L’energia (solare) delle donne: il solare che diventa solidale

Tre progetti esemplari sull’utilizzo e la diffusione dell’energia solare in comunità molto povere dei Paesi in via di sviluppo. Progetti in cui le donne assumono un ruolo cruciale come mediatori, facilitatori e moltiplicatori delle tecnologie. L'energia solare in questi casi diventa strumento di politica economica e coesione sociale.

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In questo articolo vengono presentati tre casi studio sull’utilizzo e la diffusione dell’energia solare, termica e fotovoltaica, nei Paesi in via di sviluppo dove le condizioni particolarmente disagevoli in cui le comunità vivono, insieme all’abbondanza della risorsa “sole”, rendono particolarmente interessante l’utilizzo dell’energia solare e rendono indispensabile una generazione distribuita dell’energia. Dove, quindi, una fonte pulita e rinnovabile, come quella solare, può essere utilizzata, prima ancora che per motivi ambientali, per un maggior benessere delle popolazioni locali.


Solar Cookers International ha lanciato, nell’estate del 2003, il progetto “Sunny Solutions” (Soluzioni Solari) in Nyakach, Kenia, una comunità di agricoltori e pescatori impoverita e devastata dal degrado ambientale, dalle malattie trasmesse dall’acqua e da un’alta incidenza di malati di HIV. L’obiettivo prioritario è stato quello di creare un mercato per la vendita di “cucine solari” ad opera di micro aziende gestite da donne del luogo. Va detto che, oltre che per la cottura del cibo, la tecnologia solare termica è stata utilizzata anche per la pastorizzazione dell’acqua, producendo e diffondendo, in un unico pacchetto, il cosiddetto “Solar CooKit”. Il progetto è stato portato avanti in tre fasi successive:



  1. In collaborazione con un’associazione locale, lo SCI ha condotto dimostrazioni pratiche su come funzionano le cucine solari e la pastorizzazione solare dell’acqua, indirizzati a leader e amministratori locali, gruppi di donne, medici, rappresentanti delle agenzie di sviluppo locali, ecc. Diverse dozzine di CooKit solari sono state fornite, per prove a casa, a quelle donne che, durante le dimostrazioni, avevano mostrato particolare interesse e motivazione.

  2. Le donne più interessate e che usavano frequentemente la cucina solare, nonché quelle che avevano precedenti esperienze in attività di carattere commerciale, sono state poi invitate a frequentare un breve corso di formazione per diventare rappresentanti delle cucine solari. I 4 giorni di formazione intensiva si sono focalizzati, quindi, non solo sulle modalità di utilizzo delle cucine, ma anche sulla formazione di competenze imprenditoriali e commerciali, comprendenti nozioni di microfinanza, comunicazione e marketing.

  3. Una volta formate, le “donne imprenditrici” hanno a loro volta condotto dimostrazioni del prodotto nei mercati, nelle chiese e in altri luoghi pubblici, creando una diffusa consapevolezza sull’utilizzo delle cucine solari. Queste donne sono state poi in grado di generare reddito costruendo e vendendo le cucine e assicurando un accesso diffuso ai “Cookit” solari a un costo molto basso.

Il progetto ha permesso di informare, attraverso le campagne di sensibilizzazione e le dimostrazioni, 113.000 persone (circa l’80% della comunità), con una vendita di più di 3.000 “Cookit” solari a 2.600 famiglie con conseguenti benefici sull’economia familiare, sul tempo speso da donne e bambine nel raccogliere la legna, sulla salute (ridotta esposizione ai fumi e minore incidenza delle malattie trasmesse da un’acqua insalubre), sull’autostima e sullo status delle donne coinvolte, ecc.


Il Barefoot College è una Ong, fondata negli anni ’70 in India nello Stato del Rajasthan, che fornisce servizi e soluzioni essenziali ai problemi delle comunità rurali che vivono in condizioni di povertà e marginalità, con l’obiettivo di renderle autosufficienti e sostenibili.


Il Barefoot College ha lanciato nel 2005 un corso di formazione sull’energia solare rivolto alle donne. A Tilonia, in India, sono state formate 15.000 “ingegnere solari” (femminile plurale!) attraverso un corso di formazione della durata di 6 mesi, mettendole in grado di portare elettricità rinnovabile nei propri villaggi. Tutte donne sopra i 35 anni di età, illetterate o semi illetterate che non avevano mai lasciato il proprio villaggio. Le donne, scelte dagli abitanti stessi del villaggio, una volta tornate a casa, erano responsabili della fabbricazione, installazione, utilizzo e manutenzione delle unità solari per l’illuminazione. Tilonia è un villaggio non raggiunto dalla rete elettrica dove più del 40% della popolazione non ha accesso all’energia elettrica e dove, solitamente, dopo il tramonto del sole, l’illuminazione si fa con lanterne alimentate dal kerosene, nocive per la salute e per l’ambiente. Dal 2005 le “ingegnere solari” formate dal College hanno portato l’elettricità in più di 600 villaggi in 33 Paesi, con un conseguente risparmio di 1,5 milioni di litri di kerosene.


