Verso Rio, la ricetta Onu per cambiare l’economia

Popolazione e fabbisogno di risorse che aumentano, problemi ambientali sempre più marcati. Per affrontare il futuro in maniera sostenibile l'economia va riformata per renderla capace di gestire la questione ambientale, spiega il nuovo report Onu. Diversi suggerimenti validi, ma gli Stati sono troppo liberi di non ascoltarli.

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La popolazione mondiale passerà dai 7 miliardi attuali a 9 entro il 2040, dei quali 3 consumeranno ai livelli attuali dei paesi ricchi. Entro il 2030 il mondo avrà bisogno del 50% in più di cibo, del 45% in più di energia e del 30% in più di acqua. Una svolta verso la sostenibilità del sistema economico mondiale non è un’opzione ma una condizione imprescindibile per avere un futuro degno di tale nome. Ne prende atto anche l’ultimo report Onu, “Resilient People, Resilient Planet: A Future worth Choosing (Persone resilienti, pianeta resiliente: un futuro che vale la pena scegliere), presentato ieri, e da cui vengono questi dati (vedi allegati).


“Oggi – si legge nell’introduzione – vediamo sempre più chiaramente sulla stessa agenda la crescita economica, la protezione dell’ambiente e l’equità sociale. E’ l’agenda dello sviluppo sostenibile. Non possiamo fare progressi in un campo senza farlo in tutti”. E poi via, con 56 raccomandazioni per la sostenibilità: dal rimuovere i sussidi alle fonti fossili al dare un prezzo alla CO2 in tutto il mondo, passando per la definizione di nuovi indicatori economici che tengano conto della sostenibilità ambientale. Il rapporto è stato realizzato in vista del summit di Rio di giugno, dopo una preparazione durata un anno (Il 16 febbraio il Kyoto Club organizzerà il suo convegno annuale proprio su questi temi).


Nel panel, presieduto dal presidente del Sud Africa, Jacob Zuma, e dalla presidentessa finlandese, Tarja Halonen, troviamo anche l’ex primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland, autore di quel Rapporto Brundtland Il futuro di noi tutti” (1987) di cui questo nuovo documento si pone come seguito ideale e che fu base dell’originaria Conferenza di Rio del 1992, per molti considerata il punto di partenza del movimento globale per la sostenibilità.


Negli ultimi 25 anni, si legge nel nuovo report, sono stati fatti diversi progressi, ma certo non sono adeguati alle necessità. “Le economie vacillano. L’ineguaglianza aumenta. La temperatura del pianeta continua a crescere”, scrive la Halonen nella prefazione. Serve una cura, ed ecco la ricetta del panel Onu, in 56 punti. Non certo idee nuovissimi, ma che è significativo sentire ribaditi come priorità dall’Onu.


Si parla ad esempio della necessità di eliminare al più presto i sussidi alle fonti fossili che “distorcono i mercati, danneggiano l’ambiente e fanno aumentare le emissioni”. Una raccomandazione, per inciso, che da tempo sta rilanciando anche la International Energy Agency. Nel 2009, quantifica il report Onu, sono stati circa 412 miliardi di dollari gli aiuti alle fonti sporche di cui solo l’8% ha raggiunto il 20% più povero della popolazione mondiale.
Altro punto, le esternalità negative, a partire dalle emissioni di CO2, che dovrebbero essere incluse nel prezzo dei combustibili fossili, sia sotto forma di carbon tax o di carbon trading. Anche per tutti i beni l’impatto ambientale dovrebbe essere incluso nel prezzo e indicato in etichetta in modo da permettere al consumatore di scegliere.


Dall’Onu arriva poi un invito a mettere in pratica il green public procurement, ossia l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adottare criteri di sostenibilità ambientale nell’acquisto di beni o servizi. Un obbligo che nel nostro paese è stato introdotto in maniera parziale in diverse normative, ma che nella pratica resta spesso sulla carta. Altra raccomandazione: promuovere economicamente le tecnologie pulite, anche cercando partnership tra pubblico e privato.


A livello generale le raccomandazioni dell’Onu vanno tutte verso una riforma dell’economia per far sì che includa il più possibile l’aspetto ambientale.  Importante, ad esempio, l’invito a definire un indice di sviluppo sostenibile “oltre il PIL” o una serie di indicatori da sviluppare entro il 2014. Si deve poi, suggerisce il documento, incentivare l’inclusione di criteri di sostenibilità sul lungo termine negli investimenti e nelle transazioni delle aziende: i report sull’impatto ambientale dovrebbero essere obbligatori almeno per le società con capitale oltre i 100 milioni di dollari.


Insomma, le indicazioni del report sembrano valide. Peccato manchino accenni a obiettivi e limiti vincolanti. Questa è anche la posizione di WWF Italia. Positive, per l’associazione tutte raccomandazioni per creare un economia verde. Bene anche le azioni suggerite per creare una cornice istituzionale coerente. Ma il WWF è “preoccupato perché mentre le raccomandazioni per la riforma economica e istituzionale sono positive, il rapporto fallisce nel suggerire impegni di progresso concreti e con vincoli di tempo, lasciando ai governi la libertà di implementare le policy nel modo da loro ritenuto più conveniente.”

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