Criticità e dubbi sul Piano Solare Mediterraneo

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Il Piano Solare Mediterraneo, i progetti Desertec e Medgrid erano stati accolti all'inizio da parte di alcuni dei decisori politici del sud con perplessità e scetticismo. In questo articolo di Roberto Vigotti, pubblicato per la rivista bimestrale QualEnergia, le risposte ad alcune osservazioni e criticità su questo investimento su grande scala.

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Scarica la versione in pdf pubblicata sul n.5/2011 della rivista bimestrale QualEnergia


La regione del Mediterraneo si trova di fronte a una serie di sfide per garantire, nel lungo periodo, lo sviluppo e la stabilità economica dell’intera area: la crescita della domanda di energia, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, l’ottimizzazione dei rapporti commerciali tra Paesi produttori e Paesi consumatori e la garanzia di un futuro energetico sostenibile per l’intera regione. L’implementazione di progetti a fonti rinnovabili su larga scala per soddisfare la crescente domanda di energia elettrica e creare possibilità di impiego e di industrializzazione va dunque nella direzione giusta e richiederà un notevole sforzo specie per quanto riguarda la necessità di investimenti. Ci sono molte e valide ragioni per cui i Paesi della regione a sud del Mediterraneo manifestano un forte interesse a sviluppare le fonti rinnovabili, oltre al loro ovvio contributo diretto per rispondere all’aumento rapido della domanda di energia elettrica:



  • sicurezza degli approvvigionamenti energetici, in un clima geopolitico sempre più incerto e mutevole, usando energie sostenibili per il proprio sviluppo economico e per le proprie popolazioni; questo vale soprattutto per i Paesi che non vantano abbondanti risorse di combustibili fossili;

  • opportunità per un’effettiva diversificazione delle fonti di energia, riducendo gli effetti della volatilità dei prezzi dei fossili;

  • prolungamento della vita utile delle riserve di fossili esistenti (Paesi produttori);

  • soddisfare l’esigenza sempre più sentita di indipendenza energetica del Paese (prioritaria per i Paesi consumatori);

  • opzione futura di esportare energia pulita in Europa e magari anche in altre regioni;

  • conseguente riduzione dei sussidi all’uso di energia convenzionale, causa di distorsioni nel mercato, inefficienze, riduzione esportazione fossili e impatto climatico;

  • sviluppo economico-industriale (green economy), opportunità di investimenti che produrranno azioni di stimolo, aumento dei posti di lavoro, acquisizione di know how, competitività futura anche in altri mercati/regioni;

  • consapevolezza dei problemi connessi con i cambiamenti climatici e della necessità di una risposta globale;

  • contributo a combattere la povertà, spesso legata alla mancanza di energia adeguata;

  • miglioramento della cooperazione tra la regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa) e l’Europa.

Durante questi ultimi tre anni si sono dunque susseguiti riunioni istituzionali, annunci di piani e consorzi industriali, conferenze, progetti europei relativi a una serie di iniziative di grande visibilità, talvolta soprattutto mediatica. Ma finora ben pochi megawatt sono stati installati e molte delle promesse fatte si sono rivelate visionarie e non sempre supportate dai processi politici in corso. La situazione politica e sociale dei Paesi della sponda sud, incerta e in continuo divenire, paradossalmente potrebbe rappresentare un fattore di accelerazione. Va sottolineato che il recepimento del Piano Solare Mediterraneo, della proposta Desertec originale e di Medgrid da parte di alcuni dei decisori del sud è stato inizialmente accolto con perplessità e a volte scetticismo. Cercherò di rispondere ad alcune di queste osservazioni.


CRITICHE DAL SUD


È stato criticato il carattere “neocoloniale” dell’approccio iniziale, dichiaratamente volto a sfruttare le preziosi risorse solari del sud, ancora una volta a profitto esclusivo dei Paesi del nord, una critica forte ma non immotivata rispetto alla formulazione iniziale di alcune iniziative. Secondo me questa accusa era forse valida 3-4 anni fa, sia per un non calibrato messaggio dei primi promotori – che in effetti descrivevano il progetto esclusivamente a vantaggio dell’Europa, cosa che con l’allargamento ai decisori della riva sud si è molto ridotta – che per la semplificazione mediatica adottata per comunicare queste iniziative, sulle prime pagine o in trasmissioni televisive a effetto.


