Gli interessi industriali, chiave per gli accordi futuri sul clima

Nessuna speranza per la Cop 17, ma alcune strategie possono già da subito essere messe in campo. Se ne è parlato a Roma nel convegno 'Oltre Durban', organizzato da Enea e Kyoto Club, che ha visto anche la partecipazione del neo ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che rappresenterà il nostro paese a Durban.

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Nessuno crede che la Cop 17 di Durban possa portare risultati degni di nota e tutti sono convinti che l’accordo globale sul clima sia ancora lontano nel tempo. Se tutto andrà bene si potrà delineare una roadmap per raggiungere a metà decennio, o forse più in là, un possibile trattato sul clima che coinvolga tutti i paesi che oggi viaggiano con velocità molto differenti.


Dunque, come si fa a costruire un accordo globale sulle emissioni? Se ne è parlato ieri a Roma nell’ambito del convegno ‘Oltre Durban’, organizzato da Enea e Kyoto Club, che ha visto anche la partecipazione del neo ministro dell’Ambiente, Corrado Clini.


“Se fuori dal Protocollo di Kyoto restano Cina e Stati Uniti e altre grandi economie emergenti, come ad esempio Indonesia, Sud Africa, Brasile e India che hanno la responsabilità di oltre il 60% delle emissioni, è molto difficile riuscire ad avere un risultato positivo per il futuro del protocollo. Allora dobbiamo trovare una soluzione nuova, basata sul coinvolgimento e sul partenariato tra Unione Europea, Stati Uniti, Giappone, Cina, Brasile, Sudafrica e Messico, cioè un partenariato che in qualche modo riproponga lo schema del G20″, ha detto Clini che ha anche spiegato i contrasti tra le superpotenze economiche e i paesi emergenti che stanno portando ad uno stallo nei negoziati internazionali sul clima. “Durban sarà una missione prettamente esplorativa sulle modalità di trovare più avanti un accordo”, ha detto il ministro, che suggerisce la realizzazione di “una governance mondiale che deve essere estesa alla trasformazione del sistema energetico mondiale, per ridurre le emissioni di carbonio”. Questa, sottolinea il ministro dell’Ambiente, “è la partita vera: il fatto che Kyoto scada fra un anno ci dà forse l’occasione per cominciare a lavorare su un’ipotesi diversa”, anche perché conosciamo ormai la pressione dei cambiamenti climatici che si fa sentire e che inizia a creare anche timori per l’assetto geopolitico mondiale, evidenziati anche da alcune lobby negli Stati Uniti.


Secondo Clini, quello che l’Italia e l’Europa cercheranno di promuovere alla Cop17 è il tentativo di creare una convergenza di standard nella produzione di merci per alcuni aree settoriali e tecnologiche che possono avere un ruolo diretto sulla riduzione delle emissioni di gas serra, soprattutto dunque in campo energetico.


“Le soluzioni tecnologiche, prefigurate anche dall’International Energy Agency – ha spiegato Clini – possono essere certamente quelle legate alle rinnovabili e all’efficienza energetica che sono i due driver più importanti, ma dentro a questo pacchetto ci potranno essere anche la carbon capture and sequestration (CCS), per consentire a paesi come la Cina e India di continuare a produrre energia con il carbone e ci sarà anche una parte di nucleare, anche se, senza novità tecnologiche il suo ruolo non potrà essere che marginale”.


Queste proposte della IEA iniziano ad essere raccolte dalle grandi imprese, anche quelle storicamente coinvolte nell’energia fossile, ma difficile dire quali siano oggi le loro priorità, che restano ambigue. Per il ministro, comunque in questo ambito l’Europa potrebbe dare un notevole contributo per l’esperienza e la competenza acquisita, oltre che per essere il più grande mercato integrato del mondo in termini di valore. “L’Europa potrebbe diventare una piattaforma tecnologica a disposizione delle altre grandi economie e dei nuovi consumi energetici per cominciare a costruire queste opzioni anche con la partecipazione delle grandi imprese e dei fondi privati, con grandi vantaggi per il mercato del vecchio continente”, ha detto Clini nel corso del convegno.


“Peraltro – ha aggiunto – abbiamo già un’esperienza di collaborazione in un progetto strategico, in cui l’Italia è tra i titolari, e che presenteremo a Durban, insieme al governo cinese: è la ‘Piattaforma Sino-Europea’ che abbiamo a Pechino per lo scambio delle informazioni e per la collaborazione sul’innovazione tecnologica in campo energetico. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per una strategia globale”.


A rendere statica e più complicata l’azione necessaria per affrontare i mutamenti climatici c’è anche la crisi finanziaria. Per Clini potrebbe però anche “rappresentare un’opportunità, perché la crisi si incrocia con l’esigenza, tecnologica e industriale, di cambiare il sistema energetico. “In questo momento gli investimenti di medio e lungo periodo che servono a garantire la sicurezza energetica dei prossimi 40-50 anni devono e possono comprendere, come già si comincia a fare, fonti rinnovabili e biocombustibili, almeno in competizione con il ruolo tradizionale delle fonti fossili”.


Su questo punto e sul ruolo della Cina, convitato di pietra di questo incontro, batte anche Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto, che considera il colosso asiatico un fattore chiave nei processi negoziali futuri. “Chi darà un aiuto e una svolta, non subito, ma nel medio periodo per un accordo globale – dice Silvestrini – sarà la Cina. Se è vero che sta crescendo anche in termini di emissioni in maniera esponenziale, tanto che solo l’incremento delle emissioni cinesi dal 2000 e al 2010 è pari alle emissioni annuali degli Stati Uniti, la Cina è anche il più grande produttore di aerogeneratori, di celle moduli fotovoltaici ed è fortemente impegnata sui veicoli elettrici, per non parlare di altri comparti a basso contenuto di carbonio. Allora, questi settori della green economy, ancora minoritari nell’economia cinese, man mano che cresceranno potranno influenzare i negoziati futuri, perché riuscire ad arrivare ad un accordo globale significa anche creare un mercato globale di tecnologie verdi”.


Silvestrini ha sottolineato il fatto che oggi non si riesce a raggiungere un accordo semplicemente perché i grandi settori energetici tradizionali e l’industria automobilistica resistono al cambiamento. In sintesi, con la crescita rapida della green economy, aumenta la quota dell’economia nel mondo che ha interesse a che si arrivi ad un accordo. La chiave è dunque negli interessi industriali ed economici. Ma, si augura Silvestrini, che anche la spinta dal basso, dalla società civile, dalle amministrazione locali, possa giocare un ruolo importante in questo processo.


Nel corso del convegno è stato presentato anche il documento dell’ENEA “Climate Change. Innovare i meccanismi?” (pdf)


Le presentazioni (pdf) del convegno:


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