I paradossi del sistema elettrico nazionale

I paradossi e gli sprechi di un mercato dell'energia incompletamente liberalizzato e della mancanza di una programmazione. La questione del prezzo dell'energia, il potenziale trascurato di efficienza energetica e rinnovabili. Un intervento di Francesco Ferrante, Responsabile politiche cambiamenti climatici ed energia Pd.

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E’ evidente dal dibattito in atto sul mercato elettrico – si vedano gli ultimi gli ultimi interventi del vicepresidente di Confindustria Conte e del sottosegretario Saglia su Affari e Finanza di Repubblica (cui ho scritto questa stessa lettera) – che questo Paese non può più permettersi di procedere, non dico senza un Piano che manca ormai da un quarto di secolo, ma senza almeno un minimo di programmazione.


L’assenza totale di capacità di orientamento di un mercato ancora incompletamente liberalizzato, ha infatti determinato alcuni paradossi. Da una parte l’overcapacity di produzione per cui oggi abbiamo potenza installata quasi doppia di quella richiesta alla punta, dall’altra la mancanza di rigassificatori che permetterebbero la diversificazione nell’approvvigionamento di quella che è la fonte fossile più utilizzata in questo paese per produrre elettricità.


Il primo paradosso comporta lo spreco per cui centrali nuove, meno inquinanti e più efficienti lavorano per la metà delle ore possibili causando gravi difficoltà agli operatori e impedendo ogni effetto virtuoso della concorrenza nella formazione del prezzo. Il secondo paradosso contribuisce, insieme ad altre rigidità tutte italiane, al fenomeno per il quale mentre in tutto il mondo il prezzo del gas – grazie all’entrata prepotente sul mercato di quello non convenzionale – va svincolandosi da quello del petrolio e in Usa si è quasi dimezzato, nel nostro Paese resta stabile e di conseguenza sostiene un prezzo di produzione dell’elettricità ancora più alto dei paesi nostri concorrenti.


Peraltro sulla questione “prezzi” troppo spesso si leggono analisi approssimative: il differenziale alla produzione tra quelli italiani e quelli europei si è molto ridotto e se oggi i consumatori e le piccole e medie imprese – non quelle grandi che pagano l’elettricità meno che in Germania – sostengono costi più alti ciò è dovuto soprattutto a storture del sistema e a una rete ancora inadeguata.


Per affrontare una situazione così complicata e d’altra parte decisiva per lo sviluppo servirebbe allora un’idea di futuro, una visione, in cui incardinare una riforma radicale del sistema. Ma è proprio questo quel che manca a Governo e a chi dovrebbe rappresentare il mondo delle imprese. In tutto il mondo infatti ciò che muove le scelte dei decisori è la straordinaria opportunità che l’innovazione tecnologica ci sta offrendo e cioè che, puntando su efficienza energetica e fonti rinnovabili, possiamo ridurre la dipendenza dalle fonti fossili per produrre energia.


L’Europa per prima, e al suo interno con forza la Germania che punta all’80% di produzione di elettricità da fonti rinnovabili entro il 2050. In Italia invece si perde tempo appresso a improbabili riconversioni a carbone e nonostante la stessa Confindustria abbia elaborato un piano sull’efficienza energetica che dimostra come si potrebbero realizzare importantissimi risparmi dando lavoro anche a circa 160mila persone l’anno, il Governo tentenna persino a rinnovare l’unica misura in atto (dai tempi di Prodi): il 55% di sconto fiscale per chi ristruttura la propria casa con criteri di efficienza energetica.


E sulle fonti rinnovabili, il Governo non emana i decreti che dovrebbero dare certezze alle imprese, si fa allarmismo sui costi e non si capisce la valenza di un settore che è cresciuto e ha offerto occupazione. Certo bisognerebbe realizzare immediatamente le infrastrutture (smart grid e accumuli) che rendano permanentemente disponibile l’elettricità da rinnovabili, e il livello degli incentivi, attualmente siamo arrivati a 6 miliardi, va tenuto sotto controllo. Ma bisognerebbe chiedersi perché la Germania da tempo ne sostiene di molto più alti (oltre 9 miliardi lo scorso anno). E la risposta sta proprio nella programmazione: lì si è fatto quello che da noi è sempre mancato, lì tutto il sistema-paese (destra e sinistra, imprese e cittadini) ha puntato sull’innovazione, ha deciso di investire e ora ne sta godendo i frutti in termini di leadership mondiale e di occupazione in casa propria (350mila lavoratori). Qui ancora niente. Forse uno dei motivi, e non certo l’ultimo, per cui è finalmente giunta l’ora di cambiare il Governo. 

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