Oggi queste iniziative si propongono di facilitare la cooperazione con i Governi locali, cercando di creare le condizioni per investimenti mirati a grandi progetti bancabili in tutto il territorio del MENA. Vediamo che sono proprio i Paesi della sponda sud che specificano le condizioni della collaborazione, in modo che la maggior parte della catena del valore veda come protagonisti l’economia e la società dei Paesi stessi. Esempio la collaborazione di Desertec con l’agenzia Masen marocchina, per cui il consorzio sosterrà Masen nella preparazione degli adempimenti della seconda fase del suo piano nazionale solare.


Altri hanno accusato di distrazione di ingenti fondi nazionali e internazionali per tecnologie considerate premature o troppo costose, nonostante le nuove rinnovabili nei Paesi europei siano ormai una realtà industriale ed energetica affermata. Oggi il costo per produrre energia solare (l’eolico è più competitivo e in alcuni siti anche meno costoso delle alternative tradizionali), compreso l’integrazione alla rete elettrica, viene valutato in 20-25 centesimi di euro per chilowattora, anche in queste regioni molto assolate. Sappiamo bene che questi costi stanno riducendosi in maniera sensibile, per il fotovoltaico del 40% solo negli ultimi tre anni grazie al boom di alcuni mercati europei tra cui quello italiano e che ci si aspetta che entro i prossimi 10 anni – con le evidenti economie di scala e ulteriore innovazione – potranno scendere fino a 10 centesimi di euro, cioè molto vicini ai prezzi dell’attuale mercato elettrico. Tra il 2020 e il 2030 tutte le tecnologie solari saranno competitive, raggiungendo la cosiddetta grid parity sia per i consumatori che per i produttori.


Per questo sono in effetti necessarie sia la creazione di realtà industriali che possano produrre in loco e in grande scala componenti e sistemi, che la messa in opera anche di grandi progetti di centrali che consentano economie sensibili rispetto a piccoli impianti distribuiti che anzi ne beneficeranno.


TRASPORTO COSTOSO


La tecnologia di trasmissione più testata è oggi quella delle linee in corrente continua ad altissima tensione, già usate sia nei collegamenti in cavo sottomarini tra Italia e Sardegna, Norvegia e Olanda, che per le linee di trasmissione aeree in Congo, Cina, Brasile dove sono adatte a portare potenza per migliaia di chilometri. I cavi attuali sono in grado di trasportare grosse quantità di elettricità con perdite contenute, di circa 3% per 1.000 chilometri, aumentando solo di questa quantità l’energia che sarà prodotta nei deserti del sud. Il costo complessivo (capitale, esercizio, perdite) arriva a circa 1-2 centesimi di euro per chilowattora trasportato su una linea di 1.500 chilometri. Questo dovrebbe rassicurare sul fatto che la convenienza delle rinnovabili dal sud non verrà messa in discussione dal necessario sistema di trasporto su lunga distanza.


Un’altra frequente critica considerava questi progetti una versione “green” del vecchio approccio centralizzato, a dispetto della generazione distribuita, più adatta per le rinnovabili e l’efficienza energetica; e sosteneva che comunque le soluzioni proposte avrebbero avuto effetti molto ridotti sul sistema energetico e sugli standard di vita delle popolazioni della regione. Anche questo appartiene forse all’enunciazione di 3-4 anni fa, dove l’enfasi era posta in effetti sulle grandi centrali di produzione, trascurando i bisogni reali del Paese ospitante, ma permane come uno degli aspetti negativi delle iniziative.


La dimensione “locale” è stata sottovalutata, dato che le iniziative sono focalizzate sugli aspetti fisici e tecnologici delle rinnovabili, ignorando il contesto socio–politico e socio-economico della regione MENA. L’esistenza di immense rendite economiche e di consistenti sussidi per le energie convenzionali, legate al benessere delle popolazioni e per il mantenimento delle strutture di potere legate all’energia, non viene toccato. Il focus delle iniziative è sulla supply side, volte perciò alla realizzazione di ulteriore capacità di generazione da rinnovabili che consentano una maggiore potenza installata a beneficio delle utenze domestiche e per esportazione. Insomma, ci si preoccupa di come soddisfare la futura domanda di energia entro certi tempi e con certi costi, ma molto poco di come modificarli ex ante e dal basso. Esempio ovvio, l’efficienza energetica e il miglior uso finale.


