dell’esenzione dall’acquisto  dei certificati, o a molti grandi consumatori industriali  che ottengono  ancora  oggi  remunerazione  per  il  servizio  di  interrompibilità  che quasi mai  eseguono,  a spese delle bollette elettriche delle famiglie e delle PMI.

Allo stesso modo non è accettabile che debbano essere i produttori di energia pulita a dover pagare per  gli  investimenti  fatti  in  nuove  centrali  alimentate  a  fonti  fossili,  in  modo  dissennato,  senza  che fossero considerati dati sui consumi di energia elettrica e gli obiettivi  europei al 2020 per le energie rinnovabili.  

La  sovraccapacità  produttiva  di  energia  elettrica  da  fonti  fossili  non  può  portare  né  al  blocco  dello sviluppo della green economy né al  riconoscimento del “capacity payment” che altro non sarebbe se non una ingiusta corresponsione di denaro a chi ha investito in centrali inutili.   

Ciò che pesa sulla nostra “bolletta elettrica” non è tanto il sostegno alle fonti rinnovabili, quanto altre voci  di costo raramente sul  banco degli imputati.  Ricordiamo  ad  esempio  il  famoso  CIP6,    grazie  al quale  le  famiglie  italiane  continuano  a  regalare  da  oltre  20  anni  decine  di  miliardi  di  euro  alle cosiddette  “fonti  assimilate  alle  rinnovabili”:  dall’incenerimento  dei  rifiuti  urbani,  agli  scarti  della raffinazione  del  petrolio.  In  sintesi  nulla  di  più  lontano  dalle  rinnovabili  vere  e  proprie!  O  ancora,  il costo  del  decomissioning  delle  centrali  nucleari  che,  a  distanza  di  ben  25  anni  dal  “no” referendario del 1986, continua a pesare sulla bolletta elettrica e ammonta oggi a circa 19 miliardi di euro.

Questi sono  alcuni  dei  numerosi  falsi  miti  che  APER  si  è  proposta  di sfatare  con  il  dossier  “Energie senza bugie”, scaricabile dal nostro sito www.aper.it

Se  infatti  è  giusto  riconoscere  che  in  alcuni  momenti  in  passato  gli  incentivi  allo  sviluppo  delle rinnovabili,  sono  forse  stati  superiori  al  dovuto,  è  giusto  ricordare  che  probabilmente  senza  di  essi  l’Italia  non  sarebbe  stata  in  grado  di  recuperare  il  gap  con  le  altre  potenze  occidentali  e  sviluppare tecnologie e occupazione. 

Bloccare oggi il settore porterebbe a una nuova emarginazione del nostro paese rispetto alle politiche europea  e  sarebbe  il  segnale  che  stiamo  nuovamente  adottando  una  strategia  autolesionista, rinunciando  alla  possibilità  di  essere  capofila  nello  sviluppo  delle  tecnologie  verdi.  In  questo  modo sceglieremmo  di  rinnegare  la  strada  imboccata  che  ci  porterebbe  verso  l’indipendenza  energetica (dalle  fonti  fossili  e  soprattutto  dagli  approvvigionamenti  esteri)  e  la  significativa  creazione  di  nuovi posti di lavoro qualificati.

Il Ministro Clini ha recentemente affermato che chi vuole “tagliare” le rinnovabili non tiene conto di tre fattori  fondamentali:  le  direttive  europee  che  dobbiamo  rispettare  pena  sanzioni;  l’orientamento  del mercato internazionale che nel 2011 ha investito nelle rinnovabili 260 miliardi di dollari; i benefici che derivano  alle  casse  pubbliche  proprio  dallo  sviluppo  dell’energia  pulita.  Non  si  possono  sottolineare solo i costi delle rinnovabili e ignorare i vantaggi in termini di incremento del PIL, l’aumento del gettito fiscale,  la  diminuzione  del  picco  diurno  della  domanda,  la  maggiore  occupazione,  il  miglioramento della bilancia commerciale per le mancate importazioni dei combustibili fossili. 

Quanto  espresso  dal  Ministro  è  ben  documentato  nello  studio  di  OIR  –  AGICI,  condotto  dal  Prof. Andrea  Gilardoni,  dell’Università  Bocconi,  dal  quale  emerge    che  i  benefici economici  legati  allo sviluppo  delle  fonti  rinnovabili  (senza  tenere  conto  di  quelli  ambientali  e  di  quelli  per  la  salute), attualizzati ad oggi, sono di 76 miliardi di euro. Inoltre, se non verrà fermato lo sviluppo, l’occupazione passerà  dagli  attuali 130.000  occupati  a  266.000 nel  2020.  Il  settore  è  vitale  anche  per  le esportazioni  di  tecnologia,  lo  studio  stima  infatti  che  il  saldo  netto  dell’import/export  della componentistica  per  gli  impianti  FER,  passerà  dai  614  milioni  di  euro  nel  2012  a  4.667  milioni  nel 2020. Questi i dati!  

Nei prossimi giorni il Governo dovrà decidere le sorti del nostro settore: crediamo fermamente che la gran parte degli  Italiani si  augura  che  la  “partita  non  sia  ancora  terminata”  e  che  l’Italia  decida  di continuare ad essere protagonista nell’industria pulita delle energie rinnovabili.  

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