La Cina si prende la scena dei negoziati sul clima

A Durban nuova e meno rigida posizione del gigante asiatico, disponibile a un accordo di riduzione delle emissioni, seppure a certe condizioni. Alla Cop 17 si riaccende un po' di speranza di concludere qualcosa. A smorzare gli entusiasmi gli Usa, indisponibili a tagliare le emissioni se non lo faranno anche i paesi poveri.

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La Cina sembrerebbe disponibile ad un accordo di riduzione delle emissioni dopo il 2020 sebbene a fronte di alcuni condizioni. Un’ipotesi che per alcuni sembra possa ravvivare quest’ultima fase della conferenza sul clima di Durban. La Cina ha fatto sapere che qualsiasi accordo non potrà realizzarsi a meno che non vengano soddisfatte alcune condizioni e che comunque non sarà possibile concretizzarlo prima del 2020, allorché gli impegni volontari, dichiarati un anno fa, non saranno scaduti.

Tra le condizioni richieste dalla Cina c’è anche la continuazione da parte dell’Unione Europea e di altri paesi di un nuovo accordo vincolante nell’ambito del Protocollo di Kyoto, in cui venga inserita l’obbligo di assistere finanziariamente i paesi più poveri nella loro battaglia sul riscaldamento globale. Questa nuova e meno rigida posizione della Cina potrebbe sbloccare questa situazione di stallo per un impegno di accordo globale, dicono alcuni osservatori presenti alla Cop17, e darebbe un ruolo di leadership in questa fase al colosso asiatico. Un po’ quello che su queste pagine ha indicato Gianni Silvestrini come prospettiva di sviluppi possibili nei negoziati (Qualenergia.it, La green economy salverà il clima) cioè di realizzare quanto prima ad una roadmap condivisa per un accordo.

Dalle parole di Xie Zhenhua, capo delegazione della Cina Durban, si capisce che c’è la voglia di discutere con l’Unione Europea, ma resta ferma la richiesta ai paesi di vecchia industrializzazione di tagliare per primi le loro emissioni. “Ogni paese dovrà assumersi obblighi e responsabilità secondo le loro capacità. La Cina desidererebbe essere dentro a questo processo, firmando un documento comune”, ha detto Xie Zhenhua facendo capire ancora una volta che la Cina non può arrestare la sua crescita.

Alla critica che la Cina non può più considerare se stessa un paese in via di sviluppo, e che invece è l’attuale principale emettitore di gas serra planetario, il delegato cinese risponde che il suo paese resta nella schiera di quelli meno sviluppati visto che il suo Pil procapite è di soli 4.300 dollari e che ci sono ancora 128 milioni di cinesi che vivono con un dollaro al giorno.

All’incertezza e allo stallo legato anche alla posizione dei paesi ostili ad una nuova fase del Protocollo di Kyoto a partire dal 2013, come Canada, Giappone e Russia, si aggiunge anche l’approccio dell’India che non è disponibile ad alcun tipo di trattato.

Il Brasile per voce del suo Ambasciatore, Luiz Alberto Figueiredo, al contrario ritiene che il Protocollo di Kyoto deve essere tenuto vivo perché può essere la base per un nuovo trattato globale dopo il 2020, molto meglio che procedere sulla via dei target volontari nazionali.

Tuttavia, gli entusiasmi per qualcosa di veramente importante a Durnan sono esagerati. Soprattutto perché come ha spiegato ancora una volta il negoziatore capo degli Stati Uniti, Todd Stern, il suo paese continuerà ad insistere sulla “parità legale” tra tutti i paesi in qualsiasi trattato internazionale sul clima.  Ma su questo fronte, come abbiamo visto, la Cina e altri paesi in via di sviluppo non sono pronti. Insomma per Stern un accordo a breve è altamente improbabile.

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