Se il nucleare spia per ‘difendersi’ dalla trasparenza

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In Francia lo spionaggio di EDF ai danni di Greenpeace per nascondere al pubblico le debolezze dei nuovi reattori EPR. A Fukushima, la reticenza di Tepco prima e dopo l'incidente. La mancanza di trasparenza è intrinseca ad un'industria incapace di gestire i rischi? Ne parliamo con Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia.

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Pochi giorni fa Electricité de France SA (EDF) è stata condannata per complicità in attività di spionaggio ai danni di Greenpeace Francia. Dovrà pagare una multa da 500mila euro per aver assoldato hackers che hanno violato la rete informatica dell’organizzazione e rubato oltre 1.400 documenti dal computer del direttore delle Campagne di Greenpeace (Qualenergia.it, Edf condannata per spionaggio contro Greenpeace Francia). Impedire al pubblico di conoscere le debolezze e i rischi impliciti nella sua tecnologia nucleare sembra essere l’obiettivo da perseguire con ogni mezzo dell’azienda francese, madre dei reattori EPR, e che – se non ci fosse stato il referendum – sarebbe con grande probabilità stata protagonista, in partnership con Enel, del ritorno all’atomo in Italia. Ne parliamo con Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia.


Perchè è importante questa condanna?


E’ importante perché certifica un comportamento molto scorretto, basato su una logica di tipo militare da parte di EDF, che ha cercato in tutti i modi di spiare gli uffici di Greenpeace in Francia, Spagna, Belgio e Regno Unito, per cercare di bloccare una campagna contro i nuovi reattori EPR avviata già da molto tempo. Ricordiamo che nel 2006 Greenpeace e l’associazione francese Sortir du Nucléaire tirarono fuori dei documenti riservati di EDF dai quali risultava, ad esempio, che nello scenario incidentale di impatto aereo l’impianto dovesse resistere a un incendio di soli 2 minuti. Le associazioni ambientaliste hanno cercato di portare alla luce elementi cruciali per la sicurezza di questi impianti, cosa che EDF non ha fatto: al contrario, anziché aprire al dibattito alla trasparenza hanno utilizzato metodi da spionaggio industriale, con degli hacker, pagando 13mila euro al mese un’azienda per mettere sotto controllo i nostri computer. In questo senso emerge un’altra volta che questo tipo di industria più di altre è una minaccia per la democrazia: questo comportamento è agli antipodi di quello che dovrebbe essere il dibattito  trasparente tra industria, forze sociali e ambientalisti in una società democratica.


Cercavano qualcosa in particolare?


Non lo sappiamo. Penso che loro volessero controllare quali erano le nostre fonti, quali informazioni avevamo e che tipo di progetti avevamo in corso per le nostre campagne di denuncia. Va ricordato che poi, per fortuna, grazie all’Agenzia per la sicuezza nucleare finlandese alcuni aspetti irrisolti del progetto sono venuto fuori. Ad esempio il sistema di automazione e controllo di emergenza, problema tuttora non risolto e nel denunciare il quale all’agenzia finlandese si sono accodate anche quella francese e britannica (Qualenergia.it, Bocciato in sicurezza l’EPR, quello che vuole Enel, ndr). Oppure si pensi a tutti gli scandali sulla cattiva qualità delle saldature nei reattori in costruzione in Francia e in Finlandia. Ora l’ultima notizia è che anche in Cina (dove sono in costruzione altri reattori di tipo EPR, ndr) sono emersi problemi e ritardi. Insomma: il tentativo di bloccare le critiche non è riuscito e l’EPR è in difficoltà gigantesche. Inoltre questo scandalo porta a conoscenza dell’opinione pubblica le metodologie antidemocratiche usate da EDF: lo stesso Borlot ministro dell’Ambiente francese, di centrodestra, quando lo scandalo è esploso, nel 2009, ha dichiarato “Mi chiedo in che tipo di paese viviamo”. Penso che la vicenda influenzerà molto il dibattito sul futuro del nucleare in Francia.


E’ possibile un nucleare trasparente o l’opacità è intrinseca a questo tipo di industria, per i grossi rischi che comporta?


Ci sono contesti diversi da paese a paese. Ad esempio gli stress test condotti dall’agenzia francese hanno una qualità migliore rispetto a quelli fatti in Gran Bretagna, in Svezia o in Repubblica Ceca. Una certa di riservatezza è poi intrinseca alla materia, essendo un’industria ad alto rischio, ad esempio di attacchi terroristici. Poi la riservatezza è dovuta anche al fatto che in molti paesi il nucleare civile mantiene ancora forti legami con quello militare. In più c’è una cultura industriale di scarsa trasparenza: lo abbiamo visto in Giappone per Fukushima.


In che modo?


Per un incidente come quello di Fukushima che si era studiato già negli anni ’80, si è scoperto che non esistono procedure codificate di intervento. E’ un industria che pretende di essere sicura, e certamente ha procedure di sicurezza più complesse di altri settori, ma che quando capitano gli incidenti si rivela estremamente vulnerabile. In Giappone stiamo assistendo ad un esperimento, perchè quello che la Tepco sta facendo non era scritto da nessuna parte: non esistono procedure. Aprire il dibattito di fronte a queste mancanze potrebbe essere mortale per l’industria. Su Fukushima ad esempio è emerso che l’agenzia di Vienna (l’International Atomic Energy Agency, ndr) aveva segnalato più volte la vulnerabilità della centrale di fronte ad uno tsunami. E solo ora si è scoperto che lo scenario di un black out che si prolungasse oltre le 12 ore era stato escluso. Alla fine la scarsa trasparenza è dovuta anche al fatto che la stessa industria non sa come affrontare certe circostanze. Portare al dibattito, come abbiamo fatto noi, il fatto che un reattore di nuova generazione non avrebbe retto un incendio di più di 2 minuti, dunque, è un colpo mortale per l’industria.


Anche sulla situazione post-incidente si sta gestendo l’informazione in maniera poco trasparente?


Questo lo abbiamo verificato già nelle stime delle emissioni in atmosfera. Poi altre cose probabilmente le scopriremo in futuro. Le valutazioni che oggi la comunità scientifica fa sulla quantità di radiazioni che probabilmente è finita in atmosfera parlano di valori circa doppi rispetto a quanto dichiarato sia dall’azienda che dall’agenzia di sicurezza giapponese. Una serie di informazioni non sono state date. Non si capisce se fossero informazioni che non avevano o se le hanno taciute. Ma visto che la Tepco ha un lungo record di manomissione di rapporti di sicurezza la sua credibilità è prossima allo zero. In molti casi l’industria si è comportata così: nel 1999 a Tokaimura l’incidente era stato causato dall’utilizzo di manodopera non formata; per Fukushima sappiamo che uno dei reattori aveva avuto l’autorizzazione all’esercizio pur in presenza di elementi di criticità già segnalati dall’Agenzia Internazionale. L’Agenzia di Vienna ha fatto la segnalazione, ma non era in grado di intervenire e comunque non ha comunicato il problema al pubblico. Questo basta e avanza per far capire come la scarsa trasparenza sia intrinseca in questa industria.

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