Da un progetto italiano, una stufa sostenibile per i Pvs

  • 18 Novembre 2011

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Una comunità italiana delle stufe migliorate ha realizzato il progetto BeBi con lo scopo di distribuire e testare stufe a piro-gassificazione e il loro sottoprodotto, biochar, con una molteplicità di benefici ambientali ed economici per Pvs. Il funzionamento della innovativa stufa Elsa, con emissioni nocive molto inferiori a quelle di una stufa tradizionale.

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Una rete di ricercatori, appassionati, accademici e artigiani, ritrovatasi lo scorso settembre alla Fondazione Mach di San Michele all’Adige per la due giorni di Fuoco Perfetto/Trentino Stove Camp, lavora in sinergia scambiandosi informazioni e competenze.

Dal Cetamb di Brescia all’Università dell’Insubria, dal CNR al Disa di Udine, dal Foxlab a singoli ricercatori di Padova, Macerata, Como e consulenti di permacultura, la comunità italiana delle stufe migliorate si mantiene in contatto con soggetti attivi a livello internazionale (GIZ, Aprovecho) e a fine ottobre ha incontrato alla Farnesina il delegato di Hillary Clinton presso la Global Alliance for Clean Cookstoves, Kris Balderston, cui ha presentato le sue attività. Tra queste, il progetto BeBi, seguito da Alessandro Peressotti, Franco Miglietta, Irene Criscuoli e Davide Caregnato.

Il progetto BeBi, finanziato dal programma ACP dell’UE e realizzato attraverso una partnership fra università, centri di ricerca, Ong, con capofila l’Università di Udine, ha lo scopo di distribuire e testare stufe pirolitiche e il loro sottoprodotto (carbone vegetale chiamato biochar) in Togo, Sierra Leone e Ghana, per ridurre la deforestazione, migliorare la qualità dei suoli per l’aumento delle rese agricole, contenere le emissioni di gas serra e l’impatto della cottura tradizionale di cibi.

Metà della popolazione mondiale cucina bruciando legna, carbone o letame e le emissioni uccidono ogni anno 1,9 milioni di donne e bambini (dati dell’OMS); grazie a stufe migliorate in grado di bruciare residui agricoli si diminuisce il fabbisogno di legna per cucinare, riducendo la deforestazione che ogni anno interessa 13 milioni di ettari. Si stima che carbonizzando tutti i residui agricoli e forestali del mondo e distribuendoli nei suoli si potrebbero stoccare 160 milioni di tonnellate di carbonio l’anno, ossia il 5% del carbonio che l’atmosfera sta accumulando a causa delle attività antropiche.

Il raggiungimento di questi molteplici benefici è possibile grazie alla grande efficienza energetica della stufa, in grado di utilizzare residui agricoli al posto della legna senza produrre fumo, e alla distribuzione del carbone residuo della pirolisi nei suoli agricoli.

Durante la prima missione del progetto nei tre paesi africani, nell’estate del 2010, è stato possibile raccogliere informazioni sulle biomasse disponibili in loco e sui metodi di cottura locali al fine di costruire una stufa adatta al contesto di impiego. Sulla base di questi dati, Carlo Ferrato e Davide Caregnato hanno inventato una nuova stufa, chiamata ELSA. In una missione, da prevedere nei prossimi mesi la stufa, sarà presentata nuovamente ai villaggi che dovranno utilizzarla e, se sarà accettata, si potrà cominciare a cucinare in maniera pulita e con minore impatto sull’ambiente, e a produrre il biochar che sarà distribuito nei suoli. Insieme alle università locali si porteranno avanti sperimentazioni sul campo per verificare l’impatto che la carbonella ha sui suoli, dopo che degli studi preliminari sono già cominciati in laboratorio a Udine e in loco.

La stufa sarà presentata anche nelle scuole tecniche che si occuperanno della sua costruzione. Se si creerà un mercato abbastanza ampio si potrà anche fondare una piccola impresa di produzione di stufe.

Come funziona la stufa ELSA. Le stufe a piro-gassificazione differiscono da quelle tradizionali in quanto l’unità di generazione termica permette di condurre una combustione con separazione di fasi, mettendo in ordine progressivo essiccazione, gassificazione e combustione, e separando queste fasi nel tempo e nello spazio; in pratica, la biomassa solida si trasforma in gas che va in combustione lontano dalla biomassa. Notevole allora è la riduzione delle emissioni nocive, inferiori anche 10 volte rispetto a quelle di una stufa tradizionale.

TLUD è una sigla che sta per Top-Lit Up-Draft cioè accensione da sopra e flusso di gas verso l’alto (vedi immagine). Un piccolo bruciatore a piro-gassificazione è di solito un cilindro cavo in cui viene inserita una colonna impaccata di combustibile solido poroso.
Riempito il cilindro interno con la biomassa si innesca una normale combustione a fiamma nel top della colonna impaccata; trascorso il tempo necessario ad accumulare una quantità sufficiente di calore (di solito pochi minuti) il sistema evolve fino alla configurazione di regime nella quale la fiamma della combustione si solleva dal combustibile e si porta in prossimità del tappo sviluppandosi completamente nella parte superiore esterna.
Allo stesso tempo si crea un fronte di Flaming-Pirolisi (fronte di F-P) costituito da un disco di biomassa dello spessore di pochi millimetri per l’intera superficie orizzontale del cilindro; in questa zona la biomassa diventa incandescente assumendo un colore rosso vivo; è qui che la biomassa devolatilizza a causa della pirolisi.

Superato il fronte di Flaming-Pirolisi si entra in una zona in totale assenza di ossigeno, condizione resa possibile in primo luogo grazie al totale consumo dell’ossigeno primario nel fronte, in secondo luogo grazie al cosiddetto tappo di fiamma che si forma nella parte alta del reattore. Questa è la zona dove avviene la combustione vera e propria del gas generato nel fronte di F-P; per questo motivo la parte superiore del bruciatore è quella più importante dal punto di vista progettuale perché deve integrare al meglio la presa d’aria secondaria con l’uscita che deve dare forma e stabilità alla fiamma; è necessario in primo luogo garantire un ottimo mescolamento tra gas combustibili e gas comburenti per ottenere una combustione più completa possibile, in secondo luogo è importante dare forma alla fiamma in modo che diventi una sorta di tappo naturale che impedisca il risucchio di ossigeno dall’alto.

Questo sistema nel complesso permette di ottenere una gassificazione del combustibile solido per via quasi puramente pirolitica; una volta attraversato dal fronte di F-P il char residuo rimane sospeso in una zona priva di ossigeno il che gli impedisce di gassificare ulteriormente e di decomporsi fino a diventare cenere.

articolo a cura di Irene Criscuoli (Fondazione Mach) e Davide Caregnato (Università di Udine)

Per ulteriori informazioni:  www.fuocoperfetto.altervista.org – www.bebiproject.org/

Qui un video.

 

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