L’interessante partita sulle termiche e la biomassa

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Il Piano di Azione Nazionale sulle rinnovabili al 2020 è fatto su numeri "falsi". L'obiettivo sulle biomasse per esempio è già stato superato da tempo dalla realtà. Le biomasse termiche sono “un pianeta dimenticato” che però può fare molto per il Paese. Si spera nel nuovo decreto per gli incentivi alle rinnovabili termiche.

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“Quello che è successo in questi ultimi due anni ci obbliga a rivedere delle linee di sviluppo per le rinnovabili. A partire dal mondo delle Associazioni, e parlo anche di noi, che sono state incapaci a elaborare una strategia comune. Ognuno di noi si porta avanti il proprio carretto, la propria area di intervento”, questo è stato lo sfogo un po’ amaro di Marino Berton, presidente di AIEL, Associazione Italiana Energie Agroforestali nel recente convegno organizzato da Kyoto Club e GSE sugli incentivi alle rinnovabili.

Il fatto di non avere tutto il settore delle rinnovabili compatto di fronte alla definizione del Piano di Azione Nazionale (PAN) al 2020, ma ogni comparto che si muove in modo isolato, pensando di strappare qualche opportunità in più, certamente non è positivo per il mondo delle energie pulite.

“Il PAN è saltato. Dentro ci sono tutti i numeri falsi, quelli veri sono altri. Il problema però è che questi numeri non ci sono ancora”, ha spiegano Berton. Fonti MiSE in questi giorni ci dicono, ma il dato andrebbe verificato con cautela, che siamo arrivati oggi a 94 TWh da rinnovabili elettriche. Altre fonti parlano di 80-81 TWh. Sulle rinnovabili termiche l’obiettivo di 5,6 Mtep sulle biomasse è fuori target visto che siamo già oggi a 6,2 Mtep. Anche sul fotovoltaico i numeri sono da cambiare (8 GW al 2020, quando oggi abbiamo superato 13 GW).

“Siamo in ritardo con l’aggiornamento del PAN, mentre 7 Paesi UE lo hanno già fatto. Questa è un’occasione importante per rimettere in ordine questi numeri che sono poi connessi ovviamente anche con la relativa spesa per le rinnovabili”, dice il presidente AIEL pensando anche  ai costi per la collettività da considerare per il settore. “Le associazioni non possono solo tirare la giacca dei ministeri per fare specifiche richieste, ma oggi devono avere la capacità di costruire un’altra proposta”, spiega Berton.

E sull’obiettivo del 17% al 2020? “Dobbiamo dire che questo target, e come si compone, ci va stretto. Una strategia per il 30% al 2030 andrebbe definita già ora”. Nel rinegoziare una strategia di spesa per le rinnovabili tutto il settore dovrà mettere sul piatto i veri numeri, i costi e i benefici, che potranno emergere dal target e dagli incentivi destinati alle diverse tecnologie.

Ma entrando nello specifico delle rinnovabili termiche, sappiamo che le risorse economiche impegnate in questi comparti potranno dare un buon risultato dal punto di vista dell’obiettivo finale. Purtroppo poco si sta discutendo del decreto attuativo per le termiche, soprattutto per gli incentivi ai piccoli impianti fino a 500 kW termici.

“C’è un pianeta dimenticato delle piccole rinnovabili termiche. Oggi l’Italia è il primo consumatore europeo di pellet con 2 milioni di tonnellate. Il 50% degli apparecchi funzionanti a pellet in Europa è italiano. In Italia ci sono quasi 1 milione e mezzo di apparecchi a pellet su scala domestica, con livelli di rendimento quasi del 95%, sotto 20 mg al metro cubo di emissioni, possibilità di modulare la potenza come una caldaia a gas. Il settore ha un fatturato in Italia di oltre 5 miliardi all’anno e occupa almeno 36mila addetti. Tutte opportunità da cogliere”, ha detto Berton, aggiungendo che sarebbe interessante se la bozza di decreto in itinere per le termiche passasse, perché segue tre principi per l’erogazione dell’incentivo: a) maggiore efficienza di rendimento e di abbattimento delle emissioni; b) obbligo della certificazione dei combustibili solidi. La standardizzazione come elemento indispensabile; c) manutenzione obbligatoria annuale degli apparecchi (si veda Qualenergia.it, Il conto energia che rilancia le biomasse termiche).

Il risultato in effetti potrebbe essere la sostituzione di un parco obsoleto di apparecchi a legna con macchine molto più efficienti e al tempo stesso si avrebbe anche un chiaro e decisivo contributo all’obiettivo europeo.

Le cifre in gioco per le rinnovabili termiche sono veramente piccole, se pensiamo che noi stiamo chiedendo 8 € a MWt, mentre i ministeri stanno offrendo 5”, ha detto il presidente AIEL.

Un altro aspetto fondamentale è quello di poter gestire quei 10 milioni di ettari di foreste e boschi che si stanno deteriorando. La superficie forestale italiana è raddoppiata in 50 anni, ma mancano politiche attive e win-win per mantenere questo patrimonio, anche a livello occupazione.

L’AIEL non dimentica poi l’obiettivo del 10% di rinnovabili per i trasporti. “L’unica strada su cui potremmo contare senza dover importare biodiesel è il biometano, cioè il biogas depurato dalla CO2. In uno studio recente abbiamo stimato che è possibile produrre almeno 8 miliardi di m3. Ma le regole tardano. L’Autorità deve sbloccare specifiche tecniche per immettere il biometano in rete e definire il giusto sistema incentivante”, conclude Berton.

FIPER, associazione costituita da imprese con 78 impianti di teleriscaldamento a biomassa, di cui 5 cogenerativi, in uno studio recente ha valutato che ci sono circa 801 piccoli Comuni non ancora metanizzati nelle fasce climatiche più fredde (zone E – F), quindi potenzialmente interessati a sviluppare impianti di teleriscaldamento a biomassa, con ottime ricadute sul territorio.

Se in Italia si dovessero realizzare 400 piccoli impianti di teleriscaldamento a biomassa (cogenerativi), su filiera corta (circa 3-6 milioni di tonnellate), della potenza di 5/10 MW termici e 0,5/1 MW elettrici si potrebbe ottenere una potenza termica disponibile da 1.000 a 1.500 MW termici e una potenza elettrica disponibile da 200 a 400 MW elettrici. Il valore degli investimenti si aggirerebbe tra 2,5 a 4 miliardi di €.  

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