Dove si annidano i maggiori costi dell’elettricità?

E’ un luogo comune che il kWh in Italia costi tanto solo a causa degli incentivi per le rinnovabili. Meglio vedere quanto incide il costo del gas per i produttori di elettricità e limare altri oneri di sistema. A dirlo è uno dei più importanti operatori dei cicli combinati, Massimo Orlandi, a.d. di Sorgenia, intervistato da Qualenergia.it.

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“È un falso che il kWh elettrico in Italia costa tanto perché i produttori di energia elettrica guadagnano troppo. È un luogo comune. Una balla. Inoltre va esaminato con attenzione il vero peso in bolletta attribuito agli incentivi alle rinnovabili”. Intervistato da Qualenergia.it, Massimo Orlandi, amministratore di Sorgenia, è netto e ci parla di un sistema elettrico nazionale piuttosto imperfetto, se proprio vogliamo usare un eufemismo. Vogliamo capirci un po’ di più nella diatriba sull’elevato costo dell’energia elettrica, dove l’unico imputato alla sbarra in questo momento sembrano solo le fonti pulite. E poiché le rinnovabili stanno facendo concorrenza alla produzione di elettricità da fonti convenzionali e soprattutto al gas, vale la pena conoscere il parere di un importante operatore proprio di questo settore, come Sorgenia.

Orlandi, qual è la sua teoria su questa querelle? Iniziamo dal peso in bolletta degli incentivi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Spesso il confronto sui prezzi dell’elettricità lo facciamo con la Germania, così come il paragone con i costi per le rinnovabili che in quel Paese hanno visto uno sviluppo importante. Nel 2010 i tedeschi hanno incentivato 90 miliardi di kWh di rinnovabili, sostenendo un costo sulla bolletta pari a 13 miliardi di euro. In Italia nello stesso anno l’incentivo per tutte le rinnovabili era sui 7-7,5 miliardi. Visto che in Germania i consumi sono il doppio dei nostri, si desume che i tedeschi hanno pagato circa 22 €/MWh in più per gli oneri di sistema, che si possono commisurare con un costo dell’elettricità all’ingrosso sulla Borsa elettrica che all’epoca era intorno ai 50 €/MWh. Quindi si tratta di un considerevole incremento di costo. Ma i tedeschi, che sono bravi a programmare lo sviluppo del loro settore delle rinnovabili, hanno stimato che il nuovo piano per le rinnovabili consentirà al 2015 una produzione di 115 miliardi di kWh con un finanziamento necessario di 21 miliardi di euro che, su un’ipotesi di consumo di circa 600 TWh, avrà un’incidenza di quasi 35 € a MWh. Se torniamo a oggi vedremmo che anche in Italia nel 2010 il peso delle rinnovabili è intorno ai 22-23 €/MWh. Anche se va detto che loro, con le stesse risorse, riescono a incentivare una produzione maggiore, perché sanno seguire meglio i segnali che vengono dal mercato.

Dunque, abbiamo sulle bollette un peso importante per gli incentivi alle fonti rinnovabili, ma del tutto simile a quello tedesco?

Certo, e in questi anni si è capito con sorpresa che l’Italia sta acquisendo una formidabile cultura e una speciale inclinazione per lo sviluppo delle rinnovabili, specialmente per l’autoproduzione. Un patrimonio che ritengo vada difeso, anche se con giudizio e senza eccessi.

Passiamo alla questione della produzione elettrica da gas. Perché i cicli combinati stanno lavorando così poco rispetto al previsto? Dipende solo dalla concorrenza delle rinnovabili?

