Francia, e se uscire dal nucleare costasse meno che restarci?

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In Francia, dopo Fukushima e la proposta socialista di ridurre la quota di nucleare dal 74 al 50% entro il 2025, si elaborano nuovi studi economici per una exit strategy dall'atomo. Le Monde segnala due scenari che divergono sensibilmente nei risultati, ma che dimostrano come la gestione futura della tecnologia sarà complessa e costosa.

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Per la Francia restare dentro il nucleare potrebbe costare quanto uscirne? Questo è uno scenario possibile, segnalato in un articolo di Le Monde di ieri, che propone Benjamin Dessus, ingegnere, economista e presidente di Global Chance, un’associazione indipendente che riunisce esperti su energia e clima. Dessus è inoltre uno degli autori di Etude économique prospective de la filière électrique nucléaire.

Altro scenario sul tema è quello proposto dall’UFE (Union française de l’électricité) in un documento pubblicato lo scorso 7 novembre (Electricité 2030: quels choix pour la France?). L’analisi UFE diverge sensibilmente da quella rilanciata da Dessus, ma in entrambi i casi si potrà notare come sia estremamente costosa la gestione economica di questa tecnologia così diffusa in Francia.

Global Chance e l’ingegner Dessus stimano che uscire totalmente dal nucleare, a partire da oggi fino al 2031, richiederebbe al paese un investimento tra 451,5 e 503 miliardi di euro. Mentre restarci costerebbe tra 457 e 546 miliardi di euro. Dunque, siamo su ordini di grandezza molto elevati (circa 22-25 mld/anno) e pressoché identici.

Per l’UFE, restare dentro l’atomo fino al 2030 (con una produzione da nucleare che si attesterebbe al 70% del totale) richiederebbe un costo di 322 miliardi di euro. Tagliare l’atomo del 50% costerebbe invece 382 miliardi di euro e un calo della sua quota fino al 20% porterebbe ad una spesa di 434 miliardi di euro.

Per riuscire a quantificare il costo del mantenimento del nucleare francese entrambi gli studi si basano sul documento “Gli scenari futuri Energia-Clima-Aria al 2030”, elaborato dalla direzione generale dell’energia e del clima (DGEC) del ministero dell’Ecologia. Invece, per calcolare l’exit strategy parziale o totale, ciascun lavoro elabora proprie ipotesi e metodologie, con la conseguenza di avere a che fare con molteplici parametri e stime piuttoste controversi.

Una di queste variabile è il trend dei consumi elettrici. Qui il classico approccio degli esperti del settore fa ritenere sempre e comunque che questi debbano aumentare anche perché, come afferma UFE, i programmi nazionali di efficienza energetica non saranno probabilmente completati secondo i piani previsti. Al contrario, Dessus ritiene che una buona applicazione della normativa fiscale permetterà una significativa diminuzione dei consumi di elettricità.

Altro aspetto chiave è il prezzo futuro dell’elettricità. Un loro probabile rilevante aumento in caso di uscita dell’atomo, se da una parte andrebbe a danneggiare la competitività dell’industria francese, dall’altro potrebbe incoraggiare le politiche nazionali e le scelte individuali ai fini di un’efficienza energetica più spinta. Tuttavia, in entrambi i casi ipotizzati, l’aumento delle tariffe elettriche sembrerebbe un evento pressoché certo. L’UFE, ad esempio, ritiene che il rialzo delle tariffe possa essere del 33% tra il 2010 e il 2030 in caso di stabilità del nucleare e del 50% se la sua quota diminuisse fino al 50%.

Anche la durata delle centrali ha il suo peso in queste valutazioni. Allungare la vita dei reattori di ulteriori 20 anni (oltre ai 40 ipotizzati in genere) potrebbe rendere economicamente più conveniente la permanenza nell’atomo. Ma, si fa notare, che questo escamotage non può essere senza conseguenze dal punto di vista della sicurezza e quindi dei costi.

Jacques Repussard, direttore dell’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN) ha spiegato che questa soluzione richiederebbe un investimento aggiuntivo di Scarsa attenzione nelle analisi proposte è stata data alle questioni del trattamento dei rifiuti e allo smantellamento delle centrali. In caso di una continuazione del nucleare, l’Agenzia nazionale per la gestione delle scorie radioattive (Andra) stima che entro il 2030, il volume dei rifiuti raggiungerà 2,25 milioni di m3 (era 1,15 milioni a fine 2007). Anche sul decomissioning delle centrali c’è scarsa trasparenza sui costi. L’ultimo dato ufficiale disponibile è quello pubblicato nella relazione del 2005 della Corte dei Conti che parla di 23,5 miliardi di euro. Anche nella Francia nuclearista si sta dunque aprendo un dibattito molto accesso sulla questione del futuro del nucleare e sulle possibili opzioni energetiche. Una discussione che emerge dalle preoccupazioni del dopo Fukushima che hanno spinto i socialisti a proporre di ridurre al 2025 il contributo del nucleare dall’attuale 74% al 50%.

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