La green economy salverà il clima

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L'aumento delle emissioni mondiali ha raggiunto livelli che sicuramente non ci faranno evitare di superare la soglia dei 2°C di incremento della temperatura. Intanto la possibilità di un accordo sul clima si allontana. Solo decise politiche di decarbonizzazione dell’economia potranno ribaltare questa sfida, che oggi sembra persa. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Mentre inizia la Cop 17 a Durban ci si può chiedere a che punto siamo ad un anno dalla fine della prima fase del Protocollo di Kyoto (dicembre 2012). Se le speranze negoziali avevano raggiunto il livello più alto due anni fa a Copenaghen, le aspettative ufficiali di raggiungere un accordo globale sono ora rimandate al 2015 o addirittura il 2020.

Cosa comporterebbe questo stallo? Ricordiamo qualche numero.

Il livello mondiale delle emissioni antropiche di CO2 ha raggiunto i 33 miliardi di tonnellate nel 2010; considerando anche gli altri gas climalteranti questo valore aumenta di un altro 50%, espresso in termini di CO2eq.

Nell’ultimo anno l’incremento delle emissioni di anidride carbonica è stato il più alto mai registrato, +6%, una quantità pari a oltre quattro volte le emissioni italiane. Dal 1990 a oggi l’effetto di forcing radiativo della CO2 presente in atmosfera è aumentato del 40% (Fig. 1 – Aumento del forcing radiativo dell’anidride carbonica), un incremento di mezzo W/mq (la metà di una lampadina da albero di natale da 1 W per metro quadrato; in totale le emissioni climalteranti pesano ormai quasi come tre lampadine).

Anche se quasi tutti gli altri gas climalteranti hanno rallentato la loro crescita (Fig. 2 – Evoluzione del forcing radiativo dei gas climalteranti a partire dal 1979), i dati sono allarmanti. Per non superare infatti in atmosfera le 450 ppm in termini di CO2eq, il livello che dovrebbe garantire un 50% di possibilità che il mondo non si riscaldi più di 2 °C alla fine del secolo, le emissioni dovrebbero iniziare a ridursi attorno al 2020. Rimandare il picco al 2025, cosa inevitabile senza il raggiungimento rapido di un accordo, renderebbe praticamente irraggiungibile questo obiettivo, se non con costi elevatissimi.

L’atteggiamento attuale non sembra però riflettere la gravità della situazione. Le preoccupazioni economico-finanziarie nei paesi industrializzati sovrastano quelle ambientali e climatiche. Un caso particolare è quello della Cina, la principale protagonista dell’aumento della produzione di anidride carbonica. Il solo incremento registratosi negli ultimi 10 anni è superiore alle attuali emissioni degli Usa. Eppure dalla Cina si intravvede anche la chiave della risposta alla sfida climatica. Primo paese per potenza eolica installata, potrebbe presto diventare il primo anche per la potenza solare. Per motivi sia interni, i devastanti impatti ambientali dell’attuale modello, sia internazionali, il notevole appeal dei mercati green, la Cina sta decisamente virando il timone della propria economia. Secondo il China Council of International Co-operation on Environment and Development, diretto dal vicepremier Li Keqiang, la Cina potrà creare 9,5 milioni di posti di lavoro e aumentare il Pil di circa 1.000 miliardi di euro con una politica di decarbonizzazione dell’economia grazie a politiche sull’efficienza e sulle rinnovabili (Qualenergia.it, Green economy, per la Cina è una scelta obbligata) . Il dodicesimo piano quinquennale (2011-15) della potenza asiatica passerà alla storia come il primo “green oriented”, indicando come prioritari efficienza energetica e rinnovabili. Nei settori della green economy verranno investiti 468 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al precedente piano.

Ai potenti interessi legati alle industrie energivore e ai combustibili fossili che hanno finora contrastato le ipotesi di riduzione delle emissioni si contrappone l’emergere dei comparti “verdi” che hanno tutto da guadagnare da un quadro negoziale internazionale che imponga una riduzione delle emissioni climalteranti.

Questo quadro non rende però le prospettive più rassicuranti sul breve periodo. Ma chiarisce come, fra qualche anno, si potrebbero verificare le condizioni per raggiungere un vero accordo internazionale sul clima. Forse si riuscirà così a evitare un esito catastrofico del riscaldamento del pianeta, ma sicuramente si supererà l’incremento di 2°C che era l’obbiettivo della conferenza di Copenaghen e l’indicazione della comunità scientifica internazionale. Eppure, non mancano gli studi, l’ultimo dell’Ocse (Fig. 3 – Scenario di riduzione delle emissioni climalteranti ed impatto sulla crescita del Pil mondiale, Ocse), che questo obbiettivo potrebbe essere raggiunto con un dimezzamento delle emissioni climalteranti entro il 2050 e un impatto molto limitato sulla crescita del Pil (-0,2%/a), contenendo quindi gli effetti del riscaldamento globale.

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