Ricordo che solo qualche anno fa si diceva che il prezzo dell’energia elettrica era maggiore del 30% rispetto, per esempio, alla Germania o alla media UE per il semplice fatto che i produttori di energia elettrica ci guadagnavano troppo. Anche a suo tempo questo poteva essere definito un luogo comune. Oggi di certo non guadagnano più, visto che i cicli combinati riescono a produrre per sole 2.500 ore all’anno. Il vero motivo è che il prezzo del gas è troppo elevato rispetto ai prezzi sul mercato elettrico e non c’è più quel giusto margine per potere generare elettricità. Quindi per molte ore della giornata per un operatore del settore è molto più conveniente comprare energia elettrica sulla Borsa che produrla. Ricordo, peraltro, che quello dell’energia è l’unico comparto industriale italiano nel quale gli operatori hanno un’addizionale aggiuntiva del 10% rappresentata dalla Robin Tax.

In alcune delle ore del giorno il cosiddetto ‘spark spread’, cioè la differenza fra il prezzo di mercato dell’elettricità e il suo prezzo di produzione, è anche inferiore ai 5 €/MWh.

È così e questo dato sintetizza che oggi se un kWh italiano costa tra il 25 e il 30% in più di uno tedesco non è a causa del fatto che i produttori si vogliono arricchire. Anzi tutti sono in  sofferenza. L’altro luogo comune è che l’elettricità costa tanto perché paghiamo troppo per le rinnovabili. Abbiamo visto che le cifre sono paragonabili con quelle che pagano i tedeschi.

Allora quali sono le variabili che incidono veramente oggi sul prezzo dell’elettricità in Italia?

L’Autorità in un recente documento ha spiegato che il differenziale di prezzo in Borsa tra MWh elettrico italiano e tedesco è dell’ordine di 20 € circa, una cifra enorme, e guarda caso molto simile al contributo connesso con le rinnovabili, come abbiamo detto prima. E ciò potrebbe generare anche alcune malignità. Ma vediamo dove si nasconde questo gap. Di questi 20 €, circa 5,6 €/MWh sono legati al sistema dei certificati verdi che aggiunge un costo variabile alla produzione termica, cioè la produzione marginale. Con un sistema di incentivazione per le rinnovabili tutto spostato sulle tariffe fisse, eliminando quindi i CV, soluzione già prevista e che forse avremmo dovuto realizzare prima, questa quota di 5,6 € sparirebbe. Ma l’aspetto chiave, dice l’Autorità, è che se in Italia potessimo comprare il gas per l’uso in centrale allo stesso prezzo di un produttore tedesco questo differenziale si ridurrebbe ulteriormente di altri 10 €/MWh. E sottolineo 10 €, anche se nei miei calcoli si arriva anche a 12. Ma anche accettando il calcolo della Autorità, significa che tutta la parte del surplus legato al resto, cioè all’effetto dato dal mix energetico del Paese, varrebbe appena circa 4 €/MWh. All’interno di questa ultima cifra, solamente per la questione della ‘congestione della rete’, si stima un aggravio di 2 €/MWh. Forse se avessimo gli elettrodotti che servono per eliminare i colli di bottiglia un MWh costerebbe appunto 2 euro in meno, come insiste a dire il Gestore del Mercato Elettrico.

Allora ricapitoliamo: 5,6 €/MWh per i CV, 10 € a causa del prezzo del gas e, infine, scorporando anche il peso economico connesso alla nostra rete, l’effetto mix, rinnovabili incluse, sul quel differenziale di 20 € sembra contare ben poco

Alla luce di questi dati, direi 2 o al massimo 3 euro per megawattora. Direi proprio che il peso delle rinnovabili va a incidere veramente poco. La verità è che dobbiamo abbassare sul mercato interno il prezzo del gas per le centrali. Se il prezzo del gas fosse più o meno uniforme su tutto il territorio europeo, così come la Direttiva europea ci chiede, non avremmo questo grande differenziale dei prezzi dell’elettricità con altri Paesi, anche se, dobbiamo ammetterlo, per i kWh prodotti da rinnovabili paghiamo più degli altri. Tuttavia in termini di incidenza in bolletta siamo lì. Non dimentichiamo che il cliente finale paga l’energia all’ingrosso più il trasporto, la distribuzione, oneri di sistema vari, non rappresentati solo dalle rinnovabili e, infine, le accise. Serve un’analisi più profonda e seria per capire dove si cela questo differenziale di prezzo con la UE o la Germania.

Visto che è il prezzo del gas a incidere così tanto, ci spieghi perché il gas costa di più in Italia

Perché il mercato libero del gas ancora non funziona bene. L’Italia presenta l’anomalia per cui il prezzo del gas aumenta all’aumentare dei volumi forniti.  Se un sito, come una centrale che consuma circa 300-400 milioni di m3 di gas, paga il gas 4-6 centesimi di euro in più a metro cubo rispetto, per esempio, a una società che acquista un ventesimo o un trentesimo del quantitativo di una centrale, secondo me non ha logica a livello economico.  

Cosa si dovrebbe fare allora?

Per prima cosa bisogna far funzionare il mercato del gas in Italia e quindi riuscire ad azzerare il differenziale del costo del gas per la produzione elettrica rispetto agli altri Paesi. Poi bisogna eliminare altre inefficienze, anche a valle del prezzo di Borsa. Ci può anche stare un maggiore costo in Italia relativo alla trasmissione, legato forse alla conformazione del Paese, e magari quantificabile in 2 o 3 €/MWh. Basterebbe ammetterlo. Ma le altre cause vanno affrontate seriamente.

Per un piano energetico nazionale, lei sembra vedere bene un mix di gas e rinnovabili?

Se un Paese come l’Italia decide di far aumentare la quota di rinnovabili, a scenari tecnologici attuali, ha un’unica alternativa seria: affiancargli un forte uso dei cicli combinati a gas. Innanzitutto per un motivo tecnico, visto che siamo di fronte a tecnologie flessibili che possono essere chiamate a operare quando servono e a costi accettabili. Oggi un ciclo combinato è capace di cambiare carico di 30 MW al minuto.

E gli accumuli su cui si vorrebbe puntare?

Se parliamo di accumuli che servono per regolare la rete di trasporto nazionale ritengo che siano soluzioni inutili e antieconomiche, che andranno a incidere pesantemente sui costi di sistema, anche a scapito delle rinnovabili. Può essere una soluzione solo per alcune aree marginali della rete. Cosa diversa è invece la gestione intelligente della distribuzione. Ma la ricetta per l’Italia è fare elettrodotti efficienti e senza colli di bottiglia. La capacità nazionale di 40 GW di cicli combinati è in grado di sopperire a qualsiasi variabilità non prevista, anche con volumi di produzione da rinnovabili molto più ampi di quelli attuali.

Conviene ancora investire in nuovi impianti a ciclo combinato?

No, non certo adesso. La capacità oggi è più che abbondante. Direi no, a meno che non cambino notevolmente gli scenari sul mercato elettrico europeo. Altri Paesi potrebbero richiedere elettricità. Pensiamo solo alle possibili future necessità della Francia. E poi non dimentichiamo mai che ogni anno dobbiamo importare 45-50 TWh, un bella fetta di quanto consumiamo.

Alcune considerazioni emergono alla luce di queste dichiarazioni di Massimo Orlandi. E più di qualche dubbio viene a galla. Perché i produttori di elettricità pagano più caro il gas, cioè più di cittadini, imprese e della categoria degli ‘energivori’? Quel divario di circa 4-6 centesimi di euro per metro cubo venduto ai produttori del gas permette sicuramente un buon guadagno per l’ENI. E ancora. Un prezzo più elevato dell’elettricità, legato per almeno il 50% al prezzo del gas, non può dare un significativo surplus soprattutto all’Enel che nel suo parco di produzione elettrica ha solo il 20-25% di centrali a ciclo combinato? Se questo è vero, quanto ci rimettono i consumatori di energia elettrica, che tutti con grande solerzia vogliono proteggere dagli eccessivi, dicono, costi delle rinnovabili?

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