L’obiettivo fondamentale che viene portato avanti attraverso questi corsi è la valorizzazione delle expertise già presenti nel villaggio stesso. Non c’è ragione alcuna di portare risorse da fuori, quando è possibile formare i membri di una comunità che più di chiunque esterno alla comunità locale, una volta acquisite le competenze specifiche sull’energia solare, sanno poi come introdurla in un contesto che conoscono molto bene. Tutto ciò ha l’effetto di incoraggiare gli abitanti a massimizzare l’utilizzo delle risorse endogene, con conseguenti benefici sull’autosufficienza della comunità, oltre che sulla salute dei suoi membri e dell’ambiente in cui vivono.


Nel 2007 Reseda Onlus, una cooperativa sociale che opera nel campo dell’ecologia e delle fonti rinnovabili, in collaborazione con il CIRPS dell’Università La Sapienza, ha avviato un progetto di cooperazione decentrata presso i campi per rifugiati Saharawi di Tindouf, in Algeria.


Da una conoscenza sempre più approfondita della realtà del campo di Dajla e delle difficoltà che i suoi abitanti sono costretti ad affrontare quotidianamente in un ambiente “inospitale” come quello desertico, Reseda e Cirps lanciano, nel 2008, il progetto “Orti solari familiari”.


L’obiettivo principale del progetto è avviare un’agricoltura sostenibile nel territorio desertico dove sono situati i campi, utilizzando sistemi semplici e affidabili. Lo scopo è quello di garantire una sussistenza con prodotti agricoli freschi (che vanno ad aggiungersi agli aiuti umanitari) attraverso la realizzazione di orti irrigati con pompaggio fotovoltaico. Le tecnologie utilizzate sono state elaborate secondo i principi delle tecnologie appropriate con una particolare attenzione all’integrazione di tali tecnologie con le risorse già presenti nei campi in termini di competenze e abitudini di vita. Nello specifico, sono stati realizzati 22 orti solari familiari.


Il progetto si è dipanato attraverso due fasi principali. Nella prima fase sono state coinvolte le donne del campo in un corso di formazione e sensibilizzazione in cui sono stati spiegati loro gli obiettivi del progetto, cosa veniva dato in dotazione ad ogni famiglia (un modulo fotovoltaico, un inverter, una pompa, un regolatore di carica, ecc.), come dovevano utilizzare tale strumentazione e come dovevano lavorare l’orto perché desse loro prodotti agricoli freschi.


La seconda fase è consistita nella distribuzione alle famiglie di tutta la strumentazione necessaria, nello scavo di un pozzo per ogni orto familiare, nell’impostazione di un sistema di irrigazione goccia a goccia alimentato da un modulo fotovoltaico e nella dimostrazione di come si imposta e si mantiene l’orto familiare.


Anche in questo caso, come negli altri, l’obiettivo è stato duplice e di carattere socio-economico: portare un aiuto concreto e tecnico a popolazioni che vivono in condizioni di estrema difficoltà, valorizzando le risorse che hanno a disposizione: il sole (in abbondanza), le donne come soggetti moltiplicatori che mentre imparano a gestire e mantenere un orto solare, creano una rete di mutuo aiuto capace di diffondere le competenze oltre i limiti del progetto stesso, i soggetti che già operano all’interno del campo come, in questo caso, la “Escuela Educacion Especial di Dajla”, ecc.


Tutti i casi sinteticamente descritti sono caratterizzati da un approccio che integra i seguenti elementi:



  1. Si tratta di progetti di cooperazione e solidarietà, verso villaggi, comunità, campi per rifugiati che versano in particolari situazioni di povertà, improntati a un approccio basato sulla valorizzazione delle risorse locali … naturali, umane, organizzative, ecc.

  2. Al centro di tali progetti c’è la diffusione di una tecnologia, quella solare, sia essa termica o fotovoltaica, utilizzata in contesti dove “c’è tanto sole” e dove, al contrario, le risorse energetiche convenzionali sono scarse o implicano costi eccessivi.

  3. In questi progetti assumono un ruolo cruciale le donne, in quanto soggetti “mediatori, facilitatori e moltiplicatori” che, attraverso l’intervento mirato di organizzazioni non governative o cooperative di utilità sociale, acquisiscono competenze che permettono loro, da una parte, di utilizzare la tecnologia solare per i propri fabbisogni (cucina, illuminazione, ecc.) e dall’altra di diffondere la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnologia nelle rispettive comunità.

L’energia solare, in questi particolari contesti, diventa quindi prima ancora che uno strumento di politica energetica, uno strumento di politica economica e sociale.


Video: Solar Cooking in Africa – A Remarkable Technology Transfer

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