OBIEZIONI DAL NORD


Ma anche nel Nord sono stati espressi dubbi sia sulla fattibilità e sulla bancabilità dei progetti proposti che sulla vulnerabilità delle installazioni a rinnovabili in un clima politico instabile con possibilità di attacchi terroristici, e dubbia sicurezza di significativi approvvigionamenti energetici da Paesi in via di transizione verso incerti assetti democratici. Io credo che la prospettiva di importare in futuro parte del nostro fabbisogno energetico – si parla del 15% al 2050 – ci permetterà di diversificare le nostre fonti di energia e solo per questo di ridurre l’eccessiva dipendenza dai fossili.


Mentre l’introduzione di massicce quantità di rinnovabili sarà a beneficio dell’intero bacino, si può pensare che il contributo esportabile in Europa possa contribuire a sostituire la riduzione e/o l’abbandono del nucleare e dei fossili, garantendo una fornitura energetica a lungo termine e a prezzi stabili. Utilizzando in sempre maggior parte le rinnovabili per soddisfare i loro fabbisogni energetici, i Paesi del Sud potranno godere di un effetto stabilizzante sulla loro economia e sulla loro società. L’integrazione energetica mediterranea riduce poi il rischio di conflitti: i Paesi che esporteranno parte della loro produzione rinnovabile devono contare sul ricavo che esse garantiscono, per cui sarà nel loro stesso interesse comportarsi da fornitori affidabili. E questo non avverrà a scapito dello sfruttamento delle risorse europee? Sono le domande di fondo che spesso vengono rivolte ai fautori di questa visione.


Dobbiamo ammettere che nel lungo periodo la nostra Europa avrà un potenziale limitato per convertire le sue pur abbondanti risorse sostenibili. Le principali tecnologie del medio lungo periodo sono le centrali eoliche per ora concentrate sulle coste e off shore nei mari del Nord, i sistemi solari fotovoltaici distribuiti a milioni sui tetti e le superfici già costruite, le centrali idroelettriche – ormai quasi  tutte realizzate e altre impossibili per motivi di salvaguardia ambientale – legno e residui agricoli e dell’industria alimentare, geotermia in alcuni Paesi. In Germania, Paese leader non solo nell’adozione delle nuove tecnologie, è stato deciso che nel 2050 ben l’80% delle fonti di energia dovranno essere rinnovabili e nell’ottobre 2009 il Consiglio Europeo ha approvato un obiettivo a lungo termine che impegna l’Europa a ridurre, sempre a metà secolo, le emissioni di CO2 dell’80-95%, un obiettivo ambizioso che potrebbe essere raggiunto anche con l’importazione dal Sud del Mediterraneo.


PROBLEMI DI SICUREZZA


Per quanto riguarda la critica alla vulnerabilità dei sistemi rinnovabili futuri ad attacchi terroristici, questo aspetto è comune a gasdotti, oleodotti, centrali elettriche, ferrovie. Ma innanzi tutto le rinnovabili saranno prodotte in grandi wind farm o parchi solari di estese dimensioni, difficili perciò da colpire in modo significativo, rispetto alle centrali tradizionali, e l’estensione prevista della rete sempre più interconnessa a nord e a sud ridurrà il rischio di black out e disservizi. Ricordiamo che la prosperità del mondo occidentale si è comunque basata sull’estrazione di petrolio e poi di gas in Paesi davvero ad alto rischio, e non solo nel mondo arabo. Un atteggiamento di frequente riscontrato è la perplessità di prendere in considerazione questi schemi in un momento delicato dell’evoluzione non indolore e tutt’altro che conclusa dell’assetto di molti Paesi arabi. Dunque  come minimo un approccio wait and see, aspettiamo per vedere cosa succederà.


Io penso che l’attuale transizione verso forme di maggiore condivisione democratica delle decisioni politiche sul futuro del proprio Paese può essere un fattore positivo, dato che è partita dalla richiesta di gran parte della popolazione, soprattutto la più giovane, di maggiori possibilità di lavoro, più cibo, più energia, più acqua. Queste iniziative tendono ad aumentare la cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo e dunque potrebbero aumentare opportunità e prospettive delle popolazioni minimizzando i rischi insiti nella notevole disparità degli standard di vita; la Commissione Europea sta in effetti mandando segnali chiari in questa direzione di collaborazione e di speranza, fino a prospettare l’integrazione futura dei due mercati elettrici regionali come fattore di progresso.


FATTORI CRITICI


Il quadro regolatorio non ancora adeguato, le difficoltà nel finanziamento dei progetti, una percezione insufficiente del potenziale delle rinnovabili erano stati descritti come determinanti nel primo articolo comparso nel numero di aprile-maggio 2011 di QualEnergia, relativo alla descrizione delle iniziative per le rinnovabili nel Mediterraneo. Ma vale la pena accennare anche alle altre che concorrono a ritardare lo sviluppo delle rinnovabili nella sponda sud. Dato che in molti Paesi l’implementazione delle moderne tecnologie per le energie rinnovabili è un fenomeno recente, le iniziative del passato per il loro sviluppo erano focalizzate prevalentemente sui fattori economici, e la riduzione delle barriere economiche è stato l’obiettivo principale delle misure di sostegno adottate.


I successi ottenuti in diversi Paesi dell’Unione Europea nello sviluppo e nell’implementazione delle tecnologie dimostrano che le barriere possono essere superate con politiche accorte. Ma i rischi connessi ai progetti sulle energie rinnovabili derivano sia da fattori economici sia da barriere di natura non economica. Si ha una barriera economica quando il costo di una determinata tecnologia è superiore a quello delle alternative concorrenti, anche in condizioni ottimali di mercato. Tutti gli altri tipi di barriere vengono definite come non economiche.


Queste barriere non economiche hanno comunque un ruolo importante nel determinare i costi delle tecnologie per le energie rinnovabili. Studi recenti dimostrano che le barriere non economiche possono rallentare significativamente il contributo delle rinnovabili a un futuro mix energetico sostenibile. Le barriere all’implementazione possono in definitiva essere così suddivise:



  • barriere tecno-economiche, collegate ai costi diretti di certe tecnologie in rapporto a tecnologie alternative, data comunque l’internalizzazione dei costi e la presenza di condizioni contestuali ideali;

  • barriere non economiche, collegate a fattori che impediscono l’implementazione o che conducono a costi più alti del necessario o a distorsioni dei prezzi.

Queste barriere possono essere ulteriormente differenziate:



  • barriere normative o dovute alle incertezze politiche, connesse a cattive politiche o a discontinuità/scarsa trasparenza delle politiche e della legislazione;

  • barriere istituzionali e amministrative, che comprendono la mancanza di istituzioni forti e dedicate, la mancanza di responsabilità chiaramente individuate, e procedure autorizzative complicate, lente e non trasparenti;

  • barriere di mercato, dovute a strutture dei prezzi che danneggiano le rinnovabili, ad asimmetrie informative, a monopoli, ai sussidi ai combustibili fossili e al fallimento dei metodi per computare i costi sociale e ambientali;

  • mancata aggregazione del mercato regionale, per poter attrarre volumi e scale che permettano lo sviluppo di un’industria regionale;

  • barriere finanziarie, associate alla mancanza di adeguate opportunità di finanziamento e di prodotti finanziari per le rinnovabili;

  • barriere infrastrutturali connesse alla flessibilità del sistema energetico e alla sua capacità di integrare/assorbire le energie rinnovabili;

  • mancanza di personale preparato, in tutte le fasi di progettazione, costruzione, messa in esercizio, manutenzione, fino a ricerca e sviluppo;

  • barriere ambientali e sociali, collegate alla pianificazione delle energie rinnovabili e alla loro accettazione sociale.

Anche se sono possibili altre categorizzazioni, le barriere elencate sono collegate tra di loro. La rilevanza delle barriere varia a seconda delle tecnologie e dei mercati, e le priorità cambiano via via che le tecnologie maturano. Inoltre, quando viene individuata una barriera, altre possono emergere.


In molti dei Paesi emergenti (e in via di sviluppo) che producono energia, i prezzi dell’energia godono di sussidi massicci. Ciò significa che i prodotti energetici, compresa l’energia secondaria come l’elettricità, sono venduti, nel caso peggiore, al di sotto del loro costo reale, o comunque al di sotto del loro valore sui mercati internazionali. Ciò avviene, per esempio, in Algeria e in Egitto, dove i bassi prezzi dei prodotti petroliferi, del gas e dell’elettricità contribuiscono ad alimentare una domanda esplosiva sostenuta dai prezzi bassi, cosa che impedisce agli operatori energetici di rispondere alla domanda in modo adeguato.


Mentre la politica energetica dei paesi del sud Mediterraneo dipende dalle loro scelte sovrane, gli accordi di partenariato euro-mediterranei esistenti o futuri dovrebbero includere una componente di assistenza ai Governi che gli permetta di definire e mettere in opera misure di trasferimento dei prezzi verso gli utilizzatori finali (per esempio tra diversi operatori energetici o tra diverse attività) che riflettano il costo reale dell’energia distribuita. Lo stesso concetto di trasparenza dei prezzi dovrà essere applicato ai trasferimenti e alle vendite verso i Paesi confinanti.


Ho accennato ai numerosi vantaggi strategici che i Paesi del Sud conseguiranno impegnandosi in un massiccio uso delle rinnovabili. Un elemento che è bene ribadire, in passato non sempre ben presentato, è relativo alla sostenibilità economica e sociale delle varie iniziative e cioè che le iniziative apportino ai Paesi della regione benefici in almeno le seguenti aree:



  • dedicare una parte maggioritaria dell’energia da produrre per far fronte ai crescenti fabbisogni di energia dei Paesi ospitanti ed alimentarne lo sviluppo economico;

  • sviluppare l’ industria locale, con la costruzione in loco di componenti e sistemi che aumentino la catena del valore a favore del Paese ospitante. Vi è un legame diretto tra consumo di energia e crescita del prodotto interno lordo almeno fino a quando si raggiungerà il punto in cui la densità energetica comincia a diminuire grazie al cambio della struttura economica di un Paese e l’adozione di tecnologie molto efficienti, cosa che è accaduta in tutta Europa;

  • creare nuove attività che producano impiego e reddito anche per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione. Una possibilità potrebbe essere quella di favorire lo sviluppo di knowledge cluster, localizzati in specifiche aree geografiche, come l’Oriental in Marocco e Ma’an in Giordania. È uno dei temi che più risulterà convincente per i decisori locali, interessati a creare nuove attività economiche che inducano occupazione e benessere;

  • addestramento specialistico, cooperazione, trasferimento e scambio di conoscenze, sia nel settore tecnologico che dell’innovazione (R&S). A questo scopo andranno create occasioni per la creazione di personale tecnico qualificato e lo scambio sulle tecnologie, la ricerca e l’innovazione;

  • conseguire successo nella lotta alla povertà e in particolare alla penuria di energia, dato che nella regione ci sono ancora segmenti sociali nelle zone rurali e nelle periferie senza accesso a servizi di energia di base.

GEOPOLITICA IN CORSO


In questi ultimi mesi la missione e gli obiettivi delle varie iniziative per le rinnovabili nel Mediterraneo sono stati meglio calibrati e si registra una migliore ricezione delle proposte dai decisori della Regione Sud. Il successo di tutte queste iniziative sarà legato alla capacità che avremo di non considerarle solo dal punto di vista energetico, economico o ambientale. Dovremo guardare a questa visione e ai processi in corso come un progetto geopolitico di integrazione all’interno del mare nostrum, un progetto di grande respiro per un futuro comune.


Sarà innanzi tutto necessario creare un mercato locale per “prodotti” green dell’energia: con l’introduzione di un quadro propositivo (enabling environment) che definisca incentivi corretti per produttori e consumatori e offra le necessarie garanzie per produttori e investitori. I programmi in corso dovrebbero essere usati come incubatori e catalizzatori di sviluppo della catena locale del valore nel settore industriale e questo aspetto viene in effetti sempre più ricordato nei requisiti delle prime gare. Lo sviluppo di questa catena del valore porterà come conseguenza una maggiore attenzione sui processi di know how transfer e capacity building per permettere alle realtà locali di aggiungere, alle attività di semplice costruzione ed esercizio, quelle molto più interessanti di realizzazione di componenti e di consulenza e progettazione. Proprio la diseguaglianza della distribuzione delle risorse energetiche tra i Paesi Nord e Sud del Mediterraneo potrebbe divenire la base per stabilire un’interdipendenza -richiesta e accettata – economicamente e politicamente praticabile, e soprattutto propositiva che potrà contribuire, nel medio termine, alla costruzione di un’entità economica ad alta e sostenibile crescita.


Per approfondire:


Figura 1 – Consumo finale di energia al 2030 nei Paesi del nord e del Sud


Figura 2 – Potenza elettrica installata nell’intero mediterraneo al 2030 nei due scenari


Figura 3 – Potenza elettrica installata sulla sponda Sud del Mediterraneo al 2030


Figura 4 – Andamento della produzione di energia elettrica da fonte eolica


Figura 5 – Capacità rinnovabile installata e obiettivi nei Paesi del Sud del Mediterraneo

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