La via europea per il clima. Intervista a Connie Hedegaard

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Kyoto Club e QualEnergia.it hanno intervistato Connie Hedegaard, Commissario europeo per l'azione per il clima, in carica dal 2010. Gli obiettivi e le proposte dell’Unione Europa sul tavolo dei prossimi negoziati della COP17 a Durban. La roadmap europea al 2050 e la leadership continentale sulle politiche climatiche.

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Kyoto Club e QualEnergia.it hanno intervistato il Commissario europeo per l’azione per il clima, Connie Hedegaard, in carica dal febbraio 2010 nella seconda Commissione Barroso. La signora Hedegaard è stata Ministro danese per l’Ambiente dal 2004 al 2007 e dal 2007 Ministro per il Clima e l’Energia. Ha avuto un ruolo chiave nella preparazione e nella gestione della Conferenza mondiale sul Clima di Copenhagen del 2009.


Commissionario Hedegaard, quali sono le priorità della Commissione Europea nell’ambito delle politiche sui cambiamenti climatici?
La nostra prima priorità è di ridurre al 2020 le emissioni di gas serra dell’UE del 20% rispetto ai livelli del 1990. Questo obiettivo dovrà essere realizzato attraverso diverse misure, come lo schema di Emissions Trading (EU ETS) per le industrie e per i produttori di energia, un target di CO2 per auto e combustibili, e diverse altre iniziative su scale europea e nazionale che puntano alla crescita delle rinnovabili e ad aumentare l’efficienza energetica.
In secondo luogo, stiamo anche spingendo per un accordo sul clima a carattere generale e legalmente vincolante nell’ambito del quadro delle Nazione Unite (UNFCCC) e anche nell’ambito dell’ICAO per l’aviazione e dell’IMO per il settore del trasporto marittimo.


Quali proposte porterà l’Unione Europea a Durban per la COP17?
La UE ha messo sul tavolo proposte su diverse questioni. Innanzitutto ci sono quelle per aumentare la trasparenza sugli impegni e le azioni del Paesi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni. Come secondo punto, abbiamo fatto una proposta per costituire nei paesi emergenti nuovi meccanismi di settore basati sul mercato: vogliamo sviluppare ulteriormente i carbon markets internazionali, perché riteniamo che questo sia uno dei modi più efficienti dal punto di vista economico per tagliare le emissioni in certi settori. Last but not least, intendiamo spingere anche per misure globali che permettano di affrontare la questione delle emissioni nel trasporto internazionale aereo e marittimo.


Quali risultati ci possiamo attendere dalla Conferenza di Durban?
Ciò che è veramente importante è che Durban consegni una roadmap con scadenze chiare in grado di condurci ad un accordo globale vincolante per tutti i paesi. Abbiamo bisogno dell’impegno di tutte le principali economie su come e quando, se non ora, essi potranno fornire il loro contributo alla riduzione della CO2. Durban affronterà di certo anche il futuro del protocollo di Kyoto, poiché il primo periodo di impegno scadrà entro il 2012. L’UE è disponibile ad accettare una seconda fase, ma all’interno di una tabella di marcia più ampia.


Come potrà evolvere il processo del post-Kyoto?
Crediamo che gli elementi fondamentali del Protocollo di Kyoto dovrebbero essere mantenuti dopo il 2012, come l’approccio basato sul mercato del carbonio internazionale, il cosiddetto Clean Development Mechanism (CDM). Il Protocollo di Kyoto, come tale, non termina, ma scadranno solo gli impegni per il periodo 2008-2012. Come ho detto, l’Unione Europea è aperta per assumere un secondo obiettivo di Kyoto se le seguenti condizioni saranno soddisfatte: primo, Kyoto deve essere integrato dagli impegni di tutte le maggiori economie, vale a dire la tabella di marcia che ho menzionato prima; secondo, l’integrità del Protocollo di Kyoto dovrà essere garantita: in pratica questo significa migliorare le regole di contabilità per l’uso dei terreni e delle foreste e trovare una soluzione per gli sforamenti dei diritti di emissione – i cosiddetti AAUs – perché se questi dovessero essere interamente riportati nel secondo periodo di Kyoto rischierebbero di indebolire ogni sforzo fatto finora.


Alcuni critici sostengono che l’UE stia perdendo, in favore di altre aree del mondo, il suo ruolo di  capofila nelle politiche contro il cambiamento climatico. Cosa replica a queste tesi?
Non sono affatto d’accordo. L’Europa ha definito per sé stessa obiettivi ambizioni di riduzione delle emissioni e siamo tra i primi nel mondo ad averli rafforzati con strumenti legislativi e di policy, penso ad esempio all’ETS. Infatti questo meccanismo sta ispirando molte altre economie, come Cina, Australia, Corea e California a predisporre il proprio sistema di commercio delle emissioni. Inoltre abbiamo per primi preso in mano la questione delle emissioni legate al trasporto aereo internazionale. Dal prossimo anno e in modo progressivo queste regole verranno inserite nell’ETS. Infine, la scorsa primavera la Commissione ha pubblicato una Roadmap su come ridurre le nostre emissioni dell’80-95% entro il 2050. Per questo non penso sia giusto dire che abbiamo perso di vista obiettivi ambiziosi.


L’attuale crisi economica e finanziaria aprirà nuove opportunità per la lotta contro il global warming o piuttosto rallenterà i miglioramenti ottenuti negli anni passati?
Finora la crisi finanziaria non ha avuto impatti negativi sulle nostre ambizioni per affrontare la questione del clima. Anzi, la crisi finanziaria ha portato nel 2009 ad un calo delle emissioni dell’Unione Europea più accentuato rispetto alle attese. Lo scorso anno, mentre le economie iniziavano a riprendersi, le emissioni sono di nuovo leggermente cresciute, ma rimaniamo sulla strada per ottenere i nostri obiettivi di Kyoto, così come i nostri più ambiziosi obiettivi al 2020. Effettivamente la crisi finanziaria ci fornisce una buona occasione per rendere la nostra società più sostenibile a livello ambientale. E’ il momento giusto per investire in tecnologie innovative e a basso contenuto di carbonio e per rendere “verdi” le nostre politiche fiscali, per esempio. I nuovi mercati, prodotti e servizi daranno impulso alla crescita economica e creereanno occupazione riducendo ulteriormente le emissioni così da riuscire a soddisfare i nostri obiettivi climatici ed energetici e i target di più lungo periodo.


Il nuovo governo danese ha adottato di recente l’obiettivo di ridurre le emissioni per il paese del 40% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 e di portare le fonti rinnovabili a soddisfare il 50% del fabbisogno elettrico della nazione. Come valuterebbe l’ipotesi di un incremento degli obiettivi 20-20-20 per l’Unione Europea?
L’analisi che abbiamo per la nostra ‘Roadmap for building a competitive low-carbon Europe by 2050’ dimostra che potremmo in realtà ottenere l’obiettivo di tagliare il 25% delle emissioni al 2020 se solo riuscissimo a soddisfare il nostra attuale obiettivo per l’efficienza energetica che è del 20%. Nel frattempo la nostra offerta di accrescere il target di riduzione delle emissioni al 30% – purché altri paesi facciano la loro parte – è ancora sul tavolo dei negoziati internazionali sul clima. Al momento le condizioni non ci sono. Tuttavia al fine di approfondire il dibattito su tale questione, la Commissione sta analizzando gli investimenti necessari e i relativi benefici per i differenti Stati Membri, così come richiesto dal Consiglio europeo dei Ministri dell’ambiente.


traduzione a cura di Leonardo Berlen

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