Economia verde vs politiche di austerità di bilancio

Puntare solo su politiche di austerità di bilancio e riforme strutturali non creerà occupazione, non risanerà la finanza pubblica, non getterà le basi per una prosperità durevole. E' l’investimento nell’economia verde che ha la potenzialità per ricomporre questi imperativi. A dirlo sono tre celebri economisti non appiattiti sul pensiero unico europeo.

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Argomento del giorno in Italia è la riforma del mercato del lavoro. Un tassello fondamentale di un sistema economico moderno. Certo, ma come non pensare che sia un aspetto che potrà avere un respiro molto corto se slegato da una seria e lungimirante politica di rilancio dell’economia e su nuove basi che chiameremo genericamente ‘ecologiche’. Chi decide oggi non può più avere un approccio puramente liberista, cioè “ci penserà il mercato” o ‘keynesiano spinto’, del tipo “ben vengano le grandi opere purché diano lavoro, sulla loro utilità ci penseremo più avanti”. Nel nostro Paese abbiamo ‘fior di pensatori’ e purtroppo ‘decisori’ di questo tipo ai quali stiamo dando in mano il nostro futuro. Quello che si richiede ora, dopo le politiche di austerità, è di adottare una strategia più complessa e capace finalmente di guardare oltre le prossime elezioni.

“Puntare tutto sull’austerità e sulle riforme strutturali non permetterà di creare occupazione, né di risanare la finanza pubblica, né di gettare le basi per una prosperità durevole. Invece  l’investimento nell’economia verde ha la potenzialità di ricomporre questi imperativi su orizzonti temporali differenti”. Non lo dice un gruppo ambientalista d’assalto, ma tre autorevoli figure dell’economia europea: Nicholas Stern, della London School of Economics (autore del famoso Rapporto Stern del 2006), Laurence Tubiana, direttrice dell’Institut du développement durable e des relations internationales e professoressa a Sciences Po e Teresa Ribeira, ex segretaria di Stato spagnola incaricata del cambiamento climatico. Un breve, quanto interessante articolo apparso su Le Monde del 2 marzo che critica con forza la risposta dell’Europa alla crisi. Una risposta incentrata esclusivamente sull’austerità di bilancio, incapace di rivedere il modello della sua economia ormai in parte vecchio sia nelle tipologie produttive che nelle infrastrutture.

Lo stretto legame tra crisi e rialzo dei prezzi delle risorse è messo in luce da questo articolo, che spiega come l’Europa (a maggior ragione l’Italia) è  il primo importatore netto di materie prime per abitante e, per questo, estremamente vulnerabile agli shock sui mercati mondiali. Quei Paesi che non erano attrezzati a superare i picchi dei prezzi delle risorse, al fine di mantenere la loro crescita, hanno visto aumentare i loro deficit commerciali e il debito privato e pubblico.

Per gli autori è arrivato dunque il momento di investire nell’utilizzo efficiente delle risorse, l’unico motore per la competitività e la resilienza economica di domani. Nessun altro settore come la “green economy”, spiegano gli autori, è in grado di dare una spinta su grande scala allo sviluppo e, al tempo stesso, ha tali caratteristiche di opportunità e necessità.

Cosa si propone? Servono iniziative pubbliche per rimediare al cattivo funzionamento del mercato e per attivare investimenti importanti nell’infrastruttura verde, magari creando un fondo europeo ad hoc, garantito da entrate provenienti da una tassa sulle transazioni finanziarie o dai proventi del mercato del carbonio. Altro aspetto chiave è una riforma fiscale ecologica che può consentire il risanamento dei conti pubblici, evitando di comprimere la domanda e creare tumulti sociali. Un’opzione più volte proposta da diversi esperti dell’economia ambientalista, come l’americano Lester Brown: trasferire gli eccessivi prelievi fiscali sul lavoro verso i consumi di risorse scarsamente tassate. Una strategia in grado di incrementare l’occupazione, conservando il potere d’acquisto dei salari e creando un circolo economico virtuoso.

Il concetto di sviluppo (meglio di quello di crescita) di lungo periodo e di resilienza agli shock energetici richiede soprattutto innovazione nelle tecnologie verdi. Ed è in questo ambito che le autorità politiche e imprenditoriali del Vecchio Continente dovranno muoversi, più che sulla riduzione dei prezzi in competizione con i Paesi emergenti. Qui il budget dell’Unione Europea deve venire in aiuto delle industrie più innovatrici, in grado di diffondere su scala continentale le ricadute e i maggiori benefici delle loro attività.

Mi piace qui segnalare una visione sicuramente più filosofica, ma che cerca ugualmente di rispondere al quesito del nostro tempo: come sopravvivere alla crisi economica, ecologica, sociale e politica che stiamo vivendo. È quella di Edgar Morin, 91 anni, sociologo del “pensiero complesso”, autore del recente saggio “La Via” (Raffaello Cortina editore) che parla di necessaria trasformazione della società e sostiene che la via da seguire è una vera ‘metamorfosi’, che deve iniziare tracciando “un percorso al contempo utopico e realistico per invertire la tendenza di un’economia senza regole che distrugge il Pianeta”. Morin spiega che questo processo è già presente in tantissime iniziative locali, che devono essere ora federate per creare una massa critica irreversibile. “All’origine dei grandi cambiamenti ci sono sempre le singole azioni”, dice, aggiungendo che trasformazioni e metamorfosi non sono follie, perché si sono già verificate più volte nella storia dell’umanità, come nella preistoria e nel medioevo.

Torniamo infine a quei “professori” dell’articolo di Le Monde (e chissà perché vengono in mente i nostri al Governo, così diversi) e alle loro ricette di una politica europea e degli Stati membri capace di articolarsi attorno a un piano coerente di stampo ‘ecologico e innovativo’. È probabile che questa nuova costruzione di un’economia fondata su altre basi potrebbe ridare anche uno sguardo più ottimistico nel futuro, ma soprattutto come dicono “scongiurerebbe i pericoli insiti nelle visioni di breve periodo che in sé hanno i germi delle crisi di domani